Mon Amour, nell’amore e negli oggetti con Arian Vazirdaftari
Cosa rimane di noi negli oggetti? Oggetti che usiamo quotidianamente e coi quali interagiamo, attraverso i quali creiamo relazioni. Sono solo oggetti o qualcosa di noi rimane in loro? È la domanda che sorge guardando “Mon Amour“, cortometraggio del regista iraniano Arian Vazirdaftari. L’idea è semplice: una coppia sta riprendendosi col nuovo smartphone appena preso, quando uno scippatore ruba il telefono e scappa. Una volta al sicuro, guarda il video nel quale si è trovato involontariamente a partecipare.
Lontano dal monologo bellissimo (e nichilista) di Trainspotting e dagli “oggetti che ci posseggono” di Fight Club, il regista traccia la sia visione dell’interazione fra uomo ed oggetto. Viviamo in un mondo iperconnesso, al quale è impossibile sfuggire. Fa ormai parte di noi tanto da arrivare a cambiare il rapporto che abbiamo con gli alcune oggetti. Lo smartphone del corto diventa appendice e parte integrante di un rapporto, di una storia personale. Chiunque abbia vissuto relazioni a distanza (vi vedo) sa quanto queste siano dipendenti anche dal mezzo di comunicazione. Dentro il cellulare rimane una traccia di noi, capace addirittura di modificare qualcosa nel fiinale (giustamente aperto) del corto. Lo schermo è qui una sorta di mcguffin al contrario, dove chi guarda non è mai in scena (né prima né dopo il furto), e crea un forte parallelismo fra i due personaggi maschili della storia (il fidanzato ed il ladro). Come loro risultano intercambiabili e sovrapposti, lo siamo anche noi spettatori, sguardi dietro lo sguardo.
Non è facile trovare al cinema un uso così disinvolto delle nuove tecnologie, senza che queste appesantiscano in alcun modo la narrazione, ma perfettamente funzionali in questa. Perché la storia in fondo è semplice: è una storia d’amore, dove un ragazzo regala uno smartphone alla sua ragazza e lei di rimando gli regala un nome nuovo. La sceneggiatura riesce in pochissimi minuti a delineare una relazione, un rapporto ed anche un background per i protagonisti (sia in termini culturali che economici), attraverso lo smartphone.
I sentimenti non sono cambiati. Gli oggetti sono solo oggetti. Ma li riempiamo di noi, fino a renderli qualcosa di diverso.