Messi in posa per morire | Pasolini
Pasolini, Gaber, Dostoevskij, Banksy e il medium di Massa
“Vi sono tre forze, tre sole forze sulla Terra in grado di vincere e incatenare per sempre la coscienza di questi esseri miseri e ribelli, per garantire loro la felicità: il miracolo, il mistero e l’autorità.” (Fratelli Karamazov, Fëdor Dostoevskij, 1879).
Pasolini, intervistato da Enzo Biagi, ci spiega il miracolo elettrodomestico che ha portato nelle case di ciascuno la luce sempiterna delle divinità misteriose e beate che ci rivelano ogni giorno come gira il mondo: la televisione.
La televisione si è presentata alla gente come mezzo di Intrattenimento. E’ per colpa sua che oggi, se ci chiediamo cosa sia realmente Intrattenimento, non lo sappiamo più. Sospendere l’incredulità non vuol più dire credere. Intrattenimento è sempre più coincidente con il suo secondo significato: è ritardo, indugio, dilazione. Si sta seduti ad ingannare il tempo, si accetta volentieri una commedia che ingentilisca il boccone della vita.
“Mio Dio, hai davvero tanto tempo per stare davanti alla televisione?” “Si”, risposi, “dopo quella storia, come tu la chiami, guardo la televisione, mi fa sentire magnificamente vuoto. Mi dà il vuoto integrale.” (Opinioni di un clown, Heinrich Böll, 1963).
Lo schermo è uno scudo, barriera inattaccabile che protegge le debolezze. Permette di evitare il confronto. Grande Inquisitore del nuovo mondo, ci coccola nelle sicure e inflessibili braccia del controllo. Protezione mondiale per ingabbiare la tensione sociale. Da quella tra i popoli, sugli immaginari confini politici, fino alla tavola familiare, tra le posate e i piatti, assorbendo il profumo del pane, asciugando il vino.
Oggi lo schermo è più piccolo. Ma è davvero diverso?
Il rapporto che c’era tra Pasolini e lo spettatore da casa ora si gioca dentro ciascuno di noi. Verso dove vogliamo sforzarci? Abbandonarci alle informazioni che cascano dall’alto o creare novità dal basso? Subire i flussi dei social feed, inzuppati da temporali di notifiche, o costruire nuove consapevolezze? “Non c’è nulla di più ammaliante per l’uomo che la libertà della propria coscienza: ma non c’è nulla, del pari, di più tormentoso”. Manca l’aria.
La canzone di Gaber è innanzitutto un ballo d’urgenza a riprendersi le cose proprie, vivere la propria terra e il proprio cielo. Pubblicità e televisione e psicologi esplodono la forbice tra la terra e il cielo, tra la trama e il senso. Ci fan dimenticare il fango che ci sostiene i piedi e l’aria che ci piglia i capelli, ci concentriamo sul culo e la pancia. E nemmeno la bella pancia, il fegato che si riempie di bile nera, che ci fa innamorare e disperare; piuttosto la cotica grassa e pelosa, che appesantisce. Ovunque ci dicono la nostra mediocrità, e a noi sta bene. Disprezziamo la piccolezza animale e ci sentiamo inadeguati alla grandezza divina, ci nascondiamo a metà. Mezzi uomini, e basta.
E’ in secondo luogo un inno all’ignoranza. L’ignoranza è un concetto caldo, la parola stessa contiene il fuoco. E’ viva e mutevole. Al contrario la conoscenza è cinica, è accumulo misurabile, miserabile. Lista di libri letti e cose viste.
Siamo insomma costretti a scegliere.
E in fondo è tutta una questione fisica, fisiologica.
Scegliere un viso per fare spettacolo o un viso per vivere il rituale dell’esistenza.
Scegliere una bocca per fare mediazione, far sopravvivere una società addormentata, oppure una bocca curiosa, per il vilipendio, che continui a far cascare indietro l’Istituzione.
Scegliere delle mani per spingere, arrampicare le posizioni, o delle mani per fare bene il proprio mestiere.
Scegliere il giusto significato di “diaframma”: essere ostacolo, barriera, oppure essere muscolo del respiro e del parto, muscolo di vita.