Lost in Mallorca | Day two
La seconda tappa di un viaggio in solitaria a Mallorca. L'impatto col centro della città, la cattedrale imponente, l'aria di mare, la cortesia.
La prima tappa: Lost in Mallorca | Day one
Giovedì.
Tempo fa lessi da qualche parte che il miglior modo per visitare una città è quello di perdervisi dentro. Fu proprio questo lo spirito che mi guidò durante il mio secondo giorno a Palma de Mallorca.
Passeggiai lungo le mura che costeggiano la Catedral de Palma ed arrivai alla fermata di uno di quegli autobus a due piani, tipicamente da turisti ma decisamente congeniali al tipo di giornata che avevo deciso di intraprendere. Scelsi il posto più adatto per aver la migliore visuale della città, mi infilai le cuffiette per ascoltare il nastro registrato, un cantastorie moderno, e mi rilassai sull’appiccicoso sedile di plastica rossa. Cronache di re conquistati e di re conquistatori, secoli di dominazione ottomana, vicende amorose di regine a cui sono dedicate fontane e piazze, Palma appariva come il set di qualche kolossal hollywoodiano. Annoiata, ero quasi pentita di essere salita a bordo di quel goffo parallelepipedo con le ruote che con difficoltà si muoveva per le stradine della città, quando le mie orecchie udirono le seguenti parole: Mercado de l’Olivar. Mi affrettai e scesi velocemente: non potevo lasciarmi sfuggire una passeggiata dentro uno dei mercati più famosi e rinomati della città.
Non appena la mia Havaianas sinistra si posò sul pavimento del mercato, i miei sensi furono violentemente travolti da colori, suoni, profumi e sapori che viaggiavano nell’aria veloci come ioni in un acceleratore lineare. Ovunque banchi di frutta e verdura, banchi di pesce di ogni sorta, banchi di carne e jamon e queso, banchi di pani e pasticcini e torte fatte in casa, banchi di spezie e caffè.
Fu come entrare in una foresta tropicale di un romanzo di Emilio Salgari, e allo stesso tempo trovarsi catapultati dentro un quadro di Paul Gauguin. Chiudendo gli occhi potevo immaginare tigri malaysiane che sbucavano dall’angolo sinistro del baracchino della verdura, mentre un’ammaliante fanciulla polinesiana con i capelli adornati di fiori di ibisco serviva frutta esotica dal bancone opposto. Una magia.
«Guapa! Guapa! Quiere probar eso?», una voce di donna mi riportò alla realtà: erano quasi le 2 e dovevo ancora pranzare. Ma come riuscire a scegliere in quel paradiso? Dopo aver fatto almeno quattro giri dei banchetti, optai per un paio di tapas de pescado innaffiate da una copa de vino blanco. Prima di uscire dal mercato, comprai un caffè ed una magdalena casera, una specie di muffin spagnolo soffice come una nuvoletta. Mi sedetti sotto una pianta di ulivo in Plaça de l’Olivar e degustai il mio caffè con dessert. La posizione era strategica per osservare gli avventori del mercato. La figura che più mi rimase impressa fu quella di una giovane donna, una pescivendola con un grembiule blu in PVC che le sfiorava i piedi. Era al cellulare, e mentre parlava, rideva, e rideva; e sussurrava appoggiata ad un pilastro del portico del mercato, come a volersi accoccolare sul fianco del suo amato che sicuramente si trovava all’altro capo del telefono. Era felice e perduta nell’estasi delle aspettative dell’amore al suo inizio.
Risalii sul mio autobus e decisi di non scendere fino all’ultima fermata. Scesa dall’enorme scatola di latta rossa, simile ad un grande contenitore di biscotti inglesi, dopo essermi infilata in quel tunnel di alberi che è il Passeig des Borns, entrai in un negozio di abanicos. Non potevo essere in Spagna senza aver con me un ventaglio. Una gentile signora mi mostrò diverse tipologie: medi, grandi, lavorati, non lavorati, dipinti, non dipinti, di seta, di legno, di pizzo. Esiste un ventaglio per ogni occasione. Come sempre mi capita, andai a colpo sicuro e la scelta ricadde sul secondo ventaglio che presi in mano: di legno e seta nera Soddisfatta del mio acquisto, mi fermai in una delle tante panchine di marmo, all’ombra degli enormi alberi, per fumare una sigaretta ed osservare le persone che davanti a me sfilavano ognuna coi propri pensieri.
Era ora di tornare in hotel, ma mi resi conto che non avevo ancora visitato la Catedral. Sacrilegio! Salii la scalinata che dalle mura porta alla chiesa più famosa dell’isola e mi ritrovai di fronte ad una facciata così imponente che quasi ne fui spaventata. Mi feci forza. Presi il manton de Manila color avorio che avevo in borsa, me lo gettai sulle spalle ed entrai quasi in punta di piedi. Pur essendoci molte persone, il silenzio era davvero impressionante. Le frange del mio manton accarezzavano le mie gambe ad ogni passo, facendomi sentire meno sola. La luce che filtrava dai rosoni di vetro colorato, il tepore delle lampade sparse davanti ad ogni cappella ai lati della cattedrale, il devoto mormorio delle persone mi raccolsero in un grande abbraccio e mi fecero pensare a quanta gente nel corso dei secoli aveva varcato quell’enorme portone per cercare conforto tra quelle mura tanto possenti, quanto compassionevoli.
La fortuna volle che nei giorni in cui mi trovavo a Mallorca, la luna fosse in fase crescente, e a voler essere precisi, quel giovedì sera la luna era piena. Prima di dormire salii così sulla piccola terrazza del mio hotel, in mezzo ai tetti di Palma, ed incantata restai ad osservare quel cerchio argentato nel cielo. Pur essendo in mezzo alla città, non si sentivano altri rumori se non quello del mare in lontananza, il canto di qualche insetto notturno ed il fruscio del vento tra le foglie del gelsomino a fianco a me. Ripensai, speranzosa ed appagata, alla ragazza della pescheria, innamorata e felice, e mi addormentai sotto il cielo.
Gemma Garcia