Ode alla cipolla proletaria
“La poesia non è di chi la scrive, ma di chi…gli serve”. Diceva bene Mario Rupollo/Massimo Troisi ne Il Postino. Tratto dal romanzo Ardiente paciencia del cileno Antonio Skàrmeta, la pellicola (ma sarebbe meglio chiamare pure questa poesia) italiana sceglie un momento isolato della vita di Pablo Neruda per raccontarne l’intera essenza.
Capri, l’esilio, il 1952, l’amore, la cipolla. Esatto, la cipolla. Sì, perché al di là degli affreschi letterari e cinematografici, nella vita di Pablo Neruda, nel 1952, a Capri, subito dopo il matrimonio “illecito” con la cantante Matilde Urrutia, la cipolla diventa protagonista, diventa involontariamente simbolo sociale, politico, come anche affettivo, intimo e poetico. Il vero amico caprese Mario, tale Mario Alicata, sfidò per gioco la coppia di neosposi Neruda in una gara culinaria e poetica sulla cipolla. “Cipolle marinate al vino rosso, insalata alla piuma cipollina, pasticcio fritto incipollatissimo, ceviche di gamberi di Capri carichi di cipolla violetta”: la vittoria fu schiacciante. Piatti poveri, buoni di quella bontà che solo gli ingredienti più semplici sanno donare, fantasiosi come si addice all’immaginario di un poeta comunista, esiliato, innamorato.
Neruda è per antonomasia il cantore delle passioni carnali e della sensualità, ma non nella loro accezione sfarzosa seppure languida e seducente, quanto piuttosto nella loro forma più elementare. Non per niente, tra le sue opere più famose, ci sono proprio le “Odi elementari”: ode al mare, ode al giorno felice, ode alla semplicità, ode al vino, al pomodoro, al limone, e ancora al carciofo, alla prugna. E, ovviamente, alla cipolla.
Cipolla
luminosa ampolla,
petalo su petalo
s’è formata la tua bellezza
squame di cristallo t’hanno accresciuta
e nel segreto della terra buia
s’è arrotondato il tuo ventre di rugiada.
Sotto la terra
è avvenuto il miracolo
e quando è apparso
il tuo lento germoglio verde,
e sono nate
le tue foglie come spade nell’ orto,
la terra ha accumulato i suoi beni
mostrando la tua nuda trasparenza,
e come con Afrodite il mare remoto
copiò la magnolia
per formare i seni,
la terra così ti ha fatto,
cipolla,
chiara come un pianeta,
e destinata a splendere
costellazione fissa,
rotonda rosa d’ acqua,
sulla
mensa
della povera gente.
Generosa
sciogli
il tuo globo di freschezza
nella consumazione
bruciante nella pentola,
e la balza di cristallo
al calore acceso dell’olio
si trasforma in arricciata piuma d’oro.
Ricorderò anche come feconda
la tua influenza l’amore dell’insalata
e sembra che il cielo contribuisca
dandoti forma fine di grandine
a celebrare la tua luminosità tritata
sugli emisferi di un pomodoro
Ma alla portata
delle mani del popolo,
innaffiata con olio,
spolverata
con un po’ di sale,
ammazzi la fame
del bracciante nel duro cammino.
Stella dei poveri,
fata madrina
avvolta
in delicata
carta, esci dal suolo,
eterna, intatta, pura,
come semenza d’astro,
e quando ti taglia
il coltello in cucina
sgorga l’unica lacrima
senza pena.
Ci hai fatto piangere senza affliggerci.
Tutto quel che esiste ho celebrato, cipolla,
ma per me tu sei
più bella di un uccello
dalle piume accecanti,
ai miei occhi sei
globo celeste, coppa di platino,
danza immobile
di anemone innevato
e vive la fragranza della terra
nella tua natura cristallina.
Sontuoso il linguaggio, dolce come il succo dei lucidi tuberi che canta, quando sudano sotto il sole delle terre da cui arrivano. Alimento primordiale, stregonesco perché usato per guarire, acre perché ricorda la povertà di chi dalla terra e dal proprio sudore ricavava solo loro, le cipolle, e poco più. Popolare, succosa, saporita. Come può non essere la regina dell’universo poetico di un uomo semplice, innamorato, esiliato, comunista? Appunto. Neruda la tratta come una dea, una divinità proletaria dai mille veli. Miseria fatta lusso, il suo canto è però vezzo ancora esclusivo di chi quel pane e cipolla lo vedeva senza dolore e senza rancore. C’è l’allegria, la frivolezza, di chi sulle cipolle ha pianto “senza pena”: un altro, l’ennesimo, sogno proletario per patrizi. Eccola, la ragione di Mario Ruoppolo/Troisi, perché, come la poesia, pure la cipolla non è di chi la scrive, ma di chi gli serve.
Ceviche cileno esiliato a Tropea
Capri è una bomboniera mediterranea per ricchi, esattamente come i gamberi della ricetta che Matilde cucinò con Pablo. Il mare della povertà nostra non è là. Piuttosto, per esempio, è a Tropea. E magari là ci sono anche le cipolle migliori, bomboniere quelle sì. Il ceviche è povero ugualmente, sebbene oggi frequenti le terrazze metropolitane più “in”. Povertà di un altro mare, esotica, e per questo a noi meno nota. La ricetta è di origine incerta, forse entrò nella tradizione culinaria sudamericana come modifica mediterranea di una ricetta inca a base di pesce crudo, forse, al contrario, è la trasposizione americana di un uso morisco andaluso. In ogni caso, la parola cebiche sembra invece venire dall’esca usata anticamente dai pescatori di origine africana lungo le coste peruviane. Al momento del pranzo, il padrone dell’imbarcazione divideva il pesce crudo avanzato come esca con i pescatori che, per rendere commestibili quelle carni puzzolenti, ci aggiungevano cipolle e, nel migliore dei casi, limone. Cavallo di battaglia dell’odierna gastronomia peruviana, al momento la più interessante nel mondo dell’alta cucina, il ceviche si prepara anche in tutti gli altri paesi del Sud America, con mille varianti. In Cile, patria di Neruda, la qualità di pesce più usata è la spigola e gli ingredienti basilari sono per l’appunto la cipolla e il limone.
Ingredienti:
- Filetti di spigola freschissima
- Limoni o lime (a scelta, l’ideale sarebbe il succo di limetta)
- Cipolle rosse fresche di Tropea
- Coriandolo
- Peperoncino verde o rosso fresco
- Olio evo
- Sale
Rispettando l’uso peruviano e ormai anche cileno, il pesce va tagliato a pezzi medio-grandi. Messo in una ciotola, ci va aggiunto il succo del limone o lime, il peperoncino a pezzetti privato dei semi, il sale e ovviamente lei, la regina dei campi mediterranei e della poetica nerudiana: la cipolla. Tagliata in fette sottilissime, va lasciata qualche minuto in acqua fredda prima di aggiungerla al mix di pesce e limone. A questo punto, le scuole di pensiero sono due: o, mischiati gli ingredienti, si decora il ceviche con foglioline di coriandolo fresco e un filo d’olio e si serve subito così, oppure lo si lascia macerare per qualche ora in frigo prima di consumarlo. In entrambi i casi, il sapore sarà estremamente poetico e, come si dice in spagnolo, muy rico.
[…] fresco – e mi sentivo Brigitte Bardot. Non sto a dirvi la sensualità con cui ho scelto carciofi, cipolle e un mazzolin di prezzemolo, cose mai viste nemmeno da Chez […]