Maratona Love Me Licia: una cosa divertente che non farò mai più

Maratona Love Me Licia: una cosa divertente che non farò mai più

Lo senti il disagio?

L’estate è la madre delle cattive idee. Vi ricordata quel vostro amico che fece a botte in discoteca con un Golem scandinavo? Quando ruppe la bottiglia sul bancone per fare il figo e si tagliò la mano? Notte alternativa al PS di Riccione? Era estate. E ci sono poi giornate, settimane intere, che cospirano per creare la cattiva idea perfetta. Era estate e pioveva. Aveva piovuto quasi tutta la stagione, ma non ci importava granché: ci eravamo appena laureati, io e i miei amici, e nulla al mondo avrebbe potuto turbare l’idillio del momento. Pioveva e di andare al mare non se ne parlava neppure. A casa avevamo cospicue provviste di cibo spazzatura e un pc portatile con annesso hard-disk esterno pieno di film per passare quell’umido pomeriggio. E così ci venne l’idea: perché non facciamo maratona di Love Me Licia?

 

ANTEFATTO (saltabile se avete piena cognizione di ciò ci cui stiamo parlando): per chi di voi non avesse mai sentito nominare questo capolavoro del trash italico, Love Me Licia è una serie TV che andò in onda a metà degli anni ottanta, nata da una costola di Kiss Me Licia, il celebre cartone giapponese. Molto prima dell’era delle serie tv, quando Dallas e Beautiful erano le colonne portanti della televisione da casalinghe disperate. A chi sia venuta la trovata di trasferire il format giapponese in una improponibile serie italiana non è dato sapersi, ma ebbe così successo che alle 35 puntate (TRENTACINQUE, Game of Thrones levati proprio) della prima serie, seguirono altre tre stagioni con minime variazioni sul tema (Licia dolce, Teneramente Licia e Balliamo e cantiamo con Licia). Gli anni ottanta sono stati un decennio difficile.

Nei panni di Licia, Cristina D’Avena. Come se non bastasse, i Bee Hive (storico gruppo di cui Mirko è il frontman) riempiono ogni puntata con almeno una canzone, da soli o accompagnati da Licia. E vendettero pure parecchi CD nel mondo reale.

Con l’avvento degli anni ’90, questa deprecabile follia trash venne relegata nel più oscuro oblio, salvo ottenere nuovi fasti qualche anno fa col tormentone delle “Fettine panate” (se ancora non sapete di cosa sto parlando, delle due l’una: o siete DAVVERO troppo giovani e allora andatevene da questo blog, oppure avete vissuto in un mondo molto diverso dal mio, e allora tornate pure a mettervi Snapchat sugli occhi). Proprio in seguito a questo inaspettato revival dell’epoca dei meme, mi ero scaricato tutte la puntate da Emule (sì, siete troppo giovani, ma il Mulo è ancora perfettamente funzionante e ha dentro TUTTO) – ora si trovano tutte su Youtube. Sapete dove trovarle. FINE DELL’ANTEFATTO

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Così, nella nostra bella giornata di pioggia, armati di sacchi di patatine rigorosamente di sottomarca e una torta fatta in casa, ci siamo messi a guardare dal primo episodio questa serie ormai storica. Ecco come è andata:

 

Episodio 1: facciamo la conoscenza con i personaggi principali e già li odiamo tutti dal profondo. Andrea è un moccioso petulante e fastidioso, nutrito a polpette fritte e patatine da quel criminale di zio Marrabbio, che cucina con olio di motore in un finto locale giapponese che serve solo polpette e patatine. Non ci sono quasi mai avventori, tranne due alcolizzati amici di Marrabbio (uno dei due è il nonno di Elio) che passano il tempo a bere birra a spese del locale. Mirko non c’è, è ancora in tournee, ma assistiamo allo struggimento di Licia ed ad una canzone dei Bee Hive, che, nel complesso, è la cosa più salvabile dell’episodio. Licia è vestita come un cartone animato brutto: in un mondo che tende agli anni ’80, lei indossa gonna rossa e maglioncino sformato a tinte pastello con un cuore disegnato sopra; calze coprenti bianche e pianelle pastello. Ogni suo passo un fashion blogger muore (a ben pensarci non è poi un male). Il gatto Giuliano regala battute a raffica: non sappiamo se ridere o piangere. Per tirare alla fine dell’episodio, ci sorbiamo quasi 10 minuti di Marrabbio che racconta favole ad Andrea.

Nel complesso, il primo episodio scivola via. Siamo troppo impegnati a commentare l’imbarazzante Licia o l’insostenibile Andrea, per percepire quel freddo disagio che si sta insinuando sotto i nostri leggeri vestiti estivi.

Famiglia felice, interno giorno.

Episodio 2: Mirko torna dall’America, accompagnato dalla sua voce nasale da baritono e da tutta la band. In un crescendo immondo di sessismo da dopoguerra, le tre fidanzate dei Bee Hive li aspettano cucinando, raccogliendo bacche e tessendo arazzi. I nostri sorrisi sono tesi a guisa di trisma, ma ancora resistiamo. Ci accorgiamo, solo per un attimo, che il freddo è diventato intenso. Abbiamo finito le patatine, apriamo le birre. I Bee Hive ci regalano ancora la stessa canzone della prima puntata, Broken Heart. Quando Mirko fa una battuta brutta ed imbarazzante sull’America, percepiamo tutti uno stridore di denti o di unghie sulla lavagna. Non viene dallo schermo. L’episodio finisce con una specie di quadriglia organizzata da Marrabbio e con un bacio casto fra Licia e Mirko, che è quanto di più spinto gli amanti del soft-porn possono chiedere alla serie. Peccato, poteva avere dei numeri a riguardo. Io canticchio Broken Heart e fuori continua a piovere.

 

Episodio 3: dal terzo episodio le cose cominciano ad andare male. Andrea ha una specie di crisi depressiva senza motivo. Compare una nuova possibile fiammo di Mirko, ovviamente un malinteso grossolano. E Mirko e Licia si danno strani appuntamenti. Compaiono due finti avventori nel locale di Marrabbio. Dicono cose a caso, cercando di non dare a vedere di essere spie del KGB. Abbiamo finito anche le birre e ormai il disagio dilaga. Mi gratto. Un mio amico inizia ad avere degli scatti muscolari, un terzo sbava lievemente. Cerchiamo di non darlo a vedere, scatenandoci con la nuova canzone dei Bee Hive. Ci costringiamo a continuare, sentendoci come Alex Delarge in Arancia Meccanica.

Darsi all’alcol

Dal quarto episodio in poi i ricordi si fanno confusi. È difficile seguire una storia inesistente, riempita di canzoni pastello e vestiti stonati. Sprazzi di trama baluginano di fronte a noi, come lampi nella notte. La donna misteriosa è in realtà la manager del gruppo. Forse si innamora di Marrabbio. All’incirca all’altezza dell’episodio sei si verifica la prima crisi convulsiva in uno dei miei amici. Nessuno interviene, perché Mirko sta spiegando che i suoi capelli sono in realtà rossi e lui li tinge di biondo tralasciando il ciuffo.

I pensieri diventano sempre difficili da seguire, ancora più di una trama pastello. Broken heart, ti penso sempre… mi gratto e sento il sangue colare piano dal mio braccio. È più o meno intorno al disagio numero 8 che il pensiero comincia a raggrumarsi su idee omicide pastello e la violenza sembra a poco a poco diventare l’unica vera soluzione. La pioggia fuori è diventata un vero temporale, il vento si insinua in ampie folate dalla finestra.

Non arriviamo mai all’episodio delle fettine panate. Il mio amico si è ripreso dalle convulsioni ed è andato in cucina.

Broken Heart, ti penso sempre, sogno di te anche se…

Torna dalla cucina con un lungo coltello. Abbiamo avuto tutti lo stesso pensiero, ma solo lui ha avuto la forza di staccarsi dalla televisione per metterlo in atto.

I Bee Hive al completo

Un tuono più forte degli altri ed un lampo molto vicino fanno saltare la corrente. Rimaniamo al buio, senza i vestiti di Licia a guidarci. E in questo momento di lucidità capiamo. Capiamo il colossale esperimento sociale al quale siamo andati incontro. Nelle pieghe degli anni ottanta, il condizionamento mentale sovietico ha partorito una serie televisiva malata che doveva plasmare le giovani menti future. Questo spiega anche Non è la Rai. E Bonolis. Nessuno avrebbe potuto sopportarli senza prima un adeguato condizionamento mentale. Dopo, tutto era possibile.

Come in un sogno, ci siamo svegliati e abbiamo deciso di andare a cena fuori. E poi al cinema a vedere qualcosa di iperviolento, per scaricare i nervi.

Ma il seme del male era ormai stato piantato.

Broken Hearts.

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