Perchè le persone suggestionabili non dovrebbero ascoltare musica suggestiva
Io, Totoro e la beat generation
Di solito ho gli articoli pronti uno-due giorni prima della pubblicazione. Oggi, ragazzi, no. Non ho davvero niente. Mi ero ripromesso di scrivere qualche baggianata ieri sera, ma ho finito per guardare Il mio vicino Totoro di Miyazaki (che tra l’altro, già che ci siamo, non posso fare a meno di dirvi che è di una bellezza disarmante). E quindi, siccome un modo per salvarmi la pelle dovevo trovarlo, ma di scrivere cose a caso su Fedez non ne avevo voglia, ho dato un’occhiata veloce al mio piccolo archivio personale di fesserie pregresse. Ne ho trovata una di un paio di anni fa, all’incirca, che è perfetta: la prova provata che le persone suggestionabili non dovrebbero ascoltare musica suggestiva, o presunta tale.
Per spiegarvi meglio, mi ricordo di aver scritto quanto vi copio e incollo più sotto una notte, ascoltando in successione due canzoni: Electro-Shock Blues degli Eels e Little Colored Balloons di John Murry.
Spero che dopo la lettura vi sarà chiaro perché non dovete mai, dico MAI, scrivere mentre ascoltate canzoni che potrebbero alterare le vostre percezioni emotive e le vostre capacità cognitive, facendovi credere di essere il nuovo Allen Ginsberg o Gregory Corso quando no, non lo siete assolutamente. Ma mancoperilcazzo proprio.
Ctrl+C Ctrl+V
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Apri la finestra. Blu scuro.
Mamma non te l’ha detto che l’amore è un mostro deforme e strampalato?
Non lo so per certo.
Che ci fa un cane al guinzaglio lassù? Anche in cielo, al guinzaglio.
Anche da solo.
Una giostra illuminata, tante luci, vanno e vengono.
Te lo giuro. Non sei tu.
Piccoli palloncini colorati. E un pianoforte scordato. Lontano da casa.
Non l’edificio. Quello c’è. Sì, quello c’è.
Manca altro.
A volte è come se dovesse mancarci necessariamente qualcosa.
A me manca qualcosa? Non credo.
Mi arrendo.
Non devi guardare alla frase, all’espressione singola. Guarda il disegno complessivo.
La forza prorompente è quella.
Come un brano singolo in un album. Il discorso è piuttosto l’album. Almeno prima di iTunes.
Ora siamo al supermercato. Mi faccia un pop, un rock e una dance grazie. Quant’è?
480 grammi signora, le aggiungo 20 grammi di rap per fare mezzo chilo?
Sìgrazie.
È difficile credere alla magia quando nessuno ci crede più.
Ce ne siamo lavati le mani tutti.
L’illusione è in 3D, e illude poco. La poesia è in .txt, e suppone poco.
Sento sul ciottolato il passo dei miei piedi che se ne vanno in direzione opposta. Passo viscido, svelto, felpato, corrotto.
Sono complice, cerco un nascondiglio che non esiste. E voialtri? Voi cosa mi dite? Osservatori disinteressati, vero? Ah, ma quando sulla bara ci sarà il vostro nome ci sarà da ridere. Di pancia. Di viscere. Umide e bagnate, grondanti sangue rosso, blu, viola, nero, verde. E dispenseremo grandi sorrisi e pacche consolatorie convinte, allora. Vibranti, allora.
Ma quante risate!
E batterete da sottoterra, ma nessuno vi sentirà. Solo grasse risate che rimbombano ovunque. Sciatte, sbracate risate per la vostra misera, patetica, gloriosa, sacra esistenza. Sacra quanto il piscio e gli sputi.
Un vinile salta e grida.
Riparte.
Lalalalalalala.
Il sole sorge, di nuovo, anche stamane. Rifà il trucco, benevolo.
Sorrido.
Qualcuno sa dirmi cosa sta continuando a succedere?