Lorde | Melodrama (e tutto ciò che è facile sottovalutare)
Penso che tutti si ricordino dell’esordio di Lorde. Nel 2013 Royals era su tutte le radio e la cosa ha portato molti, fra cui il sottoscritto, a sottovalutarla, perché Lorde è facile da sottovalutare. Mi ricordo di aver pensato “è questo il pop che tentano di lanciare ora?”, commettendo almeno due errori di valutazione. Il primo si riferisce a “tentano”, perché se è vero che il suo esordio è stato sorretto mediaticamente in modo importante è anche vero che la musica la scrive lei e non c’è nessun malvagio team di discografici alle sue spalle che dettano il suo stile. O almeno, così pare.
Il secondo errore deriva dal primo ed è pensare che la musica di Lorde dovesse essere messa nel calderone del pop da classifica, il che non è un male di per sé, ma spesso implica che i pezzi siano modellati e limati per piacere alla maggior parte delle persone. Sono entrambi dei grossi errori perché a Lorde non importa di piacerti ed è una cosa palese se si ascolta tutto Pure Heroine. La formula chiave che l’ha reso uno degli album più interessanti degli ultimi anni sono le sonorità ridotte all’osso accompagnate da voci sovrapposte, quasi un dogma per tutte le tracce. Con la stessa formula avrebbe potuto scrivere un altro disco e sarebbe stato un successo, ma quando hai vent’anni se ti fermi lo fai per sempre e Lorde questo sembra saperlo bene. Nel 2017, quindi, a distanza di quattro anni dall’esordio, esce Melodrama.
Lorde stessa lo presenta così: “È davvero una collezione di momenti, pensieri e illustrazioni. E lo è stato nel momento in cui il mio cuore si è spezzato e sono andata via dalla casa dei miei genitori per trascorrere del tempo da sola, capendo di avere molti sentimenti da dover far fuoriuscire”. I problemi che la cantautrice vive a vent’anni non sono più quelli di un adolescente, diventano più complessi, si parla di solitudine, di abbandono, ma anche di emozioni positive e più mature che compongono il “melodramma”. Per realizzare uno spettro emotivo più complesso Lorde accompagna il minimalismo delle sue basi ad un livello successivo, quasi abbandonandolo a tratti in favore di strumenti come pianoforte, chitarre e fiati. Come suona il risultato? La mia risposta è “molto bene”, ma forse serve un’analisi un po’ più dettagliata per capire come è cambiata la cantautrice neozelandese.
Partiamo dal primo singolo, Green Light, uscito come anticipazione di tutto l’album. Il pezzo parla del difficile superamento di una relazione finita, ma non ricade sulla facile soluzione “alla Adele” (fatta di atmosfere de-saturate e canzoni da ascoltare in momenti di autolesionismo emotivo). Green Light comunica una grande energia vitale data da un ritmo incalzante e un pianoforte che suona quasi da saloon western. Non posso nascondere di avere avuto sentimenti contrastanti al primo ascolto, da una parte il pianoforte e le chitarre presenti nel pezzo mi sembravano un passo indietro rispetto allo stile cristallino sentito in Pure Heroine, dall’altra però Green Light si ascolta scorrevolmente e lascia la curiosità di sentirlo subito una seconda volta. Come singolo quindi funziona, forse non va nella direzione che mi aspettavo, ma sicuramente è riuscito nell’intento di incuriosirmi. E, quindi, ha fatto centro.
Arriviamo a Perfect Places, secondo singolo estratto dall’album e traccia finale di Melodrama. Il pezzo è la risposta ai dubbi sollevati da Green Light in quanto si capisce che l’arricchimento sonoro non è il passo insicuro alla ricerca di una generica novità, ma l’intento di creare un’atmosfera matura che può essere vista come la diretta evoluzione di quanto sentito nel primo album. C’è la voce accompagnata dal ritmo cassa-rullante durante la strofa, il marchio di fabbrica di Pure Heroine, fino al ritornello dove il suono si apre grazie a pianoforti, sintetizzatori e addirittura un coro (un coro vero, non sovraincisioni della voce di Lorde). Nel brano Lorde parla di come lei e la sua generazione tendano ad usare la vita da festa come via di fuga dalle insicurezze, alla ricerca di “posti perfetti”, “what the fuck are perfect places anyway?” si chiede alla fine. Una chiusura d’impatto in un testo che descrive aspetti del disagio giovanile a cavallo fra l’apologia e l’autocritica, finalmente qualcosa di non banale.
Una volta entrati nelle atmosfere di Melodrama, è utile ascoltarselo tutto di fila almeno una volta. Per come sono concatenate le tracce sembra di sentire un concerto di un’artista matura, con un’alternanza di dinamiche che in Pure Heroine è effettivamente mancata. Dopo un inizio energico, infatti, la tracklist propone pezzi più distesi, per poi tornare ancora su ritmi sostenuti. Il dictat del disco sembra essere quindi quello di differenziare il registro espressivo, cosa che riesce benissimo nonostante alcuni pezzi siano meno inclini a diventare hit rispetto ad altri.
Lorde riesce nell’intento di creare un’atmosfera attorno alla sua musica che va oltre i suoni e gli strumenti utilizzati, qualcosa che capita solo a chi scrive per comunicare davvero. Nonostante il 2017 sembra essere un anno particolarmente prolifico per la musica, Melodrama ha già guadagnato un posto importante nell’ambito dei dischi pop, qualcosa che si possa ascoltare anche senza l’opzione “sessione privata” di Spotify.
Michele Deantoni
Album | Melodrama
Artista | Lorde
Etichetta | Lava, Republic Records
Anno | 2017
Durata | 40:57