“L’uomo invisibile” (Whannel, 2020), il covid19 e la violenza domestica

“L’uomo invisibile” (Whannel, 2020), il covid19 e la violenza domestica

L'uomo invisibile, frame

L’uomo invisibile, del regista Leigh Whannell (veterano del genere horror e noto al pubblico per film quali Saw, Insidious), sarebbe dovuto uscire nelle sale italiane il 5 marzo, ma, a causa della pandemia, la diffusione è avvenuta on demand dal 27 dello stesso mese (e ora è disponibile in DVD e Blu Ray). Il libro, nato dalla penna dello scrittore fantascientifico H.G. Welles nel 1897, è ormai un cult: innumerevoli gli adattamenti, a partire dal primo del 1933 diretto da James Whale, fino all’Uomo senza ombra di Paul Verhoeven.

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Whannel rende il remake estremamente attuale, intensificando i tratti distintivi della trama (uno scienziato, dopo aver scoperto la formula dell’invisibilità, perde il controllo) e facendo in modo che il film diventi una metafora dello stalking e della silenziosa violenza domestica, cavalcando il successo del #metoo.

L’evento scatenante, in cui siamo proiettati fin dal primo minuto, è la fuga nel cuore della notte di Cecilia Kass, interpretata da Elizabeth Moss (Mad Men, The Handmaid’s Tale), da Adrian, compagno abusante (Oliver Jackson-Cohen). L’attrice riesce perfettamente a rendere partecipe lo spettatore della sua angoscia, che non si placa nemmeno quando il partner, scienziato rinomato nel campo dell’ottica, improvvisamente muore suicida. Le persecuzioni fisiche e psicologiche ai danni di Cecilia non si placano, contribuendo ad intensificare l’isterismo del personaggio, che non viene creduto né dalla famiglia, né dalla polizia, finendo internato («This is what he does. He makes me feel like I’m the crazy one»).

L’uomo invisibile, locandina

Sospetto reale oppure delirio? La componente sci-fi del film rende possibile ogni scenario, ma il punto di forza non risiede tanto nelle azioni compiute dall’antagonista, ma dall’apparentemente infondata paura di Cecilia di essere spiata, seguita, controllata: angoscia che annulla la sua indipendenza fisica e psicologica.

La pellicola, oltre ad essere un godibilissimo prodotto cinematografico del catalogo di marzo, mette in luce gli innumerevoli soprusi di cui le donne sono vittime, crimini silenziosi che il lockdown provocato dalla pandemia ha contribuito ad aumentare in maniera drastica. La legge n. 154/2001 sulle misure contro la violenza nelle relazioni familiari prevede, sia in sede penale che civile, l’allontanamento degli autori di violenza ed è stata rafforzata dalla legge anti-femminicidio n. 119/2013: la polizia giudiziaria può disporre, con l’autorizzazione del pubblico ministero, la separazione urgente dal nucleo familiare ed il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona abusata, “nei confronti dei violenti e qualora sussistano fondati timori di reiterazione delle condotte e di pericolo per le persone offese”.

Per le donne alla ricerca di aiuto immediato, uno dei problemi principali rimane la mancanza di alloggi protetti nei quali essere ospitate. Secondo quanto riportato da Amnesty International ed in base alle statistiche del Telefono Rosa, in Italia le telefonate ai centri di assistenza, nelle prime due settimane di marzo 2020 di lockdown totale, sono diminuite del 55,1% rispetto al 2019 (da 1.104 sono passate a 496), per poi registrare un incremento durante la seconda metà del mese. La rete D.i.Re (“donne in rete contro la violenza”), ha invece segnalato una crescita esponenziale con 2.983 casi di donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza tra il 2 marzo e il 5 aprile 2020 (tra il 6 aprile e il 3 maggio sono stati 2.956, raggiungendo il 4,6% di richieste inviate tramite il 1522, numero telefonico gratuito antiviolenza e stalking), oltre il 74% rispetto alla media mensile registrata nel 2018 (ultimo dato pubblicato su https://www.direcontrolaviolenza.it/dati/), evidenziando quanto la costrizione in casa abbia inciso negativamente su situazioni pregresse di violenza.

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L’uomo invisibile, frame

Durante i mesi di quarantena, le usuali ore dedicate all’attività lavorativa, a causa dell’attivazione dello smart-working, sono state private della possibilità di socializzazione. Le donne si sono trovate, così, rinchiuse nella gabbia dorata del focolare domestico, impossibilitate a confrontarsi con amici/che e colleghi/e. Il discrimine del legame di sangue per la mobilità, introdotto durante la pandemia, è la fotografia di una Italia dove la famiglia è percepita come pilastro e àncora di salvezza durante momenti di forte crisi, anche se il 32% dei cittadini è rappresentato da famiglie unipersonali. Ai margini, quindi, rimane chi non rientra nei canoni prestabiliti di un modo di vivere ancora ritenuto ottimale – e moralmente corretto –  dalla società.

Proprio in uno spazio all’apparenza sicuro si sviluppa il dramma paranoide di Cecilia: l’adattamento di Whannell, tendente più al thriller che all’horror puro, è ambientato prevalentemente all’interno dell’abitazione di James, amico d’infanzia da cui quest’ultima viene ospitata dopo la rocambolesca fuga. La casa è dotata di stanze e mansarde volutamente claustrofobiche nelle quali prende forma il piano di Adrian: per creare suspense il regista utilizza topoi del genere horror che accrescono il pathos della vicenda, quali l’impronta di una mano sul vetro appannato di una doccia, la sagoma di un corpo impressa su una poltrona. Elizabeth Moss si dimostra una valida interprete dell’inquietudine e della vulnerabilità di Cecilia, trascinando lo spettatore nella sua spirale autodistruttiva.

Alla protagonista, infatti, vengono praticate continue manipolazioni emotive, unite ad esplosioni repentine di rabbia ed attimi di gentilezza che, anche se non sfociano in lesioni fisiche, lasciano la vittima priva di autostima e con un forte senso di colpa verso se stessa, rendendola ancora più succube del suo aguzzino. Anche in questo caso Whannel si dimostra interessato a tematiche estremamente attuali, quali le richieste di aiuto riguardanti forme di abuso psicologico, spesso difficili da individuare (ne è un esempio il cortometraggio diretto da Federico Malvaldi, che trovate qui).

Significativo e raccapricciante appare, durante il film, il tentativo di possesso estremo da parte di Adrian tramite la coercizione di una gravidanza; elemento ancora più grave se consideriamo i dati dei ricercatori che prevedono, con l’interruzione dovuta alla pandemia dei servizi sanitari, fino a 44 milioni di donne in 114 paesi a basso e medio reddito non più in grado di accedere alla contraccezione, con la conseguenza di circa 1 milione di gravidanze indesiderate.

Nonostante la negazione di fatti realmente accaduti (una forma di violenza psicologica conosciuta con il termine ‘gaslighting’) e la tendenza ad isolare la vittima dai suoi affetti (Adrian ha ingenti mezzi economici ed una rete di conoscenze potenti), Cecilia riuscirà ad uscire dai confini a lei tradizionalmente assegnati (i colpi di scena di certo non mancano) ed a vendicarsi dei soprusi subiti.

Emancipata e finalmente libera, non più sottoposta al dominio maschile.

 

Cristiana Roffi

Titolo | L’uomo invisibile

Regista | Leigh Whannel

Anno | 2020

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