Il libro attira l’attenzione. È una pozzanghera di rosso intenso – uniforme – sul tavolo delle novità.
Il libro attira l’attenzione per quel suo titolo sfacciato, insolente: chi è questa smorfiosetta che vuol imitare Simone de Beauvoir, Memoria di ragazza – Memorie di una ragazza perbene.
Il libro attira l’attenzione perchè cercavo, quella mattina in libreria, La bella estate di Pavese – “Non ce l’abbiamo, mi dispiace, è da ordinare“- e così, scombussolata e sconfortata nei miei desideri di lettrice, giravo a vuoto fra gli scaffali in cerca di un qualcosa, un qualcosa di…simile.
I know it sounds absurd but please tell me who I am
(Supertramp)
Esiste un momento nella vita di ciascuno di noi che cambia per sempre quello che siamo, ed è causa di ciò che diventiamo? Esiste uno spartiacque temporale, in riferimento al quale ci spacchiamo in due – in un prima e un dopo – sulla riva destra ciò che siamo stati e sulla riva sinistra ciò che siamo, che saremo? Esiste?
Per Annie Ernaux quel momento è l’estate del 1958, quando quasi diciottenne frequenta una colonia estiva come educatrice per bambini, nel nord della Francia, e qui – innamorandosi scoprendo il sesso subendo l’ostilità e la cattiveria dei suoi coetanei – viene spinta dagli eventi nella mischia, nel grande circo che è la vita. Davanti al grande cancello d’ingresso della colonia è una ragazzina sgraziata, più alta della media, figlia di due droghieri modesti e studentessa modello in un collegio di suore: alla fine dell’estate tutto in lei, per lei, sarà diverso.
“Ho ricevuto la vita come uno schiaffo
E come si fischia a una sconosciuta
L’ho seguita senza conoscerla“
(Pierre Loizeau)
Quella di Annie Ernaux è una narrazione sott’acqua: tutto sembra rallentare, camminare adagio, ed il suono è attutito, filtrato, come se guardassimo attraverso un vetro un mondo sott’acqua. Sia per sua volontà che per mia consapevole risposta, leggo piano – con la maggior prudenza e delicatezza possibili, come se camminassi sulla ghiaia o sulla sabbia, come se mi muovessi fra vasi cinesi – per mettere a fuoco, per comprendere, per registrare gli effetti che il suo racconto ha su di me parola dopo parola. Mi impongo pause continue: da un lato ho il terrore di continuare, dall’altro l’ossessione di sapere.
Annie si racconta: la sua arma è la scrittura –
è con la scrittura che ha imparato a reagire (facendo di se stessa “un essere letterario“);
è con la scrittura che ha deciso, infine, di stare al mondo;
è con la scrittura che cerca di capirsi, retrospettivamente.
Scrive di se stessa (della se stessa più intima e indicibile) interrogandosi costantemente sul mezzo – la penna – cioè sulle sue potenzialità, funzioni, sui suoi limiti, sui suoi fini, prima ancora che sui contenuti: quasi che la questione della forma, dello strumento, del contenitore sia più sacra del contenuto stesso. “Memoria di ragazza” non è soltanto un libro sulla perdita della verginità e sulla costruzione della propria identità, sul sogno e sul baratro, ma anche il tentativo di una filosofia di scrittura.
Annie Ernaux scrive di sè con occhio impietoso: spesso ho pensato che non si sia ancora “perdonata”, che ancora rifiuti la “ragazza del ’58”, che ancora la condanni. La verità è che le ho detestate entrambe: la Annie raccontata– le ho puntato il dito contro, rifiutandola per essersi tanto vergognata là dove non c’era vergogna alcuna, per non aver difeso a testa alta i propri comportamenti, per essersi tanto sottovalutata e svilita: per non esser stata abbastanza forte- e la Annie che racconta ,per le ragioni opposte. Per non aver saputo darsi dolcezza, benevolenza nel raccontarsi.
Perchè rinnegarsi, Annie, ora come allora? E perchè sottrarsi alle proprie responsabilità, e considerare non se stessi – cioè la propria natura e le proprie scelte: da rivendicarsi, da difendersi, a testa alta! – ma piuttosto gli eventi esterni e le colpe altrui come causa di quello che si diventa?
Ho giudicato.
E qui sta la grandezza di Annie Ernaux: nel coraggio con cui ha affrontato l’eventualità di questi giudizi, di risultare debole (cioè umana) e quasi odiosa. Ha scelto di essere lucida, piuttosto che fare la morale fare l’eroina fare l’insegnante.
Non insegna nulla, mostra. Così è stato, e così ve lo racconto e lo racconto a me stessa: per renderci conto tutte (e tutti) di somigliarci -anche nella vergogna verso se stessi, nella debolezza, nella confusione, nell’impreparazione alla vita -, e in tale somiglianza trovare un conforto gentile, insperato. Una sorellanza.
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Autore | Annie Ernaux
Casa editrice| L’orma editore
Anno| 2016
Pagine| 236