Posta, consuma, crepa | Storia di Luigi La Rocca
“Mio marito non vuole descrivere quello che ha visto, ma io immagino che per le strade adesso ci sia il pandemonio e chissà come mai sono così restia ad alzarmi, ad andare alla finestra e, semplicemente, a guardare fuori? Tutto quello che sta accadendo non era in fondo scontato? Non è quello che alcuni di noi stanno pensando? Era la nostra meta. Niente più meraviglia, niente più curiosità. Il senso dell’orientamento gravemente compromesso. Un eccesso di cose generato da un codice sorgente troppo limitato.” (Don DeLillo, Il silenzio, Einaudi, 2021)
Nel suo ultimo libro – già apprezzato sulle nostre pagine – Don DeLillo cerca di immaginare le immediate vicinanze del più terrificante degli aftermath per l’uomo moderno: l’improvviso annerirsi degli schermi e l’assordante silenzio di un’esistenza privata di link, click, stories, post, tweet e selfie che deve tornare a fare affidamento su memoria, osservazione e capacità di elaborare il circostante.
Fuori dalla gabbia di Skinner dell’iper-connessione, personaggi come quelli di Max, Martin, Diane, Tessa e Jim sono abbandonati, ognuno per sé, al flusso incontrollato di pensieri che improvvisamente possono affiorare solo sotto forma di monologhi ad alta voce – chi perso nella meccanica riproposizione della Teoria della Relatività, chi in memorie di telecronache sportive. Prima che succeda qualunque cosa, prima che si capisca se le insurrezioni che Max incontra per strada siano il segno di una qualche guerra civile a venire, il libro è già finito: DeLillo non vuole né può spingersi a speculare sul dopo; a terrorizzare basta l’innesco del meccanismo narrativo, perché tutti sappiamo cosa c’è appena prima.
E appena prima c’è un esercito di Luigi La Rocca, italiano medio terribilmente mediocre e protagonista del nuovo concept dei Maisie di Cinzia La Fauci e Alberto Scotti. Sessantadue tracce per due ore e mezza di musica e parole, Dal Diario di Luigi La Rocca, Cittadino è un viaggio nella mente di una persona con pochi mezzi culturali, ancor meno senso del vivere sociale e molta frustrazione che a un certo punto si ritrova in mano un ordigno nucleare camuffato da strumento di progresso collettivo: un iPhone con una connessione Internet.
Senza alcuna idea su come usarlo senza abusarne e travolto da una sequenza infinita di informazioni e opinioni sulle questioni più disparate, La Rocca perde ogni possibilità di leggere la realtà nel suo complesso e si abbandona a un fuoco di fila di considerazioni urlate: dal razzismo più becero alla lotta per i diritti della comunità LGBT, dal cripto-fascismo allo schwa, dai Cinquestelle a Matteo Renzi, da Matteo Salvini a Mario Draghi e a Greta Thunberg. Il tutto inframmezzato da inconvenienti domestici, infelicità matrimoniali e pensieri variopinti sulla medicina.
E se vi pare sia troppo, date un’occhiata agli ultimi dieci anni della vostra vita sui social: forse non ci troverete la stessa bestiale ignoranza e la stessa annichilente nullità, ma scoprirete che il vostro modo di guardare alle cose del mondo ha subito lo stesso hacking di sistema di cui anche Luigi La Rocca è stato – ed è ancora – vittima inconsapevole.
Come ogni uscita dei Maisie, anche questo ciclopico doppio è frutto di un lavoro certosino durato anni e che ha coinvolto decine di musicisti – a titolo puramente indicativo e non esaustivo, canzoni e interludi si avvalgono della presenza costante di Riccardo Lolli, Cristiano Lo Mele, Edson Zuccolin, Walter Sguazzin e Riccardo Bonadei. Il resto degli ospiti, non elencabile qui, lo potete scoprire in un booklet urticante quanto i testi intonati dalla voce esplosiva di La Fauci, sarcasmo ghignante sostenuto da una tecnica straordinaria quanto spericolata che garantisce l’adeguata varietà interpretativa alla girandola impazzita di umori e concetti elaborati e messi in scena da Scotti.
Di ritorno a meno di quattro anni dal capolavoro Maledette Rockstar, in Luigi La Rocca i Maisie non raggiungono sempre quelle vette compositive. Tanto quell’album era sonicamente definito entro i confini di un anarco-pulp / art-rock / folk-prog grottesco e schizoide, quanto questo fa perdere le proprie tracce tra abbozzi di canzonette e oscuri gorghi psichedelici, jingle pop-rock di pronta presa, coretti da oratorio e interludi di pochi secondi tra musica concreta e improvvisazione jazz; e se là gli unici riferimenti possibili erano CCCP e primissimi Elio e Le Storie Tese, qui restano da citare il Frank Zappa di Uncle Meat e le pupille dilatate dei Residents. Ma la visione dei Maisie è così unica ed estremista da rendere l’ascolto di Luigi La Rocca un’esperienza centrale e consigliatissima anche quando non tutto può dirsi riuscito allo stesso modo.
In verità, poi, non ha molto senso pretendere compattezza millimetrica da un’opera che si propone di raccontare la dissociazione dell’individuo e la disgregazione del tessuto sociale nel nostro presente. Luigi La Rocca funziona come saggio antropologico, anche al netto di lungaggini e di un’evidente mancanza di editing, proprio perché è così che si immagina il rumore bianco dell’overload informativo che annebbia i pensieri di un cittadino qualunque: mollemente adagiato sulla tazza, intento a postare con la mano sinistra un rantolo Facebook contro il vicino di casa che sposta i mobili alle quattro del mattino, mentre con la destra pubblica una storia Instagram sulla guerra in Ucraina, dimenticando completamente la versione di sé che aveva proposto il giorno precedente.
Nel mezzo del diluvio di stimoli sonori, però, si incontrano pezzi di caratura musicale elevatissima che consentono di dare almeno qualche riferimento stilistico all’ascoltatore che, ignaro, vi si volesse avventurare, seguendo la complicatissima evoluzione degli schemi di pensiero del nostro cittadino.
Mio Fratello Andrea introduce subito al mondo del La Rocca del 2013, che troviamo impegnato in un rant contro il parente in questione, reo di essere comunista e di far casino in garage con la sua band, invece di lavorare come tutte le persone rispettabili: “Roberto Vecchioni, per esempio, è un cantante, un cantante vero, uno che la gente compra i suoi dischi, va a vedere i suoi concerti, va in televisione eccetera, eccetera”. L’impianto sonoro è una vertigine cangiante: comincia con un monologo di La Fauci – che ogni tanto preferisce espressioni dialettali sicule all’italiano – accompagnato dalla fisarmonica di Donato Liberatore, da sintetizzatori e glockenspiel di Dario D’Alessandro e dalla chitarra acustica di Lo Mele; poi il brano muta in ostinato alt-rock, mentre la voce continua a trillare e inveire, incurante di ciò che le accade attorno.
Da lì in poi assistiamo al dipanarsi di una matassa inestricabile di idee casuali: sempre sull’orlo di una crisi di nervi; sempre di nessuna ambizione; sempre divertentissime, non fossero indicative di una tragedia collettiva.
Pena di morte è un’agghiacciante marcetta costruita su un borbottio di fiati e ottoni, che giura vendetta a molestatori di varia natura (“anche se sono italiani”). Neri abbraccia il salvinismo in materia di immigrazione e lo precipita in un dub cataplettico, tra mantra xenofobi che ormai sono il framing di qualunque discussione sull’argomento (“pezzi di neri alti due metri, super dimensionati, a caccia di donne bianche. Sono ovunque! Ovunque!”), il sax drammatico di Francesco Chiapperini, chitarre in levare e un’interpretazione vocale adeguatamente partecipe.
Oggi un comunista su Facebook erompe gioiosa dalle casse come un combat rock da Gang dei tempi d’oro: è la giusta carica – epica, tambureggiante – per il comunista, interpretato dalla voce vissuta di Riccardo Lolli, che risponde col copiaincolla alle invettive sconnesse di La Fauci / La Rocca (“Lenin e Stalin sono stati peggio di Mussolini / se vai a contare i morti e i feriti / L’ha detto anche Mentana su La7”).
Ma che forma e sostanza vadano a braccetto, qui, lo conferma ogni traccia: la svolta renziana è accolta dalla fanfara tronfia e psichedelica dello strumentale Modernizzare le cose, rimuovendo tutti i vecchi tabù!, come se la banda di Sgt. Pepper si aggirasse per una Leopolda senza un filo d’aria; Un sogno troppo brutto! è un incubo acustico di voci stratificate e oggetti sonori non meglio identificati che infila La Rocca, la moglie Cettina e la figlia Desirè in un supermercato bunueliano da cui non riescono più a uscire.
Il secondo CD è ancor più frammentario, zeppo com’è di intervalli e sketch di pochi secondi, ma non mancano certo fiammate più compiute. Di ritorno da una partita di calcetto, La Rocca incontra A buttana nira, prostituta di colore pronta a sconvolgerne certezze fondative maturate in anni di università della strada (“Io sapevo che ai neri gli puzzava la pelle / Ma a lei no, non gli puzzava / anzi gli faceva addirittura profumo, oh!”) – ma lui, ah sì!, è diverso da tutti gli altri clienti: le chiede il nome, lui; le dà cinque euro in più, lui; a pensare alla sua triste condizione, gli vien quasi da commuoversi. L’incontro innesca un’altra serie di giravolte concettuali, che gli permettono di glissare su una latente insoddisfazione matrimoniale e sul suicidio del fratello.
Sugli stranieri sto cambiando completamente idea, intona una La Fauci improvvisamente bonaria su un tappeto di flauto e marimba da Festa dell’Unità di metà anni Novanta; Se tutti i popoli del mondo – singolo dalle tinte afro con Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari – e lo sgambettante pop da cabaret Famiglia e inglese immaginano un mondo pacificato da un’omologazione culturale benigna e mediata, di volta in volta, da una pizza della Cameo condivisa con l’amico Babatunde o dall’inglese (“gli italiani diranno ‘macaroni’ al posto di ‘maccheroni’ / I francesi diranno ‘curfew’ al posto di ‘couvre feu’, eccetera”).
In un album che è anche una mirabolante galleria di personaggi pubblici eletti a maître à penser – nei libretti ci sono citazioni attribuite a Matteo Salvini, Matteo Renzi, Achille Lauro, Steve Jobs, Saverio Tommasi, Nichi Vendola, Margaret Thatcher – non resta che citare una Oliviero Toscani, il più grande fotografo! che esalta ancora il canto sfiatato di Lolli e quello sarcastico di La Fauci tra cori da stadio, suoni seventies e campionamenti di discorsi tagliati e incollati con sadica precisione (“e se non capisci che quella è arte con la A maiuscola, grande come un palazzo di 12 piani, allora… sei veramente uno stupido”).
Ultima in ordine di apparizione, in corrispondenza della fase ecologista di La Rocca, Greta Thunberg la geniale bambina svedese che salverà il pianeta regala un ritornello-con-tastierine memorabile e dall’effetto esilarante, in tutti i sensi possibili – per riconoscere la qualità della composizione e dell’esecuzione, notate l’agilità con cui La Fauci gorgheggia altissima sul primo chorus, imbastendo rime di un ambientalismo puerile: “E a voi che tirate l’acqua dell’atto grosso quando fate quello piccolo / dico che, se non la smettete, vi ritroverete in testa un gran bernoccolo!”.
Un’immagine di commiato, quasi malinconica: Luigi La Rocca è in fila all’Ikea con Desiré e Babatunde – che festa, ora che è finito il lockdown! – e guarda soddisfatto una volante dei vigili prelevare, su sua zelante segnalazione, un leghista senza mascherina. La beffa definitiva è compiuta: partito grillino, antivaccinista, convinto di poter curare il tumore con limone e bicarbonato e aprire il parlamento come una scatoletta di tonno, La Rocca finisce a tifare il “governo dei migliori” e a dormire avvolto nella bandiera dell’Europa. Rimanendo comunque lo stesso cretino di sempre.
Si arriva alla fine del viaggio consumati, confusi e positivamente infastiditi, come di rado capita con l’arte contemporanea. Siamo abituati alle spiegazioni, a un’ironia chiara anche quando mordace, a sapere sempre chi sia il suo bersaglio; ma i Maisie non spiegano, cercano lo scontro frontale, non scrivono in full caps lock da che parte stanno. Qui sta la genialità di Luigi La Rocca: vengono messi alla berlina le ossessioni e i tic social di un personaggio immaginario che assomma in sé una moltitudine di tipi umani assai realistici, in modo da spostare l’obiettivo della satira dal singolo – colpevole, ma solo della propria ignoranza – al capitalismo tech che quell’ignoranza rende possibile, invitante, forse addirittura inevitabile.
La Rocca esprime pareri, continuamente: qualche volta potreste perfino trovarvi d’accordo con lui, ma, ricordano i Maisie, è il vecchio adagio dell’orologio rotto che segna l’ora giusta due volte al giorno. Questi pareri, però, non si inseriscono in una visione complessiva della società: a quel poverocristo sono stati tolti gli strumenti necessari per cogliere le proprie infinite contraddizioni, ingenerate dallo schiacciamento sul presente e dal flusso continuo di informazioni che non sa come gestire. E se gli chiedeste conto dei suoi innumerevoli cambi di prospettiva, lui non saprebbe spiegarli, non li riconoscerebbe come tali; resterebbero solo una serie di momenti slegati dai precedenti e dai successivi.
La Fauci e Scotti squarciano senza pietà e senza paura il velo davanti alla realtà, mostrando cosa rimanga una volta tolta la lente deformante dei social network: una serie di individui isolati, con gli occhi fissi agli schermi, sempre meno consapevoli di sé come parte di una rete di relazioni sociali, con sempre meno parole a disposizione per discorrere di questioni sempre più futili. Il potere, indisturbato, continua altrove e si frega le mani.
“Max non ascolta. Non ha capito niente. Sta seduto davanti al televisore con le mani intrecciate sulla nuca, i gomiti all’infuori. E poi fissa lo schermo nero.” (ibid.)
Autore: Maisie
Titolo: 2013-2021. Dal Diario di Luigi La Rocca, Cittadino
Etichetta: Snowdonia
Anno: 2022
Durata: 150′ (circa)