Louis Prima – Il Jazz che a qualcuno piace caldo
C’è qualcosa di me che ritrovo nella musica più scatenata e infuocata, probabilmente è quel lato sintetizzato da frasi tipo:
“Da bambino suonò il violino, su volere della madre, ma la sua vera passione era la TROMBA”.
Aaaah.
Le pulsioni represse e inespresse, Louis Prima le ha sfogate nel jazz, trovandosi negli anni ’30 proprio a New Orleans. Il ribollente, conturbante, inebriante posto giusto per l’emigrato di terza generazione (italiano, natürlich) che ha dato voce e sembianze al Re Luigi di Walt Disney.
https://www.youtube.com/watch?v=rV8HrpOu1FA
E sì che queste sono perle con cui mettere tutti al tappeto.
Se Chet Baker – a cui spaccarono gli incisivi per una regolazione di conti in un affair di droga, by the way- ha gonfiato lo strumento più caldo per eccellenza di malinconia e struggimento – Almost Blue -, e Stan Jetz ha rivoluzionato tecnicamente la bossanova, l’interprete di “Just a Gigolo” è, della tromba, l’anima scanzonata e piaciona. Frivola, come un grasso soriano in amore. E chi, in fondo, non lo è?
Del jazz, Louis Prima ha cavalcato le tonalità piene e calde, in un gioco di alta tecnica e polmoni potenti a non prendersi troppo sul serio. L’arte antica, e sempre meno apprezzata, della leggerezza.
Just a Gigolò è un inno (una constatazione?) di spensieratezza e caducità al ritmo del quale, le cicale continuano a sollevare le gonne e a ballare. Di serio non c’è nulla, nemmeno un “sad & lonley” che si rivela (neanche troppo tacitamente) una sistematica tattica per circuire qualche fanciulla di età indefinibile bistrata e svenevole. Nulla è luccicante come vorremmo, ma al ritmo di queste musiche, possiamo volentieri tapparci gli occhi e nuotare. Sguazzare con savoir faire e ingordigia.
La carta che Prima si è giocato per mantenere una vita di eccessi tra Las Vegas ed Il Paso e quattro mogli è quella di un’italianità caricaturale con cui far sognare gli USA e farsi perdonare la belle bianca, in un’epoca in cui jazz e blues erano prerogativa dei neri di New Orleans. Diventa la musica, un caratteristico miscuglio di versi e lazzi e parole italiane e soprattutto di una tromba ottimista, piena.
Il jazz si rivela un genere edonista e viveur, un richiamo a un’animalità irsuta e sculettante. Forse un po’ volgare e sicuramente fuori misura. Voglioso di tutto, perché di tutto bisognoso. Smodato e ignorante, perché ai primi jazzisti italoamericani mancavano anche le più elementari basi musicali. Pieno di vita come quello che viene fatto di getto, di pancia, a orecchio, naso e pelle. E sì che la fisicità è una cosa importante.