Lost in Mallorca | Day one
Prima tappa di un viaggio in solitaria a Mallorca. L'impatto col centro della città, la cattedrale imponente, l'aria di mare, la cortesia.
Il cielo aperto la vita errante,
per paese l’universo e per legge la tua volonta’
e soprattutto una cosa inebriante: la libertà!
(da Carmen, di G. Bizet)
Mercoledì.
Quell’estate finii a Mallorca quasi per caso.
Nella scelta della destinazione, Mallorca era semplicemente stata il punto di incrocio sul mio piano cartesiano: sull’asse delle ascisse il prezzo del biglietto aereo, mentre sull’asse delle ordinate il benessere, inteso come somma di mare-cibo-cultura. E l’origine, il punto in cui le due rette si incontrano, è risultata essere l’isola delle Baleari.
Avevo voglia di perdermi per una settimana, motivo per cui decisi appositamente di partire senza guida e senza informarmi: a mala pena riuscivo a ricordare il nome dell’hotel dove avrei dovuto soggiornare le prime notti.
Arrivai in serata inoltrata, dopo aver noleggiato una macchina ed aver rischiato almeno cinque volte di rifarle la fiancata sul muro di qualche palazzo storico nel centro di Palma. Benjamin, il receptionist dell’hotel, mi aiutò con la valigia, mi offrì una copa de Cava, uno Champagne iberico, e, munito di mappa cartacea del centro di Palma, mi illustrò tutto quello che avrei potuto fare e vedere nei giorni a venire. Era così appassionato nelle sue spiegazioni, che mi sembrò davvero scortese interromperlo per dirgli che io la cartina l’avrei usata niente meno che come segnalibro.
Posata la valigia, tolte le scarpe ed infilate le ciabatte scesi per la mia prima notte a Palma de Mallorca. Non sapevo esattamente che direzione stessero prendendo i miei piedi. Mi interessava solo girovagare senza meta e magari trovare un ristorantino carino e non troppo affollato.
Tipicamente spagnola, decisamente catalana, il casco viejo di Palma mi riportò indietro nei secoli: la luna alta nel cielo limpido, tende bianche ad ogni finestra e balcone, non un’anima che passeggiava per strada, palme su qualsiasi spiazzo di terra utile, chiese e palazzi imponenti ma amabili. Mi sentii come la protagonista di una storia di Isabel Allende.
Guidata solo dalle mie gambe e dall’istinto, mi ritrovai senza quasi accorgermene al lato della famosa Catedral de Palma, immortalata in ogni cartolina, poster, souvenir e primo risultato tra le immagini di Google. Impossibile non rimanere a bocca aperta: la maestosità elegante e silenziosa di quella chiesa in una notte di luna (quasi) piena faceva venire voglia di fermare il tempo e rimanere qualche ora incantati senza toglierle gli occhi di dosso.
Ritornai alla realtà “grazie” al suono di qualche clacson: ero finita nel quartiere de La Llotjia-Born, cuore pulsante di localini, negozi chic e baracchini trash. Pensai dentro di me che non mi sarebbe rimasta altra alternativa che tornare in hotel, quando per caso mi accorsi di una graziosa insegna al neon che indicava un ristorante di pesce a metà di una calle. Decisi di entrare.
El Pilon, un locale lungo e stretto dalle volte a botte, tutto decorato con oggetti probabilmente rubati dalla cabina del capitano Nemo. Un ragazzo mi fece accomodare, e mi consigliò di assaggiare il polipo alla griglia con paprika, patatas bravas e una copa de vino blanco. Adorabile nei modi e nel sorriso, mi chiesi se i mallorquini dovessero condurre una vita felice, per essere tutti così sinceramente premurosi ed affabili o se fossero queste loro preziose caratteristiche a rendere la vita Mallorca così deliziosa.
Cenare da soli mi era sempre sembrato triste, in vacanza oserei dire tragico. Invece, mi dovetti ricredere. Le attenzioni che ricevetti dal cameriere furono molto più dedicate, e, cosa non trascurabile, potei ascoltare tutti i discorsi dei miei vicini di tavolo. Una coppia di scozzesi di mezza età che dialogavano amabilmente con una famiglia ispano-svedese circa la beltà dell’isola.
(continua…)
Gemma Garcia