Qualcosa che ti farà rabbrividire. Nada e dieci nuove canzoni

Qualcosa che ti farà rabbrividire. Nada e dieci nuove canzoni

Foto di Claudia Pajewski ripresa da IoDonna

“È lì che mi sento e che esiste la verità di tutti noi: nel tormento, nei momenti critici dell’esistenza, nel guardarsi intorno, nel cercare di capire. Lì c’è la verità, lì ci sono cose da dire e sono cose che non si possono esprimere alleggerendo e ammorbidendo i toni. Che poi io sono anche una persona solare, non sono una donna chiusa, che non parla. Ho un carattere abbastanza aperto, ma, come dico sempre, tutti racchiudiamo tanti aspetti dentro di noi, e io quando scrivo canzoni pesco sempre dalla mia parte più scura.” (Da un’intervista a IoDonna, questa)

La verità è che l’ascoltatore rock è un conservatore da almeno vent’anni, uno che vuole sentirsi rassicurare sul fatto che chitarre, basso e batteria – infilate nella classica struttura strofa-ritornello-strofa – contino ancora qualcosa di per sé e sull’epica – perdente o vincente, indifferentemente – di testi che siano però subito comprensibili, che rimino in un modo risaputo, che rimandino a una tradizione consolidata. Insomma: cerca solo belle calligrafie giusto un po’ rumorose, spesso.

Personalmente sto cercando di smettere con tutto questo, ma ricordo ancora la prima volta da adulto in cui ho ascoltato Nada: era ospite di uno dei dischi italiani più belli e poetici degli anni zero, Sorella Sconfitta di Massimo Zamboni, insieme ad alcune altre interpreti di rango (una meravigliosa e roca Lalli, su tutte), e la sua voce – che si trattasse di bassi profondi o strilli acutissimi – squarciava la membrana delle casse nel punk Su di Giri e nel dub narcotico Miccia Prende Fuoco. Ecco: tanto strepitare, tanto stridore non mediato, erano inconsueti per i miei standard rock dell’epoca; troppo graffianti, quasi sconvenienti in quell’immediatezza – la stessa sensazione che si prova ogni volta che si mette sul piatto un nuovo album di Edda, per dire di un altro interprete mai rassicurante. L’ho capito solo dopo che stava tutta in quei dettagli la differenza tra un artigiano e un artista, tra un prodotto e un’opera incisa nella carne.

Era il 2004, lo stesso in cui la cantante livornese dava alle stampe quello che rimane forse il simbolo della sua seconda vita artistica, Tutto l’Amore che Mi Manca: un piccolo classico di rock alternativo disgregato e mai sottomesso, prodotto dal nume John Parish, già al lavoro con PJ Harvey e Sparklehorse, Eels e Giant Sand, Afterhours e Cesare Basile. Quindici anni dopo, il sodalizio con il musicista britannico si rinnova per È un Momento Difficile, Tesoro, nuova raccolta sferzante e quadratissima di canzoni a fior di pelle che confermano Nada come una delle poche voci capaci davvero di plasmare nuove forme rock.

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“Di solito io, all’inizio, quando mi metto al lavoro su del materiale nuovo, sono sempre sconfortata, perché non mi esce niente e mi convinco di aver già detto tutto. Poi all’improvviso mi arrivano delle immagini, affiorano nella testa, a volte basta una parola e mi ritrovo immersa in un argomento.”

Sembrano sgorgare davanti al microfono, le canzoni di Nada, in totale naturalezza. Il primo singolo Dove Sono i Tuoi Occhi è costruito su un crescendo incalzante e drammatico di chitarre elettroacustiche e batteria e su una vocalità selvaggia che si arrampica graffiante su per le scale (un suo trademark, il cantato doppiato su due ottave), fino ad arrivare a quel grido riconoscibilissimo: sfinito, liberatorio, di nuovo sconveniente nel suo strapparsi di dosso una sofferenza reale. Sul disco arriva subito dopo O Madre, altro vertice, un andare senza posa narcolettico in cui si ritorna al grembo materno in cerca di conforto, riconciliazione.

La produzione di Parish si rivela sottile e cruciale: nello sferragliare degli stacchi, nella presenza sonica della batteria, nella centralità della voce di Nada che comunque non mette mai in ombra il resto; ma la differenza la fa un parco canzoni che, sebbene forse privo di classici assoluti, può vantare una qualità media davvero elevata – l’ultima PJ Harvey, per dirne una, un livello simile lo vede col binocolo. Lo sguardo dentro di sé e al mondo intorno si fa spesso torvo, e del resto parte dell’ispirazione nasce da un lutto recente – la scomparsa dell’amico e collaboratore Fausto Mesolella, che con Ferruccio Spinetti formava il Nada Trio.

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Si definisce l’umore già nel riff secco della title-track; si cercano un po’ di calma, serenità e un nuovo inizio nel passo lento di Due Giorni al Mare (“guardando l’acqua, cercando il sole, potrei anche innamorarmi ancora”); si gioca con la voce in Disgregata (che bello quello scat, sul finale); ci si rialza a guardare la luce del sole nella pura levità pop di Macchine Viaggianti (“un cuore duro di pietra, che ha visto le onde, tempeste, foreste, e viaggia contro il tempo che frena ogni sentimento, un tormento che non ti lascia respirare”).

Alla fine, proprio alla fine, s’incontrano due dei brani più significativi. Lavori in Corso tratteggia istantanee di un presente violento (“quante immagini insanguinate, quante strade rivoltate, quanti colpi, quante botte, quante anime distorte”), di un momento storico tanto doloroso quanto inevitabile, per rifugiarsi nelle piccole cose (“in un tramonto un po’ speciale che all’improvviso ti si apre il cuore”). L’ultima, Un Angelo Caduto dal Cielo, suona come un’invocazione laica per organo, fiati e batteria soffusa: per chi non c’è più e per chi è rimasto qui a prendere pioggia, a guardare tramonti, a trovare un modo per arrivare dove c’è da arrivare. Lentamente, col proprio passo.

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Titolo | È un momento difficile, tesoro
Artista | Nada
Durata | 40’
Etichetta | Woodworm

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