Mira Sofia (cose bulgare)
Sono tornato da Sofia da qualche ora. Pochi minuti prima di decollare la pioggia fine che scendeva dalla mattina presto si è trasformata in una fitta nevicata. A oriente i venti che scendono improvvisamente dalla Russia hanno effetti demiurgici e immediati sul clima. Entro in doccia e lascio scorrere l’acqua sul viso. Al primo getto sento scendere dai capelli un odore misto tra quello della legna che brucia e quello delle stufe a cherosene. Deve essersi depositato mentre i fiocchi di neve ripulivano l’aria. Ed è da quell’odore che ritorno alla capitale della Bulgaria. A quella città strana e un po’ ingannevole che ho appena lasciato. Un luogo all’apparenza freddo dove l’odore dell’antico lo respiri nell’aria un po’ inquinata da chi si scalda, dalle decine di taxi gialli che corrono all’impazzata e dalle cucine di una miscellanea di tradizioni.
Parti per Sofia ironizzando sulle note di un tormentone estivo e di “Mira Sofia” fai il titolo del tuo viaggio quando ad accoglierti all’aeroporto è un tassista che parla solo spagnolo (che alzi la mano chi non si è arreso a sapere a memoria le due canzoni – due – di Alvaro Soler, su). Ti fai scaricare in un appartamento in centro prenotato su Airbnb. Ormai non mi sembra più così completa l’esperienza del viaggio senza poter anche salire le scale di un condominio, annusarne gli odori e origliarne i discorsi in lingue sconosciute.
Sofia è una di quelle città balcaniche che oltre a mostrarsi ha bisogno di essere raccontata, spiegata. E’ una città sulla quale, a ondate, sono passate civiltà, volontà, costruzioni e distruzioni diverse e dove nessuno si è impegnato più di tanto a dare un senso a questi strati. Per questo la prima cosa da fare nei Balcani è provare a spogliarsi dei nostri canoni di bellezza. Qui non c’è assolutezza. All’apparenza, di fatti, Sofia può sembrare fredda, austera. Il (ri)tocco sovietico sceso qualche decina di anni fa è ancora evidente e richiede talvolta un piccolo sforzo di astrazione. La prima prova, ad esempio, la si affronta visitando il parco del Palazzo Nazionale della Cultura, un complesso enorme a base ottagonale che è il simbolo del ruolo dell’arte e del suo asservimento durante il regime ma anche un centro nevralgico dell’outdoor cittadino. Una lunga fila di fontane, vuote nei mesi invernali, è riempita da cumuli di neve dove giocano bambini e cani.
Poi ci sono le chiese. O meglio, i luoghi di culto. Come a Sarajevo, puoi trovare rappresentati nella stessa piazza il rito ebraico, quello islamico e quello ortodosso. Sinagoga, chiesa, moschea. Su tutte, alcune sono immancabili: la Moschea Banya Bashi, la chiesa russa di San Nicola, la chiesa di Hagya Sophia, la chiesa di Sveta Nedelya e la arcinota (a buon merito) Cattedrale Aleksandr Nevskij. Nella chiesa di Hagya Sophia si può scendere nel dedalo di tombe e cunicoli sotterranei recentemente restaurati, ne vale davvero la pena. Nella Cattedrale, invece, bisogna lasciar salire lo sguardo fino alla cupola più alta. Farlo passare attraverso la luce della candele alte e strette, una delle tappe della ritualità ortodossa. Farlo scendere di nuovo su un’icona e spiare i sussurri dei fedeli che vi affidano la loro preghiera col segno della croce svolto al contrario.
In contrasto con tanta immensità, c’è un ultimo luogo di culto lontano dagli itinerari turistici. Bisogna prendere un taxi e farsi portare a Bojana, un piccolo villaggio a 15 minuti di auto dal centro. Bastano 5/6 euro (12 LEV circa). Qui la neve è più alta e sembra di tornare indietro di almeno 50 anni. Vecchie auto sovietiche giacciono dismesse nei cortili. L’aria è pungente. Il cielo scuro e la neve non rendono merito alla bellezza della chiesetta di questo borgo che, però, è stata inserita nel patrimonio mondiale dell’UNESCO. Dentro, infatti, in quella manciata di metri quadrati che la compongono, le pareti sono completamente ricoperte da una serie di affreschi vivacissimi. Espressivi. Forti. Parliamo del 1259. Giotto non era nemmeno nato, come tiene a ricordarmi la signora / custode / guida che in un buon inglese mi si avvicina per sussurrarmi qualcosa sul posto. Chissà quanti turisti increduli ha visto passare: è stata in Italia a studiare arte e penso che vada fiera del fatto che qualche grande artista bulgaro qualunque ci abbia preceduto nell’evoluzione della tecnica. E ancora, chissà come è sopravvissuta alle orde di turchi passati di qua, dice.
Sofia non è solo religioni, però. Anzi. Suggestive sono le sorgenti di acqua termale vicino ai Bagni Pubblici di Sofia, vicino alla moschea. E, ancora, la sede della Commissione Centrale e del Consiglio dei ministri, la rotonda di San Giorgio e quella specie di foro che corre vicino alla statua di Santa Sofia che tanto ha da raccontare. Sì perché ne hanno fatto di casino nel fare quest’opera di bronzo e rame. Quando è stata piazzata qui nel 2001 al posto di quella di Lenin è stata da più parti ritenuta troppo erotica per essere la rappresentazione di una santa, per non parlare del quantitativo di simboli che la adornano: la corona, l’alloro, il gufo…
Tra i palazzi austeri del centro, poi, quando scende la sera, colpisce il contrasto delle pareti scure e buie degli edifici con le decine e decine di locali cripto-hipster (ma neanche troppo cripto) ai loro pian terreni. I vini bulgari, poi, sono qualcosa di speciale, sarà per la posizione di questa terra al confine tra l’oriente e il mare. Sarà che di vini probabilmente non ne capisco nulla. Sarà che a un certo punto fa così freddo che va bene davvero tutto. Ma l’atmosfera di questi angoli del centro è qualcosa che difficilmente si ritrova altrove in Europa. Per mangiare vale la pena di spingersi oltre lo stadio. C’è un posto in mezzo a un niente di case e parchetti anonimi buono e vivace al tempo stesso. Si chiama Podlipite e probabilmente non si scrive così, perché tanto è tutto nel loro alfabeto quindi puoi trascriverlo come ti pare (credo). Mentre mangi i loro piatti tipici intorno si scatenano danze locali dai ritmi sincopati. Probabilmente specchietto per turisti ma dalla resa davvero suggestiva.
Ecco. La bellezza di Sofia risiede nei suoi contrasti. L’immensità dei luoghi di culto che svettano tra palazzi scuri. Il grigio e la neve. Le luci dei locali e i lampioni debolissimi delle strade. In fondo i canoni opposti li capisci appena realizzi che parliamo di un posto dove per dire no si muove la testa dal basso verso l’alto e si scuote la testa per dire sì.
Mira Sofia e le sue belle stranezze.
[grazie a Silvia Abruzzi per la preziosa compagnia]