L’impossibilità di non esistere ad Hanoi
Un mio amico ha una teoria.
Dice che ad Hanoi, capitale del Vietnam, i pedoni non esistono.
Questo spiegherebbe perché chiunque si trovi a bordo di un mezzo di locomozione sembri non vederti affatto mentre cerchi di raggiungere l’altro lato della strada vivo e possibilmente incolume.
La verità è che non esisti.
Non sono loro che non ti vedono, sei tu che non esisti.
Credi di stare attraversando la strada per andare ad assaggiare il bún chả nel sudicissimo ma saporitissimo ristorante che ti ha consigliato il ragazzo dell’ostello, ma in realtà non lo stai facendo affatto. Perché non esisti.
Questa faccenda del non esistere ha anche i suoi vantaggi, diciamolo. Prima di tutto, se non esisti non rischi di stare male se l’uovo crudo che mettono nel tuo cà phê trứng non è esattamente fresco; se non esisti puoi passeggiare tranquillamente senza che nessuno cerchi di venderti un passaggio in moto (ammesso che tu riesca a passeggiare pur non esistendo); se non esisti non vedi gli scarafaggi grossi come topolini di campagna che ogni tanto pascolano per le strade.
Non sono del tutto sicura che la teoria del mio amico sia vera. Insomma, è incredibile come la deliziosa croccantezza della frittura del bún chả, oltre che il sapore del maiale al suo interno, si sentano anche attraverso delle papille gustative che non esistono. E che dire della soffice schiumetta all’uovo e latte condensato del cà phê trứng? Per non parlare del re della cucina vietnamita: il phở, ovvero la meraviglia di un semplice ma fondamentale brodo con spaghetti di riso e manzo. Se non esisto, come posso sentirmi così stranamente ma dolcemente confortata da una ciotola di spaghettini in brodo?
Tralasciando poi quello che un paio occhi non esistenti rischierebbero di non vedere affatto. Il lago di Hoàn Kiếm, per esempio; quella sorprendentemente chiara pozza d’acqua su cui si affaccia il Quartiere Vecchio; quel placido angolo di tranquillità frequentato notte e giorno da frotte di turisti armati di fotocamera, frotte di vietnamiti armati di abbigliamento sportivo e metri da correre, frotte di venditori ambulanti che se esistessi ti infilerebbero palline di roba fritta in mano per convincerti a comprare. Frotte di cose che degli occhi inesistenti non vedrebbero. E il ponte rosso che si illumina la sera, e il tempio sull’isolotto al quale conduce, e la pagoda sullo sfondo; il riflesso dei caffè affacciati sul lungolago, il riflesso degli alberi piegati sull’acqua. Cosa mi sto perdendo, non esistendo.
Per questo sono scettica, perché come potrebbero dei piedi inesistenti percorrere lo storico ponte di Long Biên, simbolo della resistenza vietnamita ad Hanoi durante la guerra? Riuscire a sentire le vibrazioni del passaggio delle motociclette su una struttura che ha tutta l’aria di non essere stata toccata dall’ultimo bombardamento dev’essere molto difficile per dei piedi che non esistono. E il brivido da morte imminente che si prova ondeggiando già sui primi metri di ponte è bello forte, per correre lungo una schiena inesistente.
La stessa perplessità vale per il senso di inquietudine e angoscia che serpeggia tra le pareti tinte di nero della prigione di Hỏa Lò, mentre si leggono i nomi delle migliaia di prigionieri politici rinchiusi dai coloni francesi nella prima metà del ‘900. Come posso essere inquieta e angosciata se non esisto? Oppure scettica, mentre leggo le discutibili storie dei compagni comunisti che componevano poesie patriottiche in attesa dell’esecuzione?
Essere un pedone inesistente ad Hanoi significa non potersi godere appieno l’indescrivibilità del Quartiere Vecchio, di nuovo, con le sue case dall’aria appena un po’ sgarrupata chine su strade piene di gente. E le motociclette. Il mercatino notturno, che tanto mercatino non è perché la fine della fila di bancarelle non si vede; zuppo di chiacchiericcio, hello urlati agli occidentali, odore di fritto (perché qualsiasi cosa può essere fritta, e i vietnamiti lo sanno bene). Il mercato del sabato mattina, l’esperienza più catartica e totalizzante che un pedone inesistente ad Hanoi non possa vivere (certo: è inesistente!); il mondo che viene venduto nel labirinto del grande mercato coperto e il mondo che viene venduto e quasi investito fuori dal grande mercato coperto. Carne e pesce così freschi da essere ancora vivi, frutta e verdura dai mille colori, buoni propositi circa il mangiare qualcosa di tipico e genuino che affondano miseramente alla vista della totale assenza delle più basilari norme di igiene alle quali gli europei sono tanto abituati e affezionati.
Come puoi vivere tutto questo, se non esisti?
Non sono quindi del tutto sicura che la teoria del mio amico sia vera.
Hanoi è una città troppo viva e vibrante per non esisterci.
Marta Frigerio