Metti la primavera “e due uova molto sode”
Non è bastata la primavera romana coi primi gelati colanti e il ponentino stuzzicarello a fermarmi. Così, mentre fuori la vita impazzava, io ho passato un indefinito numero di ore barricata in una delle librerie ormai cult della capitale col naso tra le pagine e la testa chissà dove. E lì, senza preavviso, come un cazzotto in pieno volto, l’ho visto: carta spessa, ruvida, i fogli rilegati ancora da tagliare con la lama, grafica pulita vagamente retrò (Ifix, cioè Maurizio Ceccato, ormai lo riconosco) e, in arancione, un titolo geniale. “E due uova molto sode”.
C’è poco da fare, gli editori – quelli bravi – la sanno lunga, e io non ho intenzione di resistere. Giovanni Nucci, che è il creatore di questa divagazione letteraria sul simbolo (appunto) della creazione, cita nella primissima pagina (che poi è l’unica che riesco a sfogliare): “L’uovo ha una forma perfetta benché sia fatto col culo”, Bruno Munari. Genialità su genialità stampata con genialità.
Inutile dire che una volta munitami di un bel coltellaccio da macelleria (chè il tagliacarte nel mio immaginario è relegato alle scrivanie notarili) avrei potuto divorare in poche ore tutte quelle parole, quelle storie, quelle uova. Sì, perché di uova effettivamente si tratta. Però ho preso un bel respiro e ho desistito dalla barbara pratica bulimica del bibliofilo, lasciando che io e questo piccolo pamphlet filosofico-gastronomico ci prendessimo tutto il tempo necessario per fare conoscenza.
Già in mezzo giro d’orologio, tra la stracciatella per principianti e il primo capitolo sulle frittate, la dimensione spaziotemporale della mia primavera si è espansa fino a considerare nuovi piani di realtà. Vale a dire che questo strambo ed elegante libricino fa il suo sporco dovere, il lavoro che ogni testo degno di essere letto dovrebbe fare: rompere il guscio delle convenzioni e svelare nuovissimi punti di vista sulle cose del mondo. E qui ricompaiono inevitabilmente le uova, non a caso metaforicamente prestanti.
“D’altronde quand’è che un uovo non racconta per diritto o per storto le pieghe segrete dell’esistenza umana e per estensione quella divina? … Dentro un uovo c’è già tutto, il poco e l’assai, sia l’uno che l’altra, l’universo e il vuoto contenuti da un buco chiuso in se stesso” Ecco perché proprio le uova.
Nucci racconta, ma non fa narrativa, e discute, ma né fa filosofia, del significato di questa materia in essere “ma non del tutto”, che “al contempo è il creato e la creazione”. Un uovo, insomma, non è nemmeno un inizio, ma il preludio della speranza, del dubbio, della possibilità; è la vita “quasi”. Argomento prezioso per stracciatelle ideologiche, eppure, come solo la migliore letteratura fa, questa scrittura (deo gratias!) in grande stile trova l’immenso nel minuscolo, i principi massimi del pensiero e della vita nelle frittate di cipolle. Tipo, si dice che bisogna avere una certa rettitudine morale, una spina dorsale da veri signori insomma, per portare la canottiera anche d’estate e non sporcarsi con la frittata bavosa in treno. Oppure, che per una pittrice non doveva essere difficile comprendere quello scompaginarsi del giallo del tuorlo nel brodo aspettando che si addensi in nuova forma col parmigiano. O ancora, che la cottura delle uova è una buona metafora della scrittura, a patto che la cottura in questione sia alla coque: né un minuto più né uno meno, né una parola in più né una in meno.
Una goduria, un lusso fatto di storielle coerenti con quanto promette la collana della casa editrice “piccola biblioteca di letteratura inutile”. Nessuna ricetta quindi. Nonostante questo però, si capisce che il palato non manca, che senza le trovate lessicali dell’Artusi e i precetti borghesi della Boni avremmo nutrito meno non solo i corpi ma anche le menti, a dimostrazione di come non sia il cibo a dovere essere nobilitato col pensiero quanto casomai il contrario.
Le uova, quest’alimento che “ha la proprietà di essere maschile al singolare femminile al plurale” – come nota Aldo Buzzi -, agiscono simbolicamente prima nei piatti che nei libri. E sospetto che le mangiamo soprattutto per questo loro fascino inafferrabile. Sono nascoste, chiuse nella loro corazza e quindi detentrici di magia, di mistero ma capaci anche di sorprese e facili rivelazioni. Sono fragili e pesantissime da digerire. Sono un po’ come noi, noi strani umani affamati che troppo spesso non ci accorgiamo dell’irriducibile complessità in cui viviamo o non riusciamo a raccontarla. Per fortuna, ogni tanto arriva un’ometelette o un soufflè a insinuarci la curiosità.
Uova alla benedict (ovvero – per dirla con Lemuel Benedict – “buttered toast, poached eggs, crisp bacon and a hooker of hollandaise”)
Nucci racconta con un divertimento tutto particolare delle oscure origini di questa ricetta e della corsa alle più assurde pretese di paternità, tipo quella di Mr e Mrs Benedict che hanno avviato azioni legali perché il diritto d’autore sulla ricetta sia riconosciuto ai loro antenati (e loro ne traggano quindi un gruzzoletto).
Quello che è sicuro è che le uova alla benedict sono troppo buone per essere state generate da un solo padre: “al pari degli spaghetti, le Lucky Strike, le vongole, il pallone aerostatico, la legge di gravitazione universale (e le linguine al cartoccio), esistevano platonicamente già di per loro: poi qualcuno, per un motivo o per l’altro, ha fatto cadere un uovo nell’acqua bollente e l’idea è venuta giù dall’iperuranio per abitare finalmente i nostri piatti. … Naturalmente le uova di per sé non fanno parte né di ciò che viene scoperto, né di ciò che viene inventato: le uova – loro sì – molto più semplicemente sono.”
È vero, però, che c’è bisogno di una mente piuttosto ingegnosa per creare una colazione così artificiosa e calorica, lasciandoti con l’acquolina in bocca anche dopo una razione consistente.
Per esempio, chi pensò di cospargere le uova in camicia di salsa olandese era un genio (del male). E chi per la prima volta le posò su una fetta di bacon fritto era anche peggio. Per non parlare di chi decise che il pane non era adatto a reggere quest’architettura e tostò un english muffin. Ecco, a tutti loro, chiunque essi fossero, dovremmo dire una preghiera la sera prima di prendere un digestivo e sognare sereni come puttini carnosi.
Ingredienti:
- 2 piccoli panini (lasciamo stare gli english muffin, per il bene delle nostre arterie)
- 4 fette di bacon
- 1 cucchiaio di aceto di vino bianco
- 4 uova molto fresche
- Sale qb
- Erba cipollina
Per la salsa olandese:
- 3 tuorli
- 1 cucchiaio di succo di limone
- Sale qb
- Pepe di cayenna qb
- 80 gr di burro a temperatura ambiente
Come la cucina classica insegna, si parte sempre dalla salsa. L’olandese non è semplicissima, è della stessa famiglia della maionese, cioè quelle salse che montano i tuorli acidificati, ma è più ricca e complessa. Il metodo classico (Julia Child, per intenderci) usa il burro fuso da aggiungere ai tuorli acidificati cotti a bagnomaria, ma Alton Brown ha ormai affermato una preparazione che evita che la salsa si riscaldi troppo e impazzisca, quindi…buona la seconda. Sbattere i tuorli con il pizzico di sale e girarli continuamente mentre cuociono a bagnomaria (senza esagerare sennò impazziscono). Togliere dal fuoco e aggiungere quindi il burro tagliato a tocchetti, un pezzetto alla volta, sempre mescolando. Rimettere sul fuoco a bagnomaria e, una volta addensato e lucido, aggiungere al composto il limone e il pepe. Tenerla tiepida intanto che si prepara il resto.
Tagliare i panini a metà e tostarli in padella o al tostapane, nel frattempo scaldare a fiamma molto alta una padella e cuocerci il bacon finché non sarà croccante. Mancano “solo” le uova: in una pentola d’acqua quasi bollente versare (abbassando la fiamma al minimo) l’aceto e creare un vortice col cucchiaio. In un piatto aprire con molta cura un uovo alla volta e versarlo nel vortice d’acqua bollente acidulata facendo attenzione che il tuorlo non si rompa e che l’albume si rapprenda a formare la camicia. Una volta che anche le uova saranno pronte, l’assemblaggio sembrerà una passeggiata. Pane tostato alla base, poi bacon, poi l’uovo in camicia con un pizzico di sale, poi salsa olandese e erba cipollina a guarnire.
Ecco, dopo una colazione del genere la meditazione viene naturale e la filosofia tocca i vertici massimi. Inutile sottolineare che è tutto merito delle uova.