Nymphomaniac

Nymphomaniac

Lussuria

Il cinema di grande diffusione segue, per numero di produzioni e per distribuzione, come dogma, la moda ed il gusto americano hollywoodiano. Il nostro approccio visuale non può prescindere da questa premessa, sia riguardo le tematiche che la rappresentazione vera e propria. Il sesso al cinema (cioè nei film, non nell’ultima fila del cinema, sporcaccioni!) non fa difetto e segue, anzi, tutta una sua strada improntata, come è tipico per la cultura americana, alla stretta morale benpensante di stampo protestante Se alcune tematiche “scabrose” irrompono nel cinema d’oltreoceano sul finire degli anni sessanta (Il Laureato reca data 1967), queste vengono sempre viste come altro rispetto alla cultura portante, cioè come rivoluzionarie (l’epoca lo concede) oppure sovversive (il finale dello stesso Laureato è dettato dalla volontà di ripristinare il normale corso delle love story, per quanto travagliate). Molto più lungo è complicato è, invece, l’iter della rappresentazione sessuale in America, che deve aspettare gli anni ’80 per avere diritto di rappresentazione. Fino a American Gigolò, infatti, la rappresentazione dell’atto sessuale si limitava a qualche seno scoperto (pochi e spesso relegati a film di seconda categoria: Faste Pussycat Kill! Kill! ne lascia intravedere qualcuno) e qualche tendina smossa dal vento primaverile. Gli anni ’80, per primi, permettono la rappresentazione del più grande tabù, l’organo genitale maschile. Gli anni ’90 consacrano il gusto dell’”intermezzo” sessuale anche nei film d’azione, spesso senza molta attinenza con la trama. Il 2000, invece, vede un ritorno all’antico bigottismo ed anche la quantità di seni mostrati si riduce drasticamente (fenomeno che andrebbe meglio analizzato altrove ma che parla chiaramente dei cambiamenti della società americana e della rigidità hollywoodiana).

La vecchia Europa, dal canto suo, non si è mai posta grandi problemi nel mostrare in pellicola ciò che, alla fine, tutti abbiamo, pur passando sempre in mezzo alle cesoie della censura. Fellini e Pasolini, nella nostra Italia, per esempio, non si sono mai tirati indietro. Resta, però, il senso che il gusto americano domini anche qui da noi. Non stupisce dunque che l’uscita di un film di Lars Von Trier chiamato Nymphomaniac crei polemiche a pioggia e per diversi motivi. Il primo è, ovviamente, l’aspettativa scabrosa del sesso, con l’intento di attaccare e vilipendere ogni deviazione dalla norma, ancora prima che questa deviazione si palesi (perché poi tanto parlare prima che il film uscisse?); il secondo è proprio il regista, notoriamente incline alla provocazione (ma ugualmente geniale). E certo il regista non si è lasciato scappare l’occasione di far parlare di sé e far pubblicità al suo nuovo film, con una campagna marketing di altissimo livello. Negli scorsi mesi, infatti, sono usciti sul sito del film una miniclip di pochi secondi per ognuno degli 8 capitoli che costituiscono il film (5 nel Volume 1, da noi uscito da poco e 3 nel Volume 2 che uscirà a breve). I manifesti del film, poi, parlano da soli: i volti contorti nell’attimo del supremo piacere non possono non strappare un sorriso e centrano in pieno l’obiettivo, cioè creare aspettativa. Il regista, infatti, vorrebbe che più gente possibile vedesse il film (tanto che la versione non censurata, quella originale, circa 5 ore non sarà visibile prima di maggio), anche passando sopra alla scabrosità (??) del tema.

Cominciamo a mettere dei paletti: Nymphomaniac non parla di sesso, se non marginalmente. Joe, interpretata dall’attrice-feticcio di Von Trier Charlotte Gainsbourg, viene ritrovata malmenata e priva di sensi in un vicolo da Seligman (Stellan Skarsgård), che la porta a casa sua e si rende disponibile ad ascoltare la sua storia. Dunque Joe inizia a raccontare della sua vita, definendosi una ninfomane, a metà via fra l’esserne fiera e disgustata. Comincia così un racconto attraverso tutte le età della donna e tutti i tipi di sessualità. Il ruolo di Seligman è quello dell’interprete: incapace di avere una propria sessualità (come rivela all’inizio del Volume 2), amante solo delle letture e della cultura che possiede in vasta quantità, l’uomo crea relazioni fra il mondo sessuale di Joe e l’universo intero. La vita di Joe viene posta in relazione con la matematica (la serie di Fibonacci, che ritorna martellante per tutto il film e ne segna la progressione ma anche la circolarità), la religione, la musica e finanche la pesca. Come se attraverso il corpo, attraverso la vagina, di Joe fosse possibile vedere qualunque cosa, una sorta di Aleph immaginifico. Il centro del film rimane, però, la donna e la sua scoperta del mondo ed il suo scontro con lo stesso. Ancora una volta il regista pone al centro della sua opera una figura femminile: chi lo accusa di misoginia non capisce nulla. Lars Von Trier non parla della donna per odio, ma per paura ed amore. Celebra ciò che non conosce, che solo intuisce e che forse ha sfiorato nei momenti più fortunati: celebra il Mistero della donna, quella cosa che la rende così diversa, così più forte, dell’uomo e che spaventa, talvolta atterrisce, l’uomo-regista. Von Trier la teme, è evidente, perché capisce la propria limitatezza e l’impossibilità a comprenderla completamente, per questo la studia, la disseziona come un anatomopatologo appassionato. La sessualità di Joe altro non è che la scoperta di se stessi e l’accettazione di questa unicità, come recitato dalla stessa protagonista ad un incontro per “sex addicted”. Al di fuori, c’è il mondo che non capisce, governato da un pensiero fintamente puro e benpensante, volto alla mutilazione, alla repressione di ogni istinto, di ogni più intima necessità. La sessualità, in questo, ha una valenza sovversiva di affermazione nei confronti delle masse (un discorso contro la religione e la società che Von Trier porta avanti da parecchi film, da notare il titolo Antichrist!).

Novella Medea (scritta da un altro noto misogino!), Joe è costretta a fare delle scelte difficili per poter affermare se stessa, per non essere risucchiata dalla massa che la vorrebbe diversa, migliore, più simile a loro. Scelte che sono ancora più difficili se fatte da una donna, come Siligman chiosa verso la fine del film: un uomo che abbandona i figli, che uccide, che preferisce soddisfare i propri istinti piuttosto che essere di conforto alla famiglia, non fa scalpore, è considerato normale. Quando a compiere queste azioni è una donna, invece, non è altrettanto naturale, come se alla donna venisse tributato un minor diritto all’azione. In questo la sessualità di Joe è rivoluzionaria, nell’affermare il diritto all’azione tipico degli uomini. Il corpo diventa il metro di paragone del tutto e l’unica maniera per comprendere (almeno provarci) il mondo; l’unica maniera per esprimere qualcosa di inesprimibile. In fondo al Mistero della donna, infatti, il regista trova un pozzo di solitudine, forse anche autobiografico. Nel mondo incapace di intaccare questa scorza, di intravedere questa solitudine, l’unico contatto è attraverso il sesso. Joe sarà sempre sola col proprio corpo.

Il regista danese conclude così un intero periodo della sua carriera interamente dedicato alla donna. I continui rimandi interni agi altri film del regista sono la prova di una volontà di consacrare l’opera, di creare una summa dei luoghi cinematografici e delle tematiche. Dopo aver affrontato alcuni aspetti, controversi magari, della donna, qui si pone l’obbiettivo di esplorare completamente l’universo femminile, di inginocchiarsi davanti alla Grande Madre e Amante e di provare a capirla. Così le musiche e alcune scene rimandano apertamente ad Antichrist e Melancholia, ma la ricerca risale a anni prima, a Dancer in the Dark e a Dogville, con cui il film condivide diverse scene di rivalsa violenta nei confronti del prossimo e degli uomini, costituendo un fil rouge che attraversa quasi 15 anni di cinema.

Come sempre, presenti rimandi al cinema russo di Tarkovskij, sia nelle scene iniziali con le spoglie geometrie cittadine grondanti acqua e neve, sia nell’icona che campeggia nella spoglia “cella da monaco” di Seligman, che lui stesso definisce una copia di un’opera di Andrei Rublev, che ancora nel titolo di un capitolo, The Mirror. A differenza degli ultimi film, dove il regista aveva mantenuto uno stile registico unitario, la divisione in capitoli così differenti fra di loro permette di sperimentare diverse soluzioni tecniche. Alterna una regia sincopata ed ironica, quasi pop, nei primi capitoli (su tutte la sequenza del treno e la breve mostra delle diverse fogge di peni), ad una regia sobria e monumentale negli ultimi capitoli e nelle scene dedicate al padre. Fra tutti, spunta il lucido bianco e nero del capitolo Delirium, di rara forza scenica (senza raggiungere le vette inattaccabili dei primi 5 minuti di Antichrist).

Charlotte Gainsbourg non è bella, né vuole esserlo, ma sembra portarsi appresso, sul viso, tutto un vissuto passato: guardandola pensi “questa donna ha una storia” ed è forse un apprezzamento di rara bellezza. Gli altri interpreti sono allo steso modo perfetti e perfettamente inseriti, delineati con pochi, rapidi, tratti. A loro non è concesso molto spazio, pochi attraversano più di un capitolo, ad indicare ancora l’estrema solitudine della protagonista, che rimane senza affetti con se stessa. Il finale, poi, dopo una finta riconciliazione, è frutto del pessimismo del regista: non c’è salvezza, solo menzogna in un mondo che ti costringe ad essere ciò che non sei, bloccando deliberatamente le tue capacità. Non è di certo un lieto fine!

Oltre le polemiche benpensanti ed il sesso (qualche pene ogni tanto si vede e anche qualche vulva dischiusa), oltre la troppa facile interpretazione psicologica di complesso di Elettra (qualcuno l’ha già tirato in ballo, ne sono certo), oltre la volontà di far parlare di sé, c’è un’accorata ricerca, a tratti poetica a tratti anatomica, che supera la “sapiosessualità” didascalica criticata da alcuni, per realizzare un’opera piena e completa. E conclusiva di un periodo. Siamo davanti al capolavoro di Lars Von Trier? Difficile dirlo, ma il regista raramente delude ed anche questa volta colpisce appieno e nel profondo.

Alessandro Pigoni

 

Titolo: Nymphomaniac (Volume 1 e 2)
Regia: Lars Von Trier
Durata: 109 + 117 minuti (versione non censurata)
Interpreti: Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgård, Stacy Martin, Shia LaBeouf, Christian Slater, Jamie Bell, Uma Thurman, and Willem Dafoe

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9 COMMENTS

  1. Sono molto affezionato a Stellan Skarsgård. Questo attaccamento mi deriva dalla sua presenza in uno dei film più belli della storia del cinema, Will Hunting – Genio ribelle: ti straconsiglio di guardarlo se non l’hai già fatto.

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