Pianura a pedali/6 | Momenti di grazia tra Isola Dovarese e Pessina Cremonese
C’è un detto locale che recita: “sa’l piòof èl dé de Sàanta Crùus per quaràanta dé suntum in crùus” (se piove il giorno di Santa Croce – 3 maggio— per quaranta giorni siamo in croce). Inutile dire che quest’anno il tre di maggio ha piovuto e la maledizione è scesa sulla pianura e su tutti gli anziani che già giravano a torso nudo ad aprile, portando tre settimane d’autunno a metà primavera. Poi il cielo si è aperto ed è arrivata potente l’estate, sono spuntati i papaveri, l’avena selvatica e i soffioni giganti e l’ora del tramonto si è trasformata in un momento di grazia nel regno del concime e delle rotoballe.
Questa storia parte da Isola Dovarese, terra di spettacolanti e improvvisatori, terra d’ingegno e invenzione, terra di gastronomia e ricerca, laboratorio culturale a cielo aperto dove qualcosa è sempre in cantiere. Isola Dovarese ha già offerto molti spunti alle pagine di SALT e oggi offre una bicicletta in prestito a una povera esule vescovatina, che negli ultimi dieci anni qui ha trovato pasti caldi, riparo dalle intemperie, impegni improrogabili, qualche grattacapo e competenze sparse in tema di danza rinascimentale, spettacolo, fuoco, rievocazioni e problem solving.
Il fiume che circonda su tre lati l’antico dominio dei Dovara, e successivamente dei Gonzaga, non è il grande Po ma il più docile Oglio che accoglie benevolo fotografi di tramonti, pescatori e pittori oltre a dividere la provincia di Cremona da quella di Mantova, di cui già si sentono gli influssi in qualche dieresi di troppo sulle u e molti accenti gravi sulle e. Partendo dalla leggendaria piazza gonzaghesca passo sotto l’arco attraversando Porta Tenca, la mia contrada d’adozione, giro due volte a destra verso il cimitero e i campi, schivo qualche gallina e raggiungo la provinciale. Fin da piccola, quando sapevo ben poco delle capacità sceniche di Isola Dovarese, ho sempre pensato che gli ultimi due chilometri prima dell’ingresso del paese fossero un bellissimo teatro naturale, forse uno dei più bei paesaggi del cremonese, a sinistra i pioppi, i piccoli boschi e il fiume placido spesso solcato da aironi o garzette, dall’altra parte gli alberi e l’abside della chiesa isolana di San Nicolò.
Mi lascio tutto questo sul fianco destro, attraverso la strada principale e scendo verso le cascine di Monticelli Ripa d’Oglio, un piccolo paese fatto da una sola larga via affiancata da case di campagna che sul retro nascondono orti, cortili e cascine. Nel paese si trova un antico convento della congregazione degli olivetani a cui è annessa la Chiesa di Santa Maria che ospita un affresco tardo quattrocentesco attribuito a Bonifacio Bembo.
Le strade silenziose e spesso deserte mi conducono fino all’imbocco di una via bellissima e verde che attraversa la campagna, lasciando sulla destra i pioppi, il primo cimitero gli scorci sulle anse dell’Oglio, i campi di patate, l’agriturismo, le serre di pomodori e il secondo cimitero. In questo paesaggio di terra e acqua la grazia della natura è interrotta da un corvo che volteggia e grida sopra di me e la mia bici come se cercasse di cacciarmi via o mi avesse scelta come pasto.
Sfuggo veloce al presagio di sventura e arrivo in pochi minuti al cartello western che annuncia l’arrivo a Villarocca, poche case, una bella chiesa, molti gatti sdraiati in mezzo alla strada e soprattutto Villa Fraganeschi Castelbarco, o quello che ne rimane. Ci sono due ingressi segreti e vietati al pubblico per ammirare da vicino le rovine dell’antica villa, il primo è dalla strada che costeggia a sinistra l’edificio e il suo giardino, da lì molti sentieri portano nell’intrico degli alberi tra arbusti, specie arboree esotiche e qualche raccoglitore errante con borse di cui non dirò oltre. L’altro ingresso segreto è sul retro e si raggiunge costeggiando il terrapieno che chiude la villa sul lato sinistro fino al fiume e proseguendo in riva all’Oglio pochi metri fino ad incontrare i resti dell’ingresso posteriore.
All’interno si attraversa l’erba alta, gli alberi secolari e il laghetto circondato da un piccolo bosco di cipressi calvi e si arriva nella zona centrale dove sono ben visibili le rovine della villa. L’edificio nasce nel 1700 come dimora di campagna del vescovo di Cremona, Ignazio Maria Fraganeschi e diventa successivamente residenza dei Castelbarco, Pallavicino e Visconti fino agli anni ’70 del Novecento quando si estingue la casata del Freganeschi-Castelbarco-Visetti-Visconti, la villa viene quindi abbandonata e ripetutamente saccheggiata mentre attorno il giardino all’inglese cresce incontrollato diventando un vero e proprio bosco. Tra le macerie del tetto si vede ancora il soffitto a cassettoni mentre nulla rimane dello sfarzo delle sue sale, in particolar modo del salone dove un camino era sormontato da un decoro a sirene. Spostandosi verso l’accesso frontale ci si perde nel labirinto degli alberi non autoctoni, che crescendo si stanno attorcigliando alle rovine, sulla destra appaiono invece le antiche lavanderie coperte di foglie e invase dai rami degli alberi e dalle ragnatele.
Un’immagine invernale e fangosa della villa e del suo bosco appare in un famoso video, selezionato dal bicycle film festival di New York nel 2012, è il racconto di Rockville, la competizione ciclistica su bici da Ciclocross Singlespeed che si tiene ogni 6 di gennaio da almeno dieci anni per le strade della villa, insomma, cose serie per ciclisti seri, mentre io e la bici da donna decorata a fiorellini bianchi ripartiamo schivando i gatti e dirigendoci verso il paese di cui Villarocca è frazione, Pessina Cremonese, poco più di 600 abitanti per 22 chilometri quadrati di campi e stalle.
Entrando a Pessina, da ogni lato si viene accolti da un cartello che descrive il paese come “comune libero da pregiudizi razziali” tanto da aggiudicarsi nel 2010 il Premio Regionale per la Pace.
Il merito di Pessina è stato quello porre le basi per una fattiva convivenza con la comunità sikh, di casa nelle campagne cremonesi da più di dieci anni, autorizzando la costruzione di un grande tempio e centro culturale inaugurato nell’agosto del 2011. Da allora, ogni domenica, circa 600 fedeli passano qui la giornata di festa tra preghiere, canti sacri e il pranzo, offerto agli ospiti di qualsiasi religione.
Pessina, sorta in terre un tempo paludose e quindi pescose, è stata teatro di un importante episodio della resistenza cremonese, le barricate antifasciste a Sant’Antonio del Fuoco. Dal 1946 è patria di un’intramontabile festa dell’Unità dove, a metà giugno e per due settimane, torta fritta, Rabosello e Titti Bianchi scorrono a fiumi attirando coppie inossidabili di ballerini di liscio, quelli che se azzardi timidamente due passi inciampati di valzer sulla pista ti travolgono volteggiando e lanciando maledizioni. Ma è giusto così, il liscio non è cosa per donne da bicicletta o forse sono solo io che non riesco a mettere insieme una misera mazurka.
Ritorno nell’Isola dei Dovara al tramonto mentre le rotoballe luccicano al sole e sciami di insetti salgono dai fossi, non c’è in giro un’anima ed è il vero momento di grazia della pianura.
Melissa Fontana