“Maeba” di Mina è un disco completo
Accostarsi a un disco di Mina per recensirlo è, fuori da ogni retorica, un’impresa. Da un lato corri il rischio di impantanarti in una palude di banalità, vista la notorietà del personaggio e la sovrabbondanza di articoloni e articoletti a lei dedicati, dall’altro c’è il timore reverenziale suscitato dalla grandezza della nostra cantante, con l’ovvia conseguenza di sentirsi paurosamente inadatti a scrivere qualunque cosa sul suo conto. Mi cimento in questa impresa dunque, nelle cuffie Maeba, l’ultima fatica discografica della tigre di Cremona e nella testa la speranza di non sparare troppe corbellerie.
Curiosa la scelta della copertina: per “Maeba” infatti ritorna la Mina in versione aliena, per chi ha visto Sanremo 2018 già protagonista di una “Opera Digitale Intergalattica” in cinque parti (in collaborazione con TIM e con una comparsata in sottofondo di Mauro Coruzzi, in arte Platinette) il cui culmine è stato rappresentato da un’ologramma dell’Aliena apparso sul palco del Festival per interpretare un brano tratto dalla colonna sonora del musical “La La Land”, ovvero “Another Day of Sun”. Ma l’idea dell’Aliena non nasce con Sanremo 2018, già nel 2011 infatti ne compariva una prima versione sulla copertina del disco “Piccolino”; confesso che è una scelta che mi intriga, e forse è un modo con cui Mina si prende bonariamente gioco di tutti noi che da anni smaniamo per rivederla sul piccolo schermo. Quasi come a dire: “sì sì, lo so che bramereste rivedermi in pubblico, ma io ormai ho fatto la mia scelta, sono Altro, Aliena rispetto a voi, al vostro modo di concepire lo show-business, la fama e l’apparire”.
“Maeba” è quello che definirei un disco completo: c’è davvero un po’ di tutto e per tutti i gusti. La voce di Mina nel corso degli anni si è conservata miracolosamente intatta, nonostante il cambiamento di timbro dovuto all’età, e questo conferisce ulteriore punti a un album che di per sé è certamente una delle migliori produzioni della cantante – assistita dal figlio, arrangiatore e produttore Massimiliano Pani – nell’ultimo ventennio. Dopo il non indimenticabile “Selfie”, uscito nel 2014, qui Mina si sbizzarrisce con una serie di generi sfornando un lavoro godibile e di buonissimo livello.
Il disco si apre con “Volevo scriverti da tanto”, brano scelto come singolo apripista e che consiste in una struggente e delicata ballata d’amore. Ci sono due cover, anzi tre, considerando la ghost-track Another Day of Sun: una versione deliziosamente jazzata di “Last Christmas” degli Wham di George Michael e una rivisitazione per così dire a bassa voce, sempre con un filo di jazz, di “Heartbreak Hotel”, standard del rock’n’roll di Elvis. C’è un brano probabilmente tirato fuori dai cassetti degli studi di Lugano dopo qualche anno, vista la differenza di tonalità nella voce, che è la dolce e malinconica “Al di là del fiume”.
Il punto più alto del disco è forse, però, la rockeggiante “Il tuo arredamento”, dove dominano la chitarra elettrica e quello che sembra essere un organo Hammond (grande gioia per noi amanti del progressive rock!), con la voce di Mina che fa davvero miracoli arrivando a vette impensabili per una distinta signora di settantotto, dicasi settantotto, anni. C’è l’inossidabile cantautore bolognese Andrea Mingardi, protagonista della scena funky negli anni’70, che sforna per Mina un brano dal sapore vintage come “Ci vuole un po’di R’n’Roll”. C’è il duetto dialettale con il grande Paolo Conte, ‘A Minestrina.
Chiude un pezzo decisamente straniante e che non avrebbe certo sfigurato nella colonna sonora di qualche film anche solo vagamente fantascientifico, “Un soffio”, scritto da Boosta dei Subsonica, dove protagonista è la voce di Mina su di un tappeto sonoro di suoni elettronici delicati ed eterei.
Per tirare le somme, “Maeba” è un disco che merita di essere ascoltato; non so se questo sia un disco che possa piacere ai giovani e giovanissimi, ai miei coetanei, ma di sicuro glielo raccomanderei per farsi un’idea di cosa significhi essere una grande cantante e per il coraggio dimostrato nello sperimentare idee e sonorità molto variegate e diverse fra loro, che possono interessare anche chi è abituato a ben altri ascolti.
Matteo Maltinti