Memories, even your most precious ones, fade surprisingly quickly. But I don’t go along with that. The memories I value most, I don’t ever see them fading.
— Kazuo Ishiguro, Never Let Me Go
Never Let Me Go è un romanzo di fantascienza. No, è un romanzo filosofico. Non proprio, però. E’ un romanzo sulla bioetica. Un bildungsroman. Una storia d’amicizia. Una storia d’amore, di solitudine, e di morte. E’ tutte queste cose insieme, ed è qualcos’altro, qualcosa che non so dire.
Sin da piccoli gli studenti dell’idillico college di Hailsham sono esclusi dalla società, e conoscono solo ciò che è loro accessibile all’interno delle sue mura nella sperduta contrada inglese. Per tutte le domande alle quali non possono rispondere, inventano delle bugie bianche. Passano il loro tempo fra lezioni e chiacchiericci. Vengono incoraggiati a esplorare la propria creatività e a produrre opere artistiche che se valide, verranno esposte in un misterioso museo, fuori da Hailsham, in un luogo che nessuno di loro ha mai visto, o vedrà mai. Eppure loro credono nella sua esistenza, e non si pongono dubbi sul perché una donna misteriosa chiamata Madame venga ogni mese ad esaminare i lavori maldestri di ragazzini spesso senza talento; né si interrogano sul perché nessuno di loro ricordi i propri genitori, o sul perché non abbiano fratelli, né sorelle.
Si aggrappano gli uni agli altri, ma sono soli. E moriranno soli – come tutti, forse, senza aver realmente vissuto. Nessuno li ricorderà, una volta andati. I loro dipinti di bambini rimarranno in uno scantinato polveroso, simbolo di un terribile dubbio a cui nessuno ha avuto il coraggio di dar risposta. Sognavano di viaggiare, di diventare attori di Hollywood o ingegneri, o scrittori o piloti, ma usciti da Hailsham potranno scegliere molto poco delle proprie vite: il loro destino è di diventare donatori – e dare il proprio corpo finché non ne rimane nulla.
Never Let Me Go è un romanzo straordinario, forse tra i più rappresentativi della nostra contemporaneità. Piegando il genere sci-fi alle leggi dell’alta letteratura, con un controllo stilistico magistrale e un occhio squisitamente analitico, Katzuo Ishiguro esplora i confini del significato stesso dell’essere – umani. Scritto nel 2005, prima di Black Mirror, prima di Westworld, questo romanzo tocca con la delicatezza di un haiku alcuni dei quesiti più inquietanti che il progresso tecnologico ci pone sul tema della clonazione.
I bambini di Heilsham sono come Pinocchio, ma nessuna fata turchina li trasformerà mai in bimbi veri. Eppure, come il calabrone che non sa di non poter volare, loro ignorano la propria finzione; non sono consapevoli di cosa significhi, in verità, essere o non essere umani. Sognano, si imbarazzano, soffrono la solitudine, ricercano calore, si innamorano, si tradiscono, si perdono, si perdonano. Accettano la loro realtà come un dato di fatto inoppugnabile: nessuno si ribella contro la feroce ingiustizia delle loro (in)esistenze. Ishiguro è un creatore spietato, e intelligentissimo: i pesci non sanno cos’è l’acqua. Ognuno vive nel solo modo che conosce.
Con i suoi periodi brutalmente scarni, le sue messe a fuoco su particolari solo apparentemente effimeri, sotto i merletti, le convenzioni, le apparenze, Ishiguro disseziona il concetto di umanità, alla ricerca del significato più profondo delle interazioni sociali, dell’amore, dell’amicizia, e infine, dell’attaccamento alla vita. Tale analisi viene svolta attraverso gli occhi di Kathy, la narratrice scelta per accompagnarci in questo doloroso e fondamentale viaggio – il suo candore, la sua gentilezza, la sua arrendevolezza ci indignano e ci sconvolgono. Ci fanno venir voglia di strapparci i capelli, correre nudi per strada, cantare a squarciagola. Questo libro risveglia in noi un ancestrale istinto di sopravvivenza – perché quello che leggiamo è non solo una placida accettazione della solitudine, del dolore e della morte, ma una per noi inaccettabile rassegnazione al fatto che tutto ciò che Kathy ha mai provato nella vita non avrà in verità alcuno sbocco – tutta quella umanità, di cui la sua vita è stata intrisa, non lascerà alcuna traccia. Ha amato, ed è stata amata, ma non è mai esistita… La sua individualità è polvere. Il suo – e il nostro, per immedesimazione – diritto di esistere come essere umano è messo in discussione.
Di qui la domanda, devastante perché senza risposta: cosa significa essere umani?
Lasciare che il nostro sentire ci definisca, influenzi le nostre scelte e si intrufoli dentro di noi, plasmandoci; la sensazione del tempo che scorre lento quando si è annoiati, e veloce quando ci si diverte; conservare ricordi che nessun altro possiede, momenti intimi di silenziosa intensità: l’aria di mare nei polmoni; gli occhi che pizzicano quando ci si sforza di non piangere; una canzone che ci riporta indietro a un fotogramma di vita che pensavamo di aver dimenticato; un panorama mozzafiato che ci fa sentire di essere parte di qualcosa di magnifico; mangiare per il piacere di mangiare, lentamente; il sorriso del proprio amante, al mattino, con gli occhi ancora chiusi; un disegno un po’ sgorbio, fatto a dieci anni, con i colori preferiti, quel giorno che la professoressa ci aveva messo una mano sulla spalla e aveva detto che stavamo andando benissimo, e il cuore ci si era gonfiato di orgoglio, che quasi scoppiava come un palloncino.
E’ questo essere umani?
E se non questo, cosa?
Emanuela Anechoum
Titolo| Non lasciarmi (Never Let Me Go)
Autore| Kazuo Ishiguro
Casa Editrice| Einaudi
Anno| 2006
Pagine| 291