Parenti serpenti e capitoni | Idee per la cena di Natale
Il Natale è una di quelle questioni su cui il genere umano si scinde nettamente in due sole categorie: chi lo ama e chi lo odia. Pur appartenendo decisamente al primo gruppo di persone (cioè quelle che con grande gioia aspettano la fine di novembre per conciare la propria casa come una piccola Las Vegas di renne e fiocchi di neve) riesco a comprendere molto bene chi si schiera dall’altra parte della barricata. Perché, diciamocelo, ai sabotatori dello spirito natalizio le ragioni non mancano.
Tanto per cominciare, il vocione di Bing Crosby si fissa nel lobo frontale come un ricordo traumatico che di anno in anno non ci abbandona, ed è inutile accendere la radio nella speranza di scalzarlo con un altro motivetto perché il rischio è d’incappare in Mariah Carey o nel caro Michelone Bublè in libera uscita.
Imponenti piramidi di panettoni senza canditi (ma che vi hanno fatto di male i canditi, si può sapere? ndr) rendono impraticabili le corsie dei supermercati, tra le cineserie onnipresenti impazzano i cerchietti con le corna da alce e le chat di whatsapp sono invase da video di auguri sinceramente imbarazzanti.
Ma il vero pilastro dell’odio per il Natale è uno ed uno soltanto, immutabile e universale: la tavolata con i parenti.
All’antipasto, con una tartina al salmone tra le dita, qualche zia curiosa già lancia il primo “ce l’hai il fidanzato?”, di lì a poco, inebriati dal vino e dallo spaghetto con le vongole, ci si ritroverà a dare spiegazioni del perché la laurea è ancora un miraggio o del “perché non hai fatto ingegneria come papà?”, e arrivati ai mandarini e al pandoro pre-tombolata calerà inevitabile la scure… “ti trovo un po’ appesantita” (è lì, in quel momento, che si rinuncia al Lindor e si rimettono a posto i datteri sul vassoio di frutta secca).
Tremano le vene ai polsi.
Non solo perché tra un torrone e l’altro ci si ritrova a rendere conto dell’annuale bilancio sulla propria vita, ma perché inesorabilmente genitori, zii, nonni e cugini insceneranno le consuete commedie forzate, le eterne lotte familiari ricominceranno e l’astio serpeggerà tra bicchieri, posate e segnaposti luccicanti mischiandosi alla malcelata insofferenza dei commensali.
Ammettiamolo, il pH della cena di Natale non è mai neutro, né tantomeno basico. Le lingue dei vostri cari parenti si affileranno ad ogni commento e ogni boccone, ogni allusione e ogni sorso di spumante, si faranno biforcute come quelle di rettili velenosi. Nessuna famiglia fa eccezione e nessun anno è diverso: questa è vera la tradizione delle feste. Altro che il Grinch o Scrooge! I cattivi del Natale sono intorno a noi, cenano con noi e non diventano buoni allo scadere della mezzanotte. Per questo, l’unico film realistico sul Natale è – e rimane sempre – Parenti serpenti.
Come tutti i film di Monicelli, Parenti serpenti è duro, spietato, schietto. E fa ridere parecchio. Non si prende in giro nessuno: non sarebbe onesto; però ci si prende in giro da soli, che poi, una volta che ci si è guardati allo specchio senza filtri, è l’unica cosa sensata che rimane da fare. Gli ingredienti irrinunciabili della commedia all’italiana ci sono tutti, in primis c’è la famiglia.
Nonna Trieste e nonno Saverio, lei una roccia e lui un bel po’ rimbambito, accolgono i figli per la vigilia di Natale. Lina ha la colite nervosa, Milena piange ogni secondo perché non può avere bambini, Alessandro non si accorge nemmeno di quello che gli succede e Alfredo è gay ma nessuno lo sa.
A completare il quadretto in casa, ci sono anche Gina, l’avvenente moglie di Alessandro che lo tradisce con Michele, marito di Lina, piccolo impiegato arrivista fiero di essere iscritto alla Democrazia Cristiana, e i due nipotini: la tredicenne Monica che vuole fare la ballerina di Fantastico ma mangia i bocconotti al cioccolato di nascosto, e Mauro, che è la voce narrante del film, l’unica ancora pura.
I personaggi, si capisce, sono costruiti ad arte e incastrati in una rete di relazioni che da sé ne mette in luce la miseria, la falsità, la vanità. Recitano, non in quanto personaggi, ma con le maschere delle persone vere nella vita vera. Ognuno il suo ruolo, ognuno il suo copione. Ma poi, nel momento in cui il teatro arriva al culmine, cioè a tavola, tutti riuniti intorno ai piatti natalizi, il gioco della finzione finisce. La nonna Trieste annuncia – tra mille smancerie – che lei e il nonno Saverio non possono più vivere da soli.
Ai figli la decisione più gravosa: stabilire chi tra loro li ospiterà fino alla loro morte, in cambio avranno in eredità la casa di famiglia e godranno della pensioncina del nonno. Il burattinaio Monicelli, da questo momento, si diverte a mettere alla prova i suoi personaggi col gioco più “estremo” che ci sia, la verità. Così, dopo i passatelli in brodo e prima del baccalà col cavolfiore fritto, si rompe definitivamente l’equilibrio ipocrita che la sceneggiatura aveva costruito fino a quel momento.
Non c’è più spazio per le cortesie e le belle apparenze: nessuno dei figli ha intenzione di caricarsi la responsabilità dei due anziani genitori, ma nessuno intende rinunciare ai benefits che quella situazione avrebbe comportato. Insomma, in guerra vale tutto, per cui non se le mandano a dire.
E alla fine, tra liti e cene e incontri al bar, arriva la soluzione: fare ai cari nonnetti un bel regalo di Natale, una nuova stufa a gas. Così, mentre si balla e brinda al nuovo anno qualcosa più di un fuoco d’artificio esplode nella casa dei poveri Trieste e Saverio.
Ecco, giusto nel finale il film si prende il lusso di discostarsi dalla realtà, deviando al grottesco e al surreale. Che poi, ed è la forza della narrazione, rimangono sempre più veri del realismo.
Per fortuna, le stufe a gas sono fuori moda da un po’.
Cena di Natale a casa Trippa
In Italia ogni regione, ogni città e forse ogni famiglia ha una tradizione tutta sua per quel che riguarda il menù della vigilia di Natale. Il minimo comun denominatore è l’abbondanza, che fa subito festa e fa subito cellulite.
Pensando a un piatto comune sia alla tradizione del nord (del ferrarese) che del sud (del napoletano) non può non venire in mente l’anguilla, detta anche capitone, in umido.
Apprezzato non solo a tavola, ma anche sui set cinematografici, il capitone offre innumerevoli stimoli creativi, più che per cucinarlo soprattutto per riacchiapparlo, nell’immancabile scena della sua viscida fuga. Non solo in Parenti serpenti, ma in molti altri film (per esempio Il mistero di Bellavista, di Luciano de Crescenzo), il capitone cerca la salvezza e sguscia in giro per casa rintanandosi sotto mobili e divani, scampandola spesso. E anche in questo caso, è tutto vero. Ecco, proporrei di eleggere il povero capitone a simbolo universale dell’anti-spirito natalizio, icona di tutti quelli, cioè, che volentieri striscerebbero via di casa la sera della vigilia, anche a rischio della vita.
- 1 capitone da circa 1 kg
- 2 cipolla
- 2 kg di pomodori San Marzano
- Basilico q.b.
- Prezzemolo q.b.
- Olio evo q.b.
- Sale q.b.
- Vino bianco secco q.b.
Il motivo per cui il capitone, a differenza dei suoi colleghi di pescheria, arriva guizzante fino a casa è che non può essere mangiato, né quindi cucinato, se è già morto da un po’. Il poverino va ucciso con un colpo netto che gli stacchi la testa, va poi pulito ed eviscerato e tagliato in tranci piccoli (circa 5 cm l’uno) con la pelle, però, ancora attaccata alla carne.
Dopo questo macabro lavoro, vanno tagliati a pezzetti anche i pomodori, così da fare un buon fondo di cottura con l’olio, le cipolle e il basilico. Quando il sugo avrà cotto abbastanza (almeno una mezz’ora), va passato in modo da tenere solo la salsa e non i semi e la pelle dei pomodori.
A questo punto, in un’altra padella bisogna scaldare un po’ d’olio e aggiungere l’altra cipolla finemente tritata insieme al prezzemolo. Qui va rosolato il capitone finché non avrà una bella crosticina dorata. Salare e sfumare col vino bianco, aggiungere poi la salsa di pomodoro e lasciare cuocere coperto, cioè stufandolo, per circa un quarto d’ora. Da servire, poi, umido e bollente.
Inutile dire che il capitone così preparato terrà occupati per un po’ i vostri parenti e le loro lingue biforcute.
[…] Questo lavoro segna l’allontanamento della Vitti dai drammi esistenzialisti che l’avevano resa nota al grande pubblico e grazie ad esso vince il Premio David di Donatello come miglior attrice nel 1969, il Nastro d’Argento sempre nello stesso anno e il premio come miglior attrice al Festival di S. Sebastian, diventando la protagonista indiscussa della Commedia all’Italiana. […]