Nero Wolfe e le salsicce mezzanotte
Confesso: non sono una di quelli che aspettano l’estate tutto l’anno e al primo sole corrono a spalmarsi in spiaggia. Tendenzialmente, i fastidi di stagione mixati a pressione bassa e mezzi pubblici romani rendono il pensiero di un luglio metropolitano piuttosto angosciante. Eppure qualche gioia so che aspetta anche me, tipo il cocomero on the road alle 4 del mattino, l’aperitivo al parco coi piedi felici nell’erba o un bel romanzone giallo vecchio stile che ritrovo a casa la sera quando la calura si affievolisce e si spalancano le finestre. E giacchè abbiamo preso la via delle confessioni, inutile negare che in materia d’investigatori demodè ho una preferenza assoluta: Nero Wolfe.
Creato dalla penna di Rex Stout nel 1934 e da allora interpretato da un lungo elenco di attori di successo sul piccolo schermo, il personaggio di Nero Wolfe è diventato ormai il paradigma dell’investigatore privato sempre in conflitto con la polizia, piuttosto snob e parecchio colto, sornione, scontroso e incredibilmente arguto. Il primo mistero dei romanzi che lo vedono protagonista è infatti lui stesso, irresistibile eppure disgustoso, infallibile eppure chiuso nella sua routine paranoide. Un po’ come me tra maggio e settembre, Nero Wolfe detesta uscire di casa, è misantropo, misogino, e insofferente verso chiunque lo costringa a occuparsi di un caso distogliendolo dalle sue uniche vere passioni, le orchidee e l’alta cucina. Non per niente è proprio nel romanzo che lo vede alle prese col mondo della gastronomia che dà il meglio di sé.
“Too many cooks” (Alta cucina, 1938) è uno dei pochissimi casi in cui seguiamo il nostro Nero fuori casa, convinto non senza difficoltà a lasciare il suo attico a New York dal fedele assistente Archie Goodwin – suo biografo e suo alter-ego, tutto donne, corse in macchina, intraprendenza e ingenuità -, per partecipare al convegno dei quindici migliori chef al mondo, Les Quinze Maîtres. In realtà ci è ben chiaro da principio che a Nero Wolfe non interessa altro che avere a tutti i costi (letteralmente) la ricetta delle mitiche salsicce mezzanotte dallo chef catalano Jerom Berin. Peccato che anche questa volta sarà costretto a guadagnarsi il pane (e le salsicce) risolvendo l’ennesimo caso. Del resto, quale scenario migliore per uno scrittore che voglia mettere alla prova l’intuito del suo personaggio se non un convegno d’alta cucina? Non diversamente da quanto possiamo immaginare oggi, infatti, gli chef in questo romanzo sono ritratti come veri e propri divi: capricciosi, orgogliosi, competitivi e spietati. Inevitabile che ci scappi il delitto.
Eppure, non può spiegarsi solo così ed essere ridotto ad una mera questione di divismo il legame ripetuto tra il mondo del gusto e quello del mistero. Cosa hanno in comune la cucina più elaborata e raffinata e la capacità intellettiva di venire a capo di matasse di interessi e rapporti amorosi, invidie e gelosie che sfociano nella violenza? Anche a volersi scervellare non se ne esce con semplicità. Nonostante tutto però c’è una parolina, un’unica parolina che mi risuona in testa e che forse, più di ogni altra coglie anche la particolarità del successo di Nero Wolfe: “dettagli“. L’abilità di cogliere i minimi dettagli con lo gli occhi e con le orecchie, ma anche col naso e col palato, quindi con la mente ma a un livello ancora associativo, non cosciente, non razionale, è tanto preziosa in cucina quanto nelle indagini. E la cura maniacale per la composizione di un piatto, la coerenza della struttura, del mix di sapori e di elementi, aiuta di certo a familiarizzare con la complessità delle situazioni in cui ci si imbatte ed è, insomma, esercizio di comprensione della realtà come, se non più, un rompicapo.
In questo senso, anche la scrittura s’iscrive a pieno titolo nell’insieme delle applicazioni complesse dell’intuito. Nel caso dei gialli, dei polizieschi e dei noir, in particolare, è l’architettura a richiedere il maggiore sforzo intellettuale: gli elementi vanno seminati nella narrazione con gran gusto, cioè appunto, definendo un equilibrio che si traduca in goduria. La trama va condita di sfumature ironiche, ammiccanti e il piacere del mistero va preservato e allo stesso tempo reso accessibile, così che, non diversamente da un buona salsa, il risultato sia omogeneo e vellutato, evitando che gli indizi si facciano grumi, cioè troppo palesi, rovinando quindi la complicità con il lettore.
Alta cucina è insomma l’esempio perfetto dell’artigianato del coltello, strumento tanto dello chef quanto dello scrittore, nonché capostipite della pingue letteratura di crimine e cucina che personalmente proporrei di etichettare “di manicaretto e di mistero”, tanto dilettevole quanto indispensabile per le teste calde sotto gli ombrelloni d’inizio estate.
Salsicce mezzanotte vietate ai minori
Caution: attivate il parental control. L’oscenità dello spuntino di mezzanotte si fa rovente quando entrano in scena grasso d’oca, pancetta e fagiano arrosto. Più che “Sogno di una notte di mezza estate” potrebbe diventare un “Maalox nightmare”, quindi maneggiatela con cura e fatene buon uso. Anche perché il delitto peggiore sarebbe non rendere giustizia alla fatica che Nero Wolfe ha affrontato per conquistare questi segreti in cucina. Roba che non cade mai in prescrizione.
Ndr: riporto fedelmente dal romanzo le dosi della ricetta e non mi assumo responsabilità per le vostre arterie o le derive noir della serata (perdonatemi, ma sì, questa non ho avuto coraggio di provarla).
Ingredienti:
- 2 cipolle
- 1 spicchi d’aglio
- 2 cucchiai grasso d’oca
- 3 cucchiai brandy cucchiai di burro
- 3 cucchiai brodo di manzo
- 3 cucchiai vino rosso
- timo, rosmarino, zenzero, noce moscata, chiodi di garofano, pane grattugiato q.b.
- 100 gr. pancetta bollita
- 100 gr. lonza di maiale arrosta
- 200 gr. arrosto d’oca
- 200 gr. fagiano arrosto
- sale e pepe q.b.
- 1 cucchiaio pistacchi sbucciati
- intestini di maiale per insaccare
Tagliate una cipolle a metà e infilzate in ogni metà un chiodo di garofano, poi tritate l’altra cipolla con l’aglio e fate rosolare il tutto nel grasso d’oca. Poi versate il brandy fino a coprire le cipolle, fatelo flambare e bagnate con il brodo e il vino rosso. Aggiungete poi un rametto di timo e uno di rosmarino, spolverizzate con zenzero in polvere e noce moscata. Cuocete a fuoco lento per circa dieci minuti e aggiungete abbastanza pane grattugiato da ottenere una polpa. Dopo di che cuocete ancora per altri 5 minuti mescolando perché non si bruci. Passate alle carni: prima il bacon bollito e l’arrosto di lonza, poi l’arrosto d’oca e di fagiano, ovviamente tutto sminuzzato al coltello. Salate e pepate e aggiungete il pistacchio. A questo punto basta lasciare cuocere il tutto a fuoco lento finchè l’impasto non raggiunga la consistenza del ripieno di una salsiccia fresca. Perché, infatti, andrà insaccato (preparatevi psicologicamente e in caso non siate degli chef super accessoriati fatevi amico un macellaio). Dunque, raffreddate completamente il composto. Lavate e scottate, giusto per sbianchirli, gli intestini di maiale e quindi riempiteli con l’impasto, ovviamente strozzando di tanto in tanto la salsiccia con del filo. Cuocetele sulla brace (in giardino, in quegli aperitivi felici di cui sopra) o sotto il grill del forno.