Mitski | Your Best American Girl
Dopo il concerto di Cage the Elephant, credo che quello di Mitski sia uno dei più meritevoli nei -11 gradi del febbraio a Monaco di Baviera.
Mitski fa parte di quella corrente del variegato panorama dell’indie pop statunitense formata da artisti che hanno in comune la tonalità ovattata del fatto di essere donne e il fatto di essere freak. O comunque, fuori dai canoni, fuori dal sorridente e fuori dal plasticato.
Faccio riferimento, tanto per dire, al duo di CocoRosie e a una Turn me on da cui, nella versione live, viene fuori qualcosa di sporco, trattenuto, sarà il contrasto ondulatorio e psicologico di archi, arpa, beat box e bassi ancestrali. Parlo anche della malinconia di The Greatest di Cat Power e di quella leggerezza ingenua di gente e stagioni che vanno e vengono. La stagione dell’amore viene e va e tutto il resto.
A proposito di leggerezza, l’ LP di Mitski uscito la scorsa estate s’intitola Puberty 2 e Your Best American Girl è il primo singolo estratto in cui c’è tutto: Il sesso, il continente e la questione razziale. Aspetta, aspetta. Questione di genere e integrazione. Oggi, negli USA.
Non suona attuale?
Nel caso specifico, nei testi di Mitski -e Your Best American Girl non fa eccezione- ricorre il tema dello shock culturale tra le origini nipponiche e la vita a New York, l’american way, quello che i ragazzi vogliono e quello che le donne dicono. Il videoclip è esemplificativo: mentre un ragazzo e una ragazza (il capitano della squadra di football e Regina di Mean Girls per intenderci) si accoppiano brutalmente, Mitski si sfoga in un assolo di chitarra elettrica. Il tema dell’appartenenza a un’identità americana idealizzata e lontana è più forte che mai.
Il videoclip di Happy, il secondo singolo, calca il tema. Questa volta la protagonista è una giovane giapponese che prima viene chiesta in sposa da un marine, poi s’imbatte in ciocche bionde delle amanti del marito. Il biondo è un tema forte, la Madama Butterfly di più.
Your Best American Girl esprime una certa energia triste il cui centro propulsivo è una voce prima timida e composta che poi si riempie e cavalca un assolo ruvido di chitarra elettrica. L’effetto è estremamente girly e carico di pathos, accentuato dalle sfumature elettroniche di cui si colorano gli undici brani di Pubertiy 2 e nel complesso, l’adolescenza.
In discussione non c’è solo un’identità culturale percepita come irraggiungibile, ma il ruolo stesso della donna. In testi ritmati e sognanti, a volte accompagnati da fiati o da bassi e da un’atmosfera ovattata , si fa riferimento alla penetrazione e al fatto di “dover pulire”, all’andare alle feste sulle ginocchia e del fatto che i ragazzi si aspettano un finale o vogliono di più.
Mitski dà voce alla rabbia e allo slancio di chi è sempre e per sempre fuori dal coro, per timidezza, per intelligenza, per consolarsi con il fatto che se le ragazze americane si fanno i ragazzi americani, quelle sensibili hanno l’arte dalla loro parte.