Ologramma per il re | Dave Eggers
Per quanto tempo dovremo aspettare la visita del re?
Ogni re è probabilmente uguale all’altro almeno in una caratteristica ricorrente: il re si fa sempre desiderare. Sì, il re promette e ripromette un incontro per poi non presentarsi, ripetutamente, anche se ciò che vuoi proporgli è estremamente allettante: un simil teletrasporto in comodissimo formato laser, ovvero un cosiddetto “ologramma” che può permetterti di iniziare una conversazione non solo con una voce ma con l’intera umana sembianza di chi è distante chilometri e chilometri e allo stesso tempo è lì, davanti ai tuoi occhi (detta bene è “telepresenza olografica” e ci si sta sul serio lavorando).
Non vogliamo lasciar spazio all’immaginazione. Vogliamo assolutamente vedere. O così sembra.
Illusioni ottiche (esclusivamente e irrealmente tridimensionali, pur senza scomodare di troppo teorie distopico-fantascientifiche etc.) e cattedrali nel deserto.
Dave Eggers, anni dopo la sua struggente e autogloriosa opera di autofiction, porta l’occidente, ignegnosità ipertecnologiche incluse, in un oriente più occidentale che mai. Tra qualche (ahinoi) momento di noia e altri (non numerosi ma notevoli) passaggi folgoranti, con la scusa della corsa alla costosissima ipertecnologia, si parla di Alan, americano spedito per lavoro grazie alla sua geniale invenzione, in Arabia Saudita, (essere geograficamente più accurati non è possibile neanche volendo: la città in cui Alan si trova è una città fantasma, ancora in costruzione, ricca, per ora, solamente di buoni propositi e buonissimi e tecnologicamente pretenziosi progetti) aspetta. Aspetta, nella sua tenda, quasi nel bel mezzo del deserto (nel vero senso della termine, immenso) che il re tenga fede alla sua parola e gli conceda di presentargli l’opera che ha in serbo per lui.
Per ingannare la perenne attesa che sembra non voler finire mai, Alan, cerca, in ordine sparso e alternato di
1) riagganciare epistolarmente i rapporti con la sua amata figlia (si dice sempre così), sempre più lontana a causa della separazione dei genitori e che rischia pericolosamente di perdere un semestre al college a causa dell’impossibilità del padre di provvedere al pagamento della tassa di iscrizione (ma questa, dopotutto, non è una tragedia, “non somigliava neanche lontanamente a una tragedia”),
2) accusare l’escrescenza-lipoma, posta in scomodissima e allarmante prossimità della sua spina dorsale, a contatto quindi con tutto il suo centro nervoso e vitale, di risucchiare gran parte del suo spirito e di essere quindi l’unico vero responsabile della sua generale inadeguatezza, per non dire depressione generalizzata nei confronti di ogni componente della sua esistenza, nonché della sua goffaggine, mancanza di energia e qualsiasi altra debolezza psico-fisica umanamente e spiritualmente possibile;
3) raccontare discutibili barzellette al suo autista, Yusef, (è assolutamente vietato “chiamare semplicemente un taxi”, necessario è invece costruire piano piano, ma neanche troppo, un rapporto di fiducia con il proprio autista personale) personaggio davvero-davvero simpatico (è definitivamente l’umorismo, la chiave di tutto;
4) accertarsi delle buone condizoni, non sempre comunque confortanti, del segnale wi-fi, necessario alla buona riuscita della presentazione dell’ologramma, sua unica missione in Oriente (ricordiamoci dell’ingente bisogno di pagare le tasse universitarie della figlia nonché il trovare un appiglio al quale Alan cerca disperatamente di far aggrappare il proprio senso di utilità nei confronti del mondo intero, il che, lo capite da voi, non è mai per nulla facile).
Sì, l’attesa permette al cinquantenne Alan di riflettere (forse troppo) sulla sua vita, e i suoi numerosi fallimenti (imputabili solo a lui stesso e a pochi altri, soprattutto dopo la definitiva esportazione del lipoma citato e la conseguente assenza di capri espiatori cui fare consolatoriamente riferimento). L’impossibilità di essere sé stesso e di essere utile come chiunque altro lo persegue durante tutto il romanzo.
Ad accompagnare Alan in questa sensazione è soprattutto lo sguardo degli altri, a partire da sua figlia Kit (il cui sguardo è ormai, più che altro, uno scottante ricordo, nel senso di doloroso ovvero nel senso di vergogna verso sé stessi al pensiero di come un’altra persona pensa a noi e, voglio dire, che orrore! Noi non siamo per nulla in quel modo), “il modo in cui si guarda un essere umano che è più un peso che un vantaggio, che fa più male che bene, che è irrilevante e superfluo per il progresso del mondo”.
Modestie a parte, non è un caso che il progetto di Alan, di natura romanticamente tridimensionale, sia spesso messo in contrasto a ciò che è vero e viene realmente costruito, in tutti i suoi passaggi e nelle sue componenti, insomma, sembra che l’occidente stia pian piano mettenedo in secondo piano l’importanza della costruzione materiale di un oggetto, pezzo per pezzo per fare banalmente largo sempre più alle astrazioni tecnologiche: “laggiù stanno facendo cose vere, e noi facciamo ologrammi e siti web, seduti in poltrone fatte in Cina, davanti a computer fatti in Cina. Ti sembra sostenibile, Alan?”
Il soggetto di Eggers sarà presto sugli schermi, le previsioni dicono autunno-inverno 2015, su rivisitazione di Tom Tykwer (regista anche di, tra le altre cose, Profumo – storia di un assassino, The International e Cloud Atlas): Alan avrà il volto di Tom Hanks e sarà ancora più spaesato di quello che potete immaginarvi.
“Questa è una città nuova. Terreno inesplorato, giusto?” disse Alan. “Avete chiesto a qualcuno del wi-fi?”.
Sì, vorrei chiudere così perché, si sa, l’importanza del wi-fi sta esponenzialmente aumentando ed è una delle prime cose che si chiede quando si entra in un locale anche solo per un caffè (seconda forse solo all’accertarsi della presenza di un bagno agibile, e si spera in buone condizioni igieniche, per i clienti) ma, l’aspirazione al voler sembrare tremendamente profondi è sempre dietro l’angolo e, perseguendo questo intendo, è allora un peccato non citare il consiglio che Alan, finalmente (forse, in un attimo di dubbia lucidità) cosciente di sé stesso, dona alla figlia Kit (anche se il personaggio di Kit fosse stato inserito all’interno del romanzo per giustificare questo pensiero di Alan, Eggers, saresti perdonato): “Cara Kit, l’essenziale è la consapevolezza del proprio ruolo nel mondo e nella storia. Pensaci troppo, e scopri che non sei nulla. Pensaci abbastanza, e sai che sei piccolo, ma importante per qualcuno. È il meglio che si può fare”.
Sì, vale la vecchia e comoda regola: abbastanza, è (più che) sufficiente.
Titolo: Ologramma per il re
Autore: Dave Eggers
Anno: 2013
Editore: Mondadori