Maggie, di Henry Hobson
Il nuovo film interpretato da Arnold Schwarzenegger non è molte cose, ma ne è altre (forse più interessanti).
– Non è un film che si merita un titolo come quello che gli scellerati titolisti italiani gli hanno affibbiato, Contagious – Epidemia mortale. Forse l’operazione di marketing può funzionare nell’attirare ragazzetti prepuberi che cercano The Walking Dead, ma ne rimarrebbero delusi. E diciamolo, poi, una volta per tutte, che TWD è una serie mediocre che ha finito di distruggere ogni sovrastruttura metaforica sociopolitica nella figura dello zombie, svuotato fino ad incarnare solo l’avversario dell’America (cioè, sostituite zombie con indiani e siamo di nuovo a John Wayne).
– Non è un film in cui Schwarzy spara a tutti e saluta dicendo “Hasta la vista, Baby”. No, Terminator esce fra un paio di settimane, mi spiace.
– Non è un film sugli zombie. Non è un film splatter, gore, dove sangue ed intestini riempiono lo schermo. Non è un film d’azione.
Maggie è un film intimista e lento (ma accadono comunque più cose che in una serie di TWD), che parla della separazione e di come fronteggiare la morte. Gli “zombie” (qui molto umani) finalmente ritrovano la loro dimensione metaforica, simboleggiando in questo caso una qualunque malattia terminale (ma in certi passaggi sembrano rappresentare anche il passaggio dall’adolescenza all’età adulta).
La regia tende ad essere un po’ troppo “ricercata”, tanto da risultare artefatta di tanto in tanto. Schwarzy recita abbastanza bene (coi suoi limiti evidenti, ma se la cava!) e non credevo che avrei mai detto una cosa simile in vita mia. Il fatto che Abigail Breslin sia la stessa bambina scampata all’apocalisse zombie di Zombieland dona una nota di ironia al quadro.
Voto: 7–