Parasite, l’umanità divisa e la lotta di classe di Bong Joon-ho

Parasite, l’umanità divisa e la lotta di classe di Bong Joon-ho

Così lontani e così vicini

È piuttosto difficile parlare di un film che si candida ad essere il miglior film dell’anno. Porto le mani avanti, non è per nulla facile. Parto da lontano e parlo del regista. Bong Joon-ho è un regista clamoroso, che seguo con attenzione da anni. Ha fatto della commistione di generi la sua cifra stilistica e Parasite è il perfetto e più riuscito esempio di questa sua capacità straordinaria di mescolare alto e basso, commedia e thriller, horror e melodramma.

Su questa base formale, poi, il regista si è sempre interessato a problematiche sociali, nel senso più ampio del termine. Non è un regista che muove attacchi al capitalismo in tutti i suoi film, come ho letto in giro: The Host non è un film anticapitalista; la creatura nasce, è vero, dallo scarico illegale di materiale biologico in una scena iniziale che dura pochi secondi, ma che ha l’unico compito di posizionare il film all’interno di una cornice da B-Movie sui mostri anni ’80, da cui evadere il prima possibile. Affermare che The Host sia anticapitalista significa aver letto solo la sinossi su Wikipedia. I film dichiaratamente politici del regista coreano sono quelli americani ed in particolare Snowpiercer e Okja, che per qualche ragione sono anche i suoi film meno riusciti (comunque ottimi).

L’interesse per l’umanità di Bong Joon-ho è primariamente sociale e solo successivamente politico. Come emerge evidente sia in The Host che in Memories of Murder (piccolo gioiello da cui il cinema europeo ed americano – la butto lì: True Detective – ha attinto a piene mani) incentrano la narrazione sul rapporto con l’altro ed in particolare con l’altro sconosciuto, l’estraneo. In Memories of Murder sono gli stessi detective ad essere l’altro non accettato da una piccola comunità rurale, le cui regole interne faticano a comprendere; in The Host la metafora è più grossa (c’è un mostro), ma di simile caratura ed estranea non è solo la creatura, ma anche l’umanità che ci sfila accanto, così uguale a noi, una volta conosciuta. Da qui alla lotta di classe il passo è breve, perché questa rappresenta lo scontro fra due estranei che non si accettano (né possono o vogliono farlo).

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Parasite supera gli evidenti limiti di Snowpiercer e Okja per creare un film quasi perfetto, umano e politico allo stesso tempo, dove il rapporto con l’altro/estraneo ed il rapporto fra le classi si fondono diventando specchio l’uno dell’altro. Le due famiglie sono estranee per classe, ma anche umanamente parlando e le loro interazioni lo rivelano a pieno. Il regista coreano crea fin da subito la nettissima divisione fra i protagonisti e gli ambienti, usando delle metafore a tratti quasi didascaliche, come le scale per “salire” socialmente alla casa dei ricchi borghesi o i poveri visti come scarafaggi, che si nascondono (per davvero) sotto i mobili a mangiare le briciole quando viene accesa la luce. Il giovane Ki-woo ripeterà più volte nella prima parte quanto tutto sia “così metaforico”. Nel caso a qualcuno (tipo la critica americana, per dirne una) fossero sfuggite le metafore da questo enorme diorama non in scala.

Su questo impianto praticamente perfetto, Bong Joon-ho crea la sua storia. L’altro non è solamente rappresentato da una categoria sociale che non vogliamo né possiamo comprendere (i ricchi sono tutti un po’ stupidi, i poveri puzzano tutti di umanità: non sono solo semplificazioni, ma impossibilità comunicative rese esplicite), ma anche da chi appartiene alla stessa classe sociale di cui fanno parte i protagonisti. E questo è il vero crimine del capitalismo: avere elevato l’individualismo a modello unico. Non esiste solidarietà fra i derelitti, che piuttosto che condividere (si badi bene, non ho scritto perdere) una parte dei pochi privilegi ottenuti, preferiscono fracassarsi la testa con pietre portafortuna.

Come di consueto, il regista cambia registro narrativo e (letteralmente) genere diverse volte durante il film, e nel giro di un batter di ciglia. Non solo cambiano gli stilemi registici, il montaggio delle sequenze (scompaiono, via via i pianosequenza per lasciare spazio ad un montaggio più serrato e meno rilassato), ma cambia anche la recitazione dei personaggi. In questo il regista è aiutato da degli attori semplicemente strepitosi come Song Kang-ho e la meno nota e giovane Park So-dam, capaci di cambiare tono nel giro di una espressione passando da una recitazione da commedia ad una da dramma con abilità quasi stupefacente. Così da una iniziale commedia “di sostituzione”, il film si trasforma in un thriller con scene da home invasion pura (ma dall’interno, non dall’esterno) che Jordan Peele spostati proprio.

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In maniera ancora più spiccata rispetto ai film precedenti, questi cambi di registro creano un climax di tensione squisitamente efficace, pronto a sfociare nelle scene finali, dove il dramma si tinge di horror. Il tutto sostenuto da tre sequenze cardine che servono da spartiacque fra i toni, i generi, i temi. Alla commedia corrisponde la lotta di classe; al thriller/home invasion la relazione con l’altro che pur fa parte della nostra classe, ma col quale non si vuole condividere alcun privilegio; all’horror l’unica soluzione sociale che il climax può portare: la violenza senza senso (apparente). Esattamente come succede nel Joker di Todd Phillips, quando non esiste alcuna coscienza di classe che porti la solidarietà ed il movimento di tutti, le tensioni sfociano in violenza puramente distruttiva verso tutti, anche i propri simili.

Come già in Tokyo e in The Host, le scene finali virano verso il melò con tinte familiari e quasi romantiche. Ancora una volta, però, come un parassita si annida anche in queste scene il seme di qualcosa di più profondo. È proprio questo serpeggiare, nascondersi sotto i mobili, dei temi portanti del film a rendere un capolavoro quella che già tecnicamente è una messa in scena magnifica. Mentre solidarizziamo con il giovane che spera di potersi ricongiungere col padre, proprio dalla voce del ragazzo ci giunge un messaggio tremendo, quasi impercettibile se non si pone attenzione. Il ragazzo è deciso a diventare ricco per poter riscattare il padre ed aggiunge, convinto, “all’università ci andrò dopo, l’istruzione non è importante”. La commedia si chiude con presagi tremendi e scarsissima speranza per il futuro: il capitalismo ha vinto su tutta la linea e non esiste alternativa.

Per ora.

 

Titolo | Parasite
Regia | Bong Joon-ho
Anno | 2019
Durata | 132 minuti



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