Lettera ai musici
Ci sono Julio Iglesias, Giorgio Mastrota, e la sottoscritta. E no, non è una barzelletta.
INTRODUZIONE. Premetto che quel giorno del mese – no, non parlo del mio primo giorno di ciclo mestruale – in cui mi tocca l’articolo HsO (per i profani di SALT, leggasi “acccaso”), l’omino dell’idiozia nel mio cervello zompetta di felicità: è come se mi dicessero “hai presente tutte quelle stronzate che fluttuano nel tuo cranio? Vai, spargile nella rete, siamo sicuri che interesseranno a tutti, aspettano solo te”. Ovviamente non è vero, ma pensarlo è bellissimo lo stesso. Aveva ragione Eco, i social danno parola a legioni di imbecilli. Scusa Umby, ma una volta al mese il Capo mi dà il permesso, quindi non rivoltarti nella tomba, tecnicamente non faccio nulla di male. Tecnicamente.
Cari musici,
come state? Spero tutto bene. Io non me la passo malissimo: lavoro, esco quando le convenzioni sociali me lo impongono, aspetto la nuova stagione di Game Of Thrones, e non sono mai sola. Ho sempre la gastrite a farmi compagnia.
Vi scrivo perché ho bisogno di esternarvi un dubbio che mi attanaglia da quando ero una giovane cinquenne, da quando picchiavo i bambini che mi prendevano in giro perché “le femmine non fanno karate” e mi tagliavo i capelli da sola nello studio di mio padre. CHE PROBLEMI AVETE CON IL MIO NOME?
A differenza di alcune mie coetanee o ragazze poco più grandi – quelle che poracce avevano le madri fissate con Beautiful, e dovranno convivere tutta la vita con il dolore di doversi chiamare Brooke, o Taylor – io ho sempre apprezzato il mio nome, mi è sempre piaciuto; mi girano addirittura le palle se qualcuno lo storpia, o fa finta di non capire:
– Manuela.
– Aspetta, E-manuela. Con la e, giusto?
– No, MANUELA. Senza e.
– Perché ti chiami così? E come mai senza e?
Tralasciando l’ultima domanda (che poi cosa ve ne frega, lo devo ancora capire. Ogni santissima volta), mi capitava di andare a scuola e sentire racconti di amiche che dovevano il nome a qualche canzone: qualcuna era la Francesca di Battisti, un’altra la Anna di Lucio Dalla, la Alba di Vasco Rossi (che a me sta sulle balle, quindi in questo caso non mi lamento), la Agnese di Ivan Graziani, and so on; il problema si è aggravato in adolescenza, quando da buona fissata di musica quale sono, ho provato a cercare una canzone dedicata ad una povera Manuela, ed è accaduto il peggio. La leggenda narra che per scegliere il mio nome i miei consultarono quell’oracolo di mia sorella – allora ottenne – che aveva sentito questo nome in tv, e le era piaciuto tanto. Poi qualche anno fa ho googlato “Manuela”, e l’unica canzone venuta fuori è Manuela di Julio Iglesias, il che già basterebbe a farvi sanguinare gli occhi, ma a quanto pare per il karma non era abbastanza: quel genio di mia sorella aveva preso il mio nome proprio da questa canzone, diventata poi la sigla di Manuela, una telenovela. UNA TELENOVELA CON GIORGIO MASTROTA.
E a quel punto, miei cari musici, ho capito tutto. È per questo che nessun altro uomo sulla faccia della terra hai mai pensato di scrivere una canzone per una Manuela? È per colpa di Julio e Mastrota se tutte le Manuele che conosco sono fortunelle in amore? Perché nessuno di voi ha mai pensato di riscattarci? Perché dedicate canzoni alle Giulie, alle Francesche, alle Anne, e a noi no? Cosa abbiamo fatto di male?
Questa lettera è un appello a voi, musici: liberateci dalla telenovela argentina, dai capelli anni 80, da Mastrota e dalla bici con cambio Shimano in offerta solo per oggi. Non ne posso più di gente che mi canta Julio ogni volta che mi presento. Pensateci, vi prego. Qualsiasi lettera di risposta è ben accetta. Grazie.
Con affetto e stima,
Manuela (sì, quella di Julio Iglesias).