L’uomo che trema | Andrea Pomella
“Ma hai notato quella piccola piega delle labbra di Sam II quando ti guarda? Significa che, primo, non voleva che tu lo chiamassi Sam II e, secondo, che nella tasca sinistra ha una lupara e nella destra un uncino da scaricatore ed è pronto a colpirti con una delle due armi non appena l’occasione si presenta. Il padre è colto di sorpresa. Di solito quando si trova in questa situazione dice «Ma come, io ti ho cambiato i pannolini, piccolo moccioso». Non è la frase giusta in questa situazione. Primo, non è vera (nove pannolini su dieci vengono cambiati dalle madri) e, secondo, ricorda istantaneamente a Sam II la cosa che lo fa impazzire di rabbia. È pazzo di rabbia per il fatto che era piccolo quando tu eri grande, ma no, le cose non stanno esattamente così, è pazzo di rabbia perché era impotente quando tu eri potente, ma no, nemmeno questo, è pazzo di rabbia perché era contingente quando tu, padre, eri necessario, ma nient’affatto, è furioso perché quando ti voleva bene tu non te ne accorgevi.”
(Donald Barthelme, “Il padre morto”)
Perché mi sveglio sempre di cattivo umore?
Where is my mind? dei Pixies è l’unico sottofondo che possa accompagnare la lunga sequenza di una manciata di grattacieli che esplodono crollando uno dopo l’altro. Non c’è fine al crollo, per tutta la durata della sequenza l’orizzonte non si trasforma mai in una linea retta, ferma, appagante. È esattamente quello che vorresti ma che non succede. Nonostante questo, tu sei pronto ad accogliere qualsiasi eventuale fotogramma finale, soprattutto se si tratta del peggiore fotogramma immaginabile. Anzi, il peggior fotogramma immaginabile è l’unico fotogramma sul quale riesci a concentrarti seriamente.
Where is my mind? smette di essere semplicemente un accompagnamento distratto quando diventa un mantra continuo e al quale cerchi di dare una risposta soddisfacente arrivato ormai al punto in cui sei in grado di capire con le tue sole forze che l’indole saturnina, a lungo andare, si è rivelata essere una scomoda questione clinica più che astrologica. Se vogliamo essere generosi ottimisti, l’astrologia c’entra per lo 0.5%. Il resto, tutto ciò che contribuisce a riempire a periodi alterni la tua stessa testa con una sequenza di grattacieli che esplodono crollando uno dopo l’altro, è composto – in percentuale variabile – da una precaria impalcatura genitoriale, un live acoustic set in differita di Elliott Smith, l’inscindibile corollario genetico, le composizioni e ricomposizioni chimiche, la precoce dolorosa lotta contro il caos vegetale e mille altre componenti che, allo stesso tempo, hanno iniziato a esistere con te e ti hanno preceduto. Molto di tutto questo potrebbe risultare familiare perché non è vero che solo le giunzioni sinaptiche delle famiglie felici si somigliano. Anche le famiglie tristi tendono alla ridondanza, se ci fai caso.
Io credo che ci sia un nesso ben evidente tra la mia depressione e il giardino, a cominciare dal fatto che ho tentato di curare l’insorgere del cattivo umore ammazzandomi di fatica nel domare la vegetazione.
“The bull who didn’t want to go to the fight” è la motivazione disinteressata e socchiusa che Elliott Smith (L’uomo che trema si legge ancora meglio ascoltando Either/Or in loop) dà a MTV in merito all’esistenza di uno dei suoi tatuaggi, il 3 maggio del 1998 – annata memorabile per diversi motivi. Sapendo a grandi linee come è andata a finire, forse quella frase voleva racchiudere anche lo stato d’animo inamovibile al quale Smith sentiva di appartenere per la maggior parte del tempo senza possibilità di distaccarsene. Mi piace pensare che si tratti di entrambe le cose.
Un dichiarato elogio dell’immobilità e della disistima di sé è ciò che conosce anche il protagonista de L’uomo che trema. Una disistima che porta all’impossibilità di pronunciare il proprio nome, autocensurandosi.
L’uomo che trema è un percorso in apnea nel quale accompagnare Andrea Pomella nella disanima del suo decennale disturbo depressivo. A partire dalla ossessiva ricorrenza di un cattivo umore rivelatosi patologico, la narrazione in prima persona è percorsa da istantanee che ritraggono l’autore nel suo tentativo di conciliare l’ingombrante disturbo – e la piena volontà di liberarsene – con la quotidianità, intervallandosi con flashback che ripercorrono l’infanzia e l’adolescenza del protagonista, alla ricerca delle cause scatenanti della malattia, vere, presunte, inaccessibili. Consolazione del lettore è perdersi in continui flussi di coscienza tra loro distinti e accomunati da un fine comune, raggiungere un appagamento esistenziale stabile.
Lo scetticismo nei confronti della psicoanalisi si muove parallelamente ad una diligente assunzione di terapie farmacologiche, così come flashback nel passato vengono compensati da notturni viaggi nel tempo. Tutto circondato da personaggi più o meno vicini al protagonista e una notevole presenza di riferimenti e citazioni artistiche delle quali l’autore si circonda.
Nel corollario di personaggi, menzione necessaria a Giuseppe Berto che, ne Il male oscuro, condivide con il protagonista de L’uomo che trema un rapporto non lineare con la figura paterna – abbandonata e dalla quale farsi abbandonare – e la volontà di sviscerare la propria condizione, offrendola al lettore senza opporre alcun filtro tra il lettore stesso e l’arco delle manifestazioni del malessere dell’autore. Riuscendovi meravigliosamente, in entrambi i casi.
C’è un gesto elegante, bello, che mi incanta da quando ero ragazzino, è il gesto che fanno i medici quando prendono il blocco di fogli bianchi e iniziano a scrivere la terapia, il modo in cui scrivono su quei fogli è una delle meraviglie dell’universo.
Dalla comoda posizione in cui mi trovo non posso dire con certezza che si sia trattato di una scrittura terapeutica ma so per certo che si tratta di una lettura terapeutica e terribilmente onesta, alla quale è impossibile non ritornare, a periodi alterni, in piccole dosi, perché l’aver ciclicamente voglia di risentire l’eco della propria inappetenza è un cliché dannatamente piacevole.
Il mio mondo interiore adesso ha la stessa quiete di Roma la domenica mattina.
Autore | Andrea Pomella
Anno | 2018
Editore | Einaudi
Pagine | 208