Liberté, Égalité… Viralité?
Dieudonné ha quarantasette anni. È cresciuto nella banlieue parigina ed è nato da madre bretone e padre camerunese. Ha iniziato la sua carriera di comico con l’amico di infanzia Elie Semoun, ebreo con origini marocchine, dal quale però si è diviso alla fine degli anni Novanta per ragioni economiche.
Siamo in Francia, dove Dieudonné, però, è famoso non solo per essere un comico. Proprio in questi giorni, infatti, è rimbalzato sulle pagine dei principali quotidiani mondiali per il piglio antisemita dei suoi spettacoli. Un vero e proprio impero, quello dei suoi show, come fa notare Repubblica, gestito insieme alla moglie e produttrice Noémie Montagne. Noémie, madre di quattro dei suoi sette figli, “finanzia gli spettacoli che teorizzano una sorta di supremazia dei neri, accusando gli ‘ebrei negrieri’ di essere stati prima ‘oppressori’ e ora ‘neocolonialisti'” (Repubblica, 6 gennaio 2014). Una serie di spettacoli che si concludono con una frase emblematica: “Io piscio sopra il muro del pianto”.
Eccolo, è l’antisemitismo che torna, mascherato dalle risate. Ed i francesi non hanno fatto spallucce, stavolta. O almeno non tutti. La polemica è montata e a ritmo crescente sfociando in una vertenza giuridica che si è conclusa con una proibizione dello spettacolo antisemita da parte del Consiglio di Stato francese. Una decisione forte che stabilisce un limite alla libertà di espressione quando sconfina nel razzismo. La decisione, però, non ha messo a tacere i pareri contrastanti. Sono tantissime, infatti, le divergenze che scuotono l’opinione pubblica (inter)nazionale. Per il governo però la motivazione è chiarissima: Dieudonné ha infranto il divieto di incitamento alla violenza razziale e per questa ragione i suoi spettacoli sono stati proibiti.
Inevitabili, però, sono state le reazioni dei contrari alla decisione. Contrari, sia chiaro, non per favoreggiamento ai contenuti degli spettacoli, ma spaventati ora dal rischio del ritorno (?) della scure della censura ora dall’inevitabile crescita della popolarità transitiva. Ve lo ricordate il caso che divise l’opinione pubblica su Il Codice Da Vinci? Ecco. Là non si parlava di antisemitismo ma i timori in oggetto non differivano più di tanto. Serva a titolo di esempio il fatto che su Youtube, in seguito allo scoppio della polemica, più di cinquecento mila persone hanno visto i suoi monologhi antisemiti. Liberté, égalité… viralité?
Al di là degli intricatissimi sviluppi giuridici, però, a fare notizia è il riaccendersi di un fuoco che da più di duemila anni cova sotto la cenere europea. Un fuoco che ogni tanto dà l’impressione di sparire per poi tornare con fiammate che spaventano l’opinione pubblica alla luce dei fantasmi del passato. Perché la paura più grande non è uno spettacolo in sé, ma il rischio di un ritorno a un odio endemico, che giace nella matrice culturale di un continente tutto, checché ne vogliano i laicisti. Un odio che ha portato alla follia più grande, quella di uno sterminio programmato e troppo tardi fermato. E l’esempio più grande del fatto che la paura non è ancora finita, forse, lo dà un lettore di un quotidiano italiano in una lettera in cui sono inciampato qualche giorno fa:
“Non siamo ancora pronti (a ridere, ndr). Far calare il sipario sul comico francese equivale a tenerlo aperto su una tragedia ancora inspiegabile.” (Giovanni Moschini).
In Francia, anzi, dalla Francia, impariamo che è ancora presto. Che, come scrive Furio Colombo su Il Fatto Quotidiano del 10 gennaio, è forse il caso di dedicare il 27 gennaio anche al presente. È il caso di dedicarlo alla lotta contro queste divagazioni razziste che imperversano ancora e soprattutto oggi. Perché fare di tutta l’erba un fascio sarà sbagliato, ma il confine generalizzante tra gli insulti a un ministro di colore e le battute su una pagina buia della storia del continente si fa sempre più sottile.
Gabriele Zagni