Love, Death & Robots: una (cattiva) lezione su cortometraggi e fantascienza
Due doverose premesse. La prima è che sono un grande appassionato di fantascienza e pure di cortometraggi. Di conseguenza, sapere che Netflix aveva prodotto una serie antologica che mescolasse questi due ingredienti, mi aveva messo un certo hype addosso nei confronti di Love, Death and Robots (in cui peraltro c’è lo zampino di David Ficher). La seconda premessa è che, da quando curo questa rubrica, ho imparato che per trovare un corto decente là fuori devo prima guardarne almeno 5-6; per trovare un corto davvero bello, il numero si raddoppia almeno.
Netflix smentisce queste mie statistiche, purtroppo peggiorandole.
Love, Death and Robots è una serie antologica di cortometraggi animati a tema fantascientifico. Togliamoci subito un dubbio: i robots non ci sono in tutti gli episodi e solo alcuni corti parlano di intelligenza artificiale (quindi poteva chiamarsi pure “Love, Death and Aliens” o “Love, Death and Space”, per dire). Non c’è un tema portante, né un filo conduttore, ed i corti sono anche tematicamente svincolati l’uno dell’altro.
Di fronte ad un cortometraggio d’animazione a sfondo fantascientifico, cosa conta? Almeno due cose: la qualità dell’animazione e la qualità della storia, dello script. Questi due elementi devono essere in grado di colpire lo spettatore in maniera immediata ed efficace, data la scarsa durata del cortometraggio. Purtroppo, nella maggior parte dei corti proposti manca uno dei due elementi; in alcuni mancano entrambi. Le storie narrate sono spesso scontate e senza consistenza: battono terreni che sono stati già percorsi e raccontati da altri e meglio. Non è la prima volta che vediamo soldati licantropo (Dog Soldier, così per dire), alieni aracniformi che creano dimensioni parallele (si va dal secondo Guardiani della Galassia fino a Star Trek), una astronauta poco avveduta nello spazio con che comunica via radio col suo unico (Gravity), marines cazzuti contro alieni insettiformi (Starship Troopers), loop temporali in cui a uccidere è il paradosso più che l’arma (il sottostimato Looper). Così per citare qualche esempio facile facile. Allo stesso modo i “colpi di scena” che caratterizzano quasi tutti i cortometraggi presentati nella parte finale, sono di una banalità sconcertante e (quasi) tutti intuibili con netto anticipo, non lasciando molto se non insoddisfazione.
Non si vede, nella maggior parte dei cortometraggi, alcuna volontà di stupire di provare ad andare oltre, la dove “nessun è mai giunto prima”. Questo rimanere sempre entro i solchi già tracciati da altri, riduce di molto l’impatto di questa operazione (a differenza di ciò che succedeva con gli Oats Studios, piacciano o meno). Sembra spesso di vedere un compitino tematico. Inoltre, quasi nessuno dei corti prova minimamente ad addentrarsi nel senso della fantascienza. Forse sbagliando io, ma mi aspettavo qualche ragionamento sull’impatto delle AI, per esempio, sul concetto di coscienza di queste ultime. La fantascienza è una maniera di raccontare qualcosa: è la possibilità di ragionare sull’oggi, svincolandosi dai limiti della realtà e trascendendo questa.
La medesima libertà deriva dall’utilizzare l’animazione come mezzo comunicativo, che permetta di ridurre i costi (sia quelli economici che quelli legati al racconto vero e proprio) e di affidarsi alla pura fantasia. Poteva essere un connubio di novità e tentativi di aprire nuove strade. Nuovamente, la serie Love, Death and Robots non eccelle nella qualità dell’animazione, che è estremamente variabile in termini di risultati. Si passa da alcuni corti disegnati molto bene o in cui si utilizzano tecniche interessanti (niente di innovativo, ma un buon rotoscope è sempre pregevole), ad altri caratterizzati da un unico piattume o da un utilizzo della CGI antiquato e lontano da ogni standard (cioè, ma ai videogiochi ci giocate mai?).
Tutto da buttare, dunque? Non direi. I cortometraggi “d’azione” sono quelli meglio riusciti (penso a “Suits” e “Lucky 13”), al netto quasi sempre di una certa povertà di script e di alcune forme di animazione piuttosto statiche. L’episodio “Three robots” è forse il migliore in termini di sceneggiatura e di animazione, forse l’unico in cui entrambe le parti combaciano e si supportano vicendevolmente. Anche “When The Yogurt Took Over” è pregevole in termini di script (sebbene troncato sul finale), ma l’animazione è veramente insulsa e per nulla interessante in termini tecnici. Tutto il resto è mediocre. Ed è un vero peccato, perché poteva essere una bellissima operazione per avvicinare il grande pubblico alla fantascienza più interessante ed al mondo del cortometraggio.
Occasione sprecata.