Lehman Trilogy: Capitoli del Crollo
C’è un libro, scritto fra il 2008 e il 2011.
È “libro” perché, ora, è stampato su carta; ha parole nere, una foto, copertina bianca – di quelle che appena maneggiate appaiono subito vissute, già passate. Ed Einaudi queste cose non le lascia al caso, nemmeno e soprattutto per la Collezione di teatro.
Due anni prima che venisse pubblicato in Italia è stato rappresentato al Théâtre du Rond-Point di Parigi – era il 2012; poi, a New York. Ancora, nel 2013, porta l’autore, Stefano Massini, a vincere il Premio Speciale ai Premi Ubu. Dal 7 aprile 2019, con l’adattamento acclamatissimo di Ben Power, sarà in scena fra le geometrie dure di South Bank, al National Theatre – e sì, AA, davvero non vedo l’ora di andarci con te.
Luca Ronconi, appena prima di andarsene, mette in scena le sue pagine al Piccolo di Milano:
“trittico quasi wagneriano, dove l’oro del Reno di un’Alabama negriera giungerà, inevitabile, al Crepuscolo dei divini indici di Wall Street.”
Ma non è libro, non è davvero pièce, commedia, dramma – quest’opera travalica generi e categorie: è un epos dell’Occidente, mitologia domestica, fenomenologia ovattata del capitalismo. Narra biografia e catastrofe di una banca e di una dinastia: si chiama Lehman Trilogy.
I primi passi dei giganti sono pur sempre brevi passi di uomo: il primo pezzo, di questa trilogia, si intitola “Tre fratelli”. Ebrei ortodossi, ashkenaziti, lasciano Rimpar, in Baviera. Prima Henry, esitante, valica l’Atlantico e si immerge “in quel carillon chiamato America”. Si stabilisce a Montgomery, Alabama – apre un negozio, stoffe e abiti. Il nome, sull’insegna, è uno solo: il suo. Arrivano, poco tempo dopo, i fratelli minori Emanuel e Mayer – l’insegna cambia nome e colore: nasce la Lehman Brothers. E velocemente il business inclina sempre più una parabola ascendente, sempre più verso Nord, ché dalle stoffe si passa al commercio del cotone, alle trasferte sui carri lenti alla volta di New York: dove il cotone diventa banconote. L’impresa Lehman apre un filiale proprio lì. Nel mezzo di quest’ascensione scoppiano incendi, si stringono accordi, ci si ammazza nella Secessione, s’intuisce l’industria, ci si sposa e si muore: i Lehman ottengono, infine, la gestione dei fondi pubblici per la ricostruzione del Sud, sfilacciato dalla guerra civile. Comprendono, i fratelli, che a New York la prosperità attende: partono. Ma Henry, primo fautore, quasi già antenato, rimane seppellito in Alabama.
Secondo capitolo: “Padri e figli”. I due Lehman rimasti hanno intuizioni miracolate: dal cotone al caffè, al petrolio, alla neonata borsa di New York. Fondano la banca, investono sulle ferrovie: ricuciono con i binari e i denari e le obbligazioni l’America tranciata. Si alleano con i Goldman, con i Sachs, altri ashkenaziti dell’Austria: ormai la Grande Mela è soprannominata Jew York. La banca passa in mano a Philip: seconda generazione, più cinica, meno cauta – con intrecci pericolosi s’innalza il colosso finanziario Lehman. Si foraggia tutto: la fame, la nevrosi, lo svago, il proibizionismo. Si foraggia la politica e le opere pubbliche, si foraggia finanche la guerra e il massacro – il narratore cieco di quest’opera infine si chiede, smarrito
“chissà se
con i nostri soldi
hanno distrutto Rimpar.”
Massini ha massima cura nel descrivere i cambiamenti che attraversano il secolo, così come la famiglia Lehman: dall’attaccamento atavico alla terra d’origine, locus amoenus sempre rievocato, si migra verso una considerazione folkloristica, neutrale della Baviera. La religione, osservata rigidamente appena messo piede in America – lutti infiniti, le serrande chiuse – s’ammorbidisce a New York, diventando ragione sociale d’appartenenza altoborghese, élite, filantropia: sia mai la banca venga chiusa, quando muore uno di famiglia. Anche il rigore viene meno: la prima generazione, così legata alla praticità del profitto, non comprende la logica del capitale; i due vecchi, Mayer ed Emanuel, vengono allontanati dai consigli d’amministrazione, perché sono “come fornai / che non sanno più come si fa il pane”.
La crisi del ’29 scuoterà ogni cosa, ma Lehman Brothers, nonostante tutto, reggerà.
Terza tappa, “L’immortale”: l’epilogo, l’estremo fulgore prima del crollo. L’ultimo capitolo di questa confessione corale, di questa sofferta presa di coscienza segue un altro Lehman, Bobbie: tormentato, geniale, insofferente. Di generazioni ne sono già passate tre. Il Novecento impazzisce, la finanza cambia le carte e a volte imbroglia. Dietro di lui, sullo sfondo, un equilibrista e i figli di due immigrati, greci e ungheresi: ecco – il futuro della banca americana. Bobbie ama volare: nelle casseforti si accumulano azioni Pan Am – nelle stanze della casa, documenti di divorzio. Ma Bobbie vola,
mille miglia lontano
se ne va, lassù
l’aereo divorzia dalla terra.
La fine di questo libro non sarà come ve l’aspettate, e vi lascerà di stucco.
La pièce di Massini si sfoglia con cautela: più che testo teatrale, è vero e proprio ibrido, puro materiale da palcoscenico. Il flusso di coscienza s’alterna al dialogo, alle voci che sono mille, agli scritti di un diario, alle preghiere in una sinagoga. Lo si legge in italiano, in inglese, in ebraico; e ancora in greco, in ungherese, in tedesco. Nei tre densissimi capitoli si percepisce, dietro lo spessore della carta, che quella storia domestica ricama, in realtà, la storia dell’Occidente. Volutamente l’autore descrive fino alla nausea le minuzie della costruzione dell’impero, e volutamente ne decreta il crollo con pochissime, esili righe. La bancarotta di Lehman Brothers nel 2008, quasi inverosimile, causa scatenante della crisi mondiale che ancora non passa, incombe come una minaccia su tutta l’opera, ma non si svela.
Leggo Lehman Trilogy con il cuore in gola: il sentore della tragedia è dovunque – eppure il sangue non si versa. Mai.
Autore: Stefano Massini
Editore: Einaudi, Collezione di Teatro
Pagine: 328