Patagonia, Argentina – Fino alla fine del mondo
Due mesi fa ero a Buenos Aires, tappa di passaggio per la mia vera meta: la Patagonia. E’ il viaggio che sogno da anni, da quando prima Chatwin e poi Sepúlveda mi avevano affascinato con le loro parole, “la Patagonia è un puzzle di luoghi incantati che non sembrano appartenere a questo mondo” sfido chiunque a leggere Patagonia Express e non avere l’irrefrenabile voglia di indossare una giacca a vento, chiudere un trolley e partire.
Io ci ho messo un po’ ma alla fine sono atterrata ad El Calafate, un’allegra cittadina sulla riva del lago Argentino (il più grande della nazione), un immenso specchio di acqua turchese. Il suo colore è dato da quello che qui chiamano “leche de glaciar”, il latte del ghiacciaio: nient’altro che i detriti dovuti all’erosione delle rocce da parte di questi giganti di ghiaccio, tra i quali troviamo la star del Parco nazionale Los Glaciares: il Perito Moreno.
Potrei sbalordirvi con i tanti numeri di questo ghiacciaio, il Perito è, infatti, la terza riserva di acqua dolce al mondo, si estende per 250 km2 e per 30 km in lunghezza. Mentre, a causa del riscaldamento globale, gli altri ghiacciai si sciolgono, lui addirittura avanza di ben 2 metri al giorno, ma vi assicuro che, per quanto straordinari, nessuno di questi dati (ed io sono una che adora i numeri) può farvi avvicinare all’emozione di quando sei nella riserva naturale, giri l’ultima curva dell’ennesima strada semi-sterrata e te lo trovi lì davanti, imponente e maestoso, con il suo frastagliatissimo fronte. E se proprio in quel momento, per puro caso, sul bus risuona la voce di Chris Martin con In my place, non può che essere tutto perfetto. Se questa la chiamano la curva dei sospiri non sarà certo un caso, no?
(Ecco, lo so. Sembro una ragazzina innamorata al suo primo appuntamento. Ok, forse lo sono: non vi nego che dalla tanta eccitazione che avevo la notte prima di “quest’incontro” non sono riuscita a chiudere occhio).
Avevo visto tante foto prima di partire ma nulla può preparare al Perito Moreno: è un’esperienza unica che coinvolge i cinque sensi; non si può prevedere. Non è solo la sua visione ad essere ipnotizzante. Credo di non avere mai visto dei colori così: sfumature dal bianco al blu, un blu così, davvero il blu più blu dei blu, quello che cercava Matisse, ma anche il rumore del ghiaccio che si crepa. Quando le enormi lastre di ghiaccio si staccano dalla parete è come se spezzassero qualcosa dentro di me, come a liberarmi, un boato che permette di sentire di nuovo. “C’è una crepa in ogni cosa, è così che entra la luce”. Il Perito ha permesso alla luce di entrare, al cuore di capire cosa c’è di inespresso, la Patagonia può guarire. E poi, quando, finalmente, dopo una breve escursione in barca, attraversi il Braccio Rico del lago e riesci a toccarlo, la sensazione dei ramponi che affondano nel ghiaccio come burro, non so… mi sento come Armstrong sulla Luna, c’è un silenzio impressionante, interrotto solo dal crepitio dei ramponi.
Per finire, il whisky on the rocks con il ghiaccio del Perito è solo un modo per completare con un brindisi questa esperienza multisensoriale.
Ci spostiamo poi a Sud, esattamente nella città più a Sud del mondo (ma non fatevi sentire dai Cileni, per i quali la città più a sud è la loro Puerto Williams). Sono ad Ushuaia, Provincia di Terra del Fuoco, Antartide e Isole dell’Atlantico del Sud.
Appena arrivata in aeroporto, guardo la cartina e mi chiedo come sia arrivata così giù. Sono così tanto a Sud che qui il Sud è tutto il contrario. Niente molle calore, spiagge, facilità, anche il Sole è diverso, una luce tutta nuova, un vento urlante senza tregua ed un cielo così incombente che ti sembra di sentirne addosso tutto il peso.
Sono nell’ultimo avamposto abitato prima dell’Antartide. Mi aspetta l’escursione sul canale di Beagle, il canale naturale che unisce l’Oceano Pacifico a quello Atlantico. Ecco che qui trovo il silenzio antartico, rotto solo dall’urlo del vento, ed il freddo così intenso che se ci penso fa sorridere che si chiami proprio Terra del Fuoco.
Nella scenografica cornice delle ultime propaggini delle Ande scorgo l’Isla de los Lobos (dei leoni marini), l’Isla de los Pájaros (dei cormorani) ed il faro Les Eclaireurs, el faro de la fin del mundo. Adesso sì che sono alla fine del mondo.
Il tramonto a Ushuaia giunge in ritardo, intorno alle 22, ma si fa perdonare. La notte porta stelle sconosciute all’emisfero boreale, il cielo è come una cupola fosforescente. Che meraviglia il cielo dei confini del mondo.
Probabilmente potrei continuare a scrivere milioni di parole per tentare di descrivere la meraviglia di questa terra. Qui dove la velocità non ha importanza, il ritmo è quello lento della riflessione. Terra così estesa e vuota ma, per contrasto, ancora una volta, in grado di essere fucina di pensieri ed emozioni, tali da poterne parlare per mesi. Preferisco dire che la Patagonia è senza dubbio il posto più bello che abbia mai visto.
Allora che cosa state aspettando? Fino a marzo è un ottimo momento per partire.
Da mettere in valigia (tanto il volo è lungo!):
In Patagonia – Bruce Chatwin
Patagonia Express – Luis Sepulveda
Terra del Fuoco – Francisco Coloane
Floriana Nappo
[…] é un termine colloquiale in America Latina che si riferisce a qualcosa di magnifico, fantastico, ma che può anche semplicemente essere la […]
[…] che Chatwin te dico levate: IL […]