Newton, la fotografia prende (il) corpo
Il Palazzo delle Esposizioni di Roma si staglia nell’azzurro di un venerdì mattina, affacciato su Via Nazionale e sul suo indaffarato traffico di turisti e cittadini, tra volantini elettorali e tour operator impacciati. Niente dà più il senso della fuga, immergendosi nell'”oltre” al di là di quelle porte di vetro.
La mostra che visito oggi è quella di Helmut Newton: “White Women / Sleepless Nights / Big Nudes”. Una raccolta di duecento fotografie comparse nei primi e leggendari volumi che Newton ha dato alla stampa e che sono accomunate da vari trait d’union tra i quali, ça va sans dire, il corpo. La mostra si dipana attraverso tre macroaree, ognuna delle quali è dedicata rispettivamente a una delle raccolte che, insieme, danno il nome all’esibizione.
Nel volume “White Women” (1976), al quale è, appunto, dedicata la prima sezione, il fotografo ritrae il nudo nella moda, ottenendo immagini sorprendenti e provocatorie allo stesso tempo, fornendo, peraltro, una sorta di testimonianza della trasformazione del ruolo della donna nella società occidentale.
Le pareti viola accorpano fotografie ora a colori, ora in bianco e nero. Quello che colpisce fin dai primi passi attraverso questa sezione è, però, proprio la provocazione. Una serie di corpi femminili che dimenticano letteralmente l’abito per mostrarsi in tutte le loro fattezze. È impossibile non cogliere, infatti, il tentativo (ad avviso di chi scrive magistralmente riuscito) di trasformarci da osservatori in voyeur, da passanti in imbarazza(n)ti curiosi. Nella serie di fotografie ambientate all’Hotel Villa D’Este sul lago di Como, ad esempio, una finta cornice principesca costituita da un parco sensuale e ricco di storia sposa una infinita declinazione di corpi ora nudi ora appena vestiti.
Stupisce anche, sempre nella stessa area, una raccolta di foto di delitti nelle quali si legge una donna che rivendica il suo ruolo. Una femme fatale in senso letterale e non letterario che non ruba spazio a quello che resta il vero protagonista: il corpo. Così come, ancora, ruba l’attenzione il ritratto di Roselyn sul letto di Napoleone. Un nudo su un simbolo o forse una provocazione che non si può non leggere come estremamente attuale.
Un minuto, infine, prima di passare alla sezione successiva, va dedicato alle foto dei trattamenti di bellezza e a quelle in piscina. Le sensazioni che lasciano sono quelle di un misto di formalità e riservatezza, di lusso che non esclude ma che lascia che tutto possa accadere, di mistero e incontri-scontri di membra e luci.
Passando all’area dedicata alla raccolta Sleepless Nights (1979) si nota, nuovamente, che protagonisti restano le donne, i loro corpi e gli abiti che indossano. Tutto, però, trasforma progressivamente le immagini da fotografie di moda a ritratti fino a sconfinare in abbozzi di reportage di cronaca. Come rileva la critica, infatti, questo volume è a carattere più introspettivo e raccoglie i lavori realizzati per diversi magazine.
La moda, in queste immagini, diventa pretesto per realizzare qualcosa di diverso e molto personale. L’opera include anche tre serie più piccole ma non meno importanti, destinate, infatti, a diventare le rappresentazioni iconiche di Newton. Si tratta di modelle seminude con indosso corsetti ortopedici, donne bardate con selle in cuoio di Hermès e manichini perlopiù “amorosamente allacciati” ad esseri umani. Una provocazione? Forse qualcosa di più.
Tra la fotografie che più lasciano il segno in questa sezione, senza dubbio, va segnalata Sopra Parigi: un paesaggio che ruba la vista e il fiato, ma il corpo femminile che domina la scena si ammira riflesso in uno specchio e lo scenario circostante perde improvvisamente di senso. Anche nella serie di foto Da Maxim la provocazione non perde tono ma, anzi, si rinnova e innova. L’uomo ai tavoli è accompagnato da donne-manichino, ma resta comunque difficile capire chi sia veramente “vivo”. Foto che strappano un sorriso, dunque, come Make Up dove una donna, rigorosamente nuda, trucca un uomo perfettamente abbigliato. Un’inversione di ruoli o semplice divertimento dell’autore? È senza dubbio la soggettività di chi osserva a porre infiniti quesiti dandosi le più fantasiose risposte, come davanti alle foto della macelleria o di un Andy Wharol che dorme imitando la posa di una Madonna.
La mostra si conclude, infine, con l’ultima area dedicata alla raccolta Big Nudes (1981), l’opera con la quale, indubbiamente, Newton raggiunge il ruolo di protagonista nella fotografia del secondo Novecento. È Newton stesso che spiega come i nudi a figura intera ripresi in studio con la macchina fotografica di medio formato, da cui ha prodotto le stampe a grandezza naturale, gli siano stati ispirati dai manifesti di grande formato diffusi dalla polizia tedesca. Una serie di ritratti di nudi femminili, dunque, che accompagnano l’osservatore che ormai ha perso ogni timidezza.
Mi diverto a osservare le mamme imbarazzate con i loro bambini dall’ingresso fin verso la fine, quando hanno abbandonato ogni tentativo di ignorare i quesiti innocenti di chi ancora… Non sa.
L’occhio di Newton, dunque, scandaglia una realtà che, come osserva la critica, al di là dell’eleganza delle immagini, consente di intravedere un’ambiguità di fondo, dove erotismo e morte non sono altro che due aspetti della stessa ricerca di verità.
L’attenzione per lo stile è estrema, quasi esasperata. Ogni gesto lascia spazio a una realtà ulteriore che sta alla soggettività dell’osservatore individuare.
Uno studio del corpo ma non solo, dunque. Uno studio della società nella quale il corpo si muove. Uno studio delle persone che sono questi corpi e di questi corpi che, inevitabilmente, formano e de-formano le persone che li portano.
Un consiglio: visitate la mostra da soli. Perdetevi nel buio degli angoli e fermatevi a pensare sui divanetti sparsi qua e là. Perché a volte fa bene stare con se stessi e un po’ di arte da raccontare.
Gabriele Zagni
L’ha ribloggato su The Law of News.
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