Halloween e i film horror
Halloween: l’avvento del periodo più spaventoso dell’anno (a parte il ponte di ferragosto sull’A1, ovviamente) porta con sé come indivisibile scorta la riproposizione della carneficina cinematografica dei film di genere. Horror, s’intende. E se la festa anglosassone-celtica dedicata ai morti ha assunto un tono festaiolo, perdendo la sua veste apotropaica in favore di streghe sexy e vampiri allupati, anche il cinema horror ha subito nel corso degli anni una rivoluzione culturale e strutturale.
L’ideale di partenza, cioè quello dello spavento catartico, è stato pian piano affiancato, se non sostituito da altro. La difficoltà dello spaventare veramente lo spettatore, non solo cioè con banali colpi di scena (mi giro e AH! c’è il cattivo), prevedibilissimi perché spesso girati in maniera dozzinale, è aumentata, nel corso degli anni, proporzionalmente alla disponibilità di altri mezzi di comunicazione. Se Orson Wells riusciva a mandare in psicosi collettiva gli ascoltatori del suo radio drama La Guerra dei Mondi, spaventare seriamente persone abituate alla guerra fredda, prima, ai killer televisivi e ai programmi della D’Urso è opera titanica.
Quindi il genere horror ha subito delle mutazioni, molto più di altri generi (si pensi al filone superomistico hollywoodiano, che non cambia mai). Da una parte abbiamo la cristallizzazione di un genere che tutti credono di poter fare, confinandolo in un secondo piano di importanza: a questa prima categoria appartengono la maggior parte dei film degli ultimi decenni, tutti basati su costrutti ed elementi ripetuti e ripetitivi (macchina in panne/casa nel bosco –evento che isola-; cattivo/mostro/matto –antagonista-; morti seriali basate su schemi razziali/sessisti –muore il nero, il nerd, le donnette-; sopravvivenza estrema del/dei protagonisti). Dall’altra abbiamo la ricerca di altre vie, cioè l’utilizzo di tematiche di genere horrorifico con un obiettivo differente, non solo politico come gli zombie di Romero. Magari utilizzando gli stessi costrutti, ribaltati.
Il punto di non ritorno sono gli anni ’80. Forse a causa della guerra fredda, forse a causa di quel gusto per il trash che imperversava, forse a causa dei Duran Duran, l’industri cinematografica horror costruisce in questo decennio le basi per il futuro. E forse la serie che più di tutti dimostra i cambiamenti in atto è quelle dedicata a La Casa, di Sam Raimi. Il primo film risale al 1981, costrutti classici (casa nel bosco e presenze demoniache), molto ben dirette da un esperto di visual effects, con un pizzico di ironia e di humor nero (basti pensare all’ “stupro” ad opera degli alberi del bosco) e con un perfetto Bruce Campbell.
Alcuni anni dopo Raimi gira un remake del suo film, con una trama identica in tutto e per tutto, Campbell compreso, con la stessa regia attenta (lo stesso “sguardo impossibile” che serpeggia fra gli alberi), ma una spinta molto più decisa sulla componente ironica che culmina nel finale, che crea il tramite per il terzo episodio della saga L’armata delle tenebre. In questa il nostro Campbell combatte un’armata di nonmorti nel medioevo (nel quale viene trasportato da un varco alla fine de La Casa 2) armato di fucile e di una motosega che si è impiantato sul moncherino di un braccio (altro regalo dell’episodio precedente).
Il cinema di genere, meno chiuso da un industria cinematografica fagocitante, diventa dunque il luogo dell’anarchia delle idee, il luogo della sperimentazione e delle possibilità. In luogo del: “Ho un’idea pazzesca!” “Facciamola!”. Rimanendo nei prolifici anni ottanta, basterà citare l’adorabile Killer Klowns from Outer Space, dove una banda di orribili alieni a forma di clown (sulla scorta di Pennywise, preparate i vostri incubi peggiori) invade una tranquilla città americana con la sua astronave a forma di tendone da circo.
E con una serie di invenzioni pazzesche, fra cui il cane fatto di palloncini che ti insegue e ti sbrana; gente “mummificata” nello zucchero filante; poliziotti usati come pupazzi da ventriloquo umani; clown che spuntano dai luoghi più impensabili (e che si infilano in una macchina minuscola, ovviamente); ombre che divorano…. Insomma, una fiera della fantasia (macabra) dai colori sgargianti e farseschi del circo.
Verso la fine del decennio, poi, inizia a lavorare dietro la macchina da presa un tale Peter Jackson (forse avete visto qualche sua cosetta minore, tipo la trilogia del Signore degli Anelli…). Prima di approdare alle maxi produzioni e ai mezz’uomini, il registra australiano ha esplorato l’horror trash con due film straordinari: Bad Taste e Braindead (da noi giunto con l’evocativo titolo di Splatter-Gli schizzacervelli. Ringraziamo i titolisti italiani, che evidentemente “braindead” lo erano per davvero, per questi regali).
Alieni che vogliono usare gli umani come cibo per un fastfood galattico (amanti del “cattivo gusto”), combattuti da una squadra di ragazzetti senza arte né parte, uno dei quali ha perso una parte del cervello in uno scontro con gli alieni (ma se lo è reinserito nella scatola cranica, tenuta chiusa da una cintura a mo’ di bandana: quindi nessun problema); scimmie vampiro che rendono zombie “cerebralmente morti” una famiglia di provincia, tenuta a bada a suon di tranquillanti da uno zelante (e vivo) nipote. Volete altri dettagli che vi convincano a rivedere il vostro giudizio su Jackson? Corpi che esplodono sulla macchina da presa, zombie fatti a fette con un tagliaerba usato come arma.. devo continuare?
L’industria cinematografica oggi più che mai rischia di essere castrante, anche coi film di genere, perché confezionati in serie per un pubblico bene preciso, ma il filone horror-trash giunge nel corso degli anni fino a noi. Non voglio soffermarmi sull’esperienza straordinaria della Troma, perché merita un articolo a parte (ma intanto recuperate The Toxic Avenger) e sarebbe troppo lungo. Nel 2009 il quasi esordiente norvegese Tommy Wirkola ci regala quella perla di Dead Snow.
Anticipando di un paio di anni Sucker Punch, ma soprattutto con un intento completamente differente, il regista e sceneggiatore si è presentato dal produttore (io immagino così la scena) dicendo: “Senti, ho un’idea grandiosa, botta sicura. Nazisti Zombie!”. E voglio immaginare il produttore che sbatte il pugno sul tavolo ed esclama “Grandioso!”. Una storia d’amore contro le convenzioni. Perché Dead Snow è proprio questo: nazisti zombie riemersi dai ghiacci che massacrano giovinotti in settimana bianca, con un’attenzione particolare al loro intestino (usato nel film un po’ per tutto, come corda da arrampicata, come cappio ecc). Perché del giovane massacrato non si butta via niente. E ancora motoseghe, amputazioni, martellate à la Oldboy, sangue che macchia la neve (facile) e ancora un po’ di intestino, che non si sa mai.
L’orrore. L’orrore. L’orrore è fuori, è il grigiume dei film sempre uguali, fatti da coppie che scoppiano e si rimettono insieme grazie a colonne sonore strazianti, di gag sempre uguali e ripetute, di cinepanettoni tutto l’anno (il cinepanettone non è morto: è entrato negli altri film, come un virus letale, una possessione demoniaca, rendendoli zombie). Il genere horror crea fantasia (macabra), divertimento (nero) e risate (di pancia, anzi di intestino). È un genere minore, è vero, ma forse questa è la sua fortuna.
PS: Bruce Campbell è vivo e continua la sua carriera sfavillante. In Bubba Ho-Tep è Elvis (vivo) all’ospizio che combatte insieme a JFK (afroamericano) una mummia texana. Fate voi.
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