Leggere e rileggere Watchmen
Le simmetrie tra William Blake e Alan Moore.
Se c’è una cosa che ho imparato sui poeti inglesi del romanticismo è la loro incredibile creatività nel inserire in tutti i loro componimenti un numero sempre incredibile di simbolismi e riferimenti culturali ad elementi del folklore e della letteratura classica. Ora, non posso certo dire che Alan Moore faccia parte della cerchia di quegli strani tizi che amavano attraversare il golfo di La Spezia a nuoto (vedasi Lord Byron), ma di certo è un artista che ha dimostrato di avere innumerevoli doti, tra cui quella della composizione di versi. E, da bravo Inglese, quella di saper nascondere più o meno esplicitamente nelle sue opere riferimenti alla cultura classica, ma anche moderna e pop. Per nostra fortuna l’Arte in cui il nostro uomo barbuto si è maggiormente distinto è la Nona e noi possiamo così godere dei suoi lavori, tra cui sono presenti alcuni dei pilastri fondamentali della storia del fumetto.
Commenti e analisi di Watchmen che abbiano una qualche ambizione di completezza sono stati argomenti di saggi e tesi universitarie e io non ho di certo gli stessi intenti per questo articoletto. Ultimamente ho avuto la fortuna di potermi permettere la nuova edizione dell’omnibus edito dalla RW Edizioni per la linea Lion e me lo sto rileggendo mentre scopro sempre nuovi spunti, nuovi riferimenti e nuove interpretazioni. Anche grazie alla fortuna del riadattamento cinematografico quasi tutti conosciamo a grandi linee la storia raccontata nel celebre graphic novel, riassunta già dal suo autore dal verso di Giovenale “Quis custodiet ipsos custodies?” (Who watches the Watchmen?). La narrativa dei supereroi, dopo aver passato la fase del 1. bene assoluto VS male assoluto, 2. forse il male ogni tanto ha anche delle tinte di grigio, 3. anche i buoni a volte possono fare delle cose poco da buoni, con Watchmen raggiunge finalmente la riflessione su se stessa ovvero quali sono le implicazioni etiche e le conseguenze sul mondo dell’esistenza stessa di uomini così straordinari?
Arrivata al quinto capitolo ho ritrovato un vecchio amico, un altro artista mezzo matto che si è ritrovato per caso a condividere il secolo con quegli altri poeti di cui prima. Il capitolo cinque, infatti, è intitolato “Fearful Symmetry” e, come in tutti i capitoli di Watchmen, il titolo è un estratto di un’opera poi citata esplicitamente alla fine del numero e, in questo caso, si tratta della poesia “The Tyger” di William Blake, a sua volta tratta dalla sua opera “Songs of Experience”.
“Tyger! Tyger! Burning bright
In the forests of the night:
What immortal hand or eye
Could frame thy fearful symmetry?”
Alan Moore, ovviamente, va ben oltre al semplice citazionismo e alla abusatissima strizzatina d’occhio che va così di moda in qualunque produzione con cui sia venuta in contatto ultimamente. A mio avviso la poesia di Blake può essere vista come una chiave di lettura, o un’agghiacciante profezia, su tutto quello che succederà nel graphic novel. Lo stesso quinto capitolo, grazie alla perfetta collaborazione tra l’autore e il suo disegnatore (Dave Gibbons), è costruito in modo simmetrico, in modo che le vignette della prima metà trovino una vignetta corrispondente e analoga (per colori e soggetto) nella seconda metà. La pagina centrale è orchestrata a sua volta in modo da avere la scena madre esattamente al centro e a metà tra due pagine.
Potremmo pensare, secondo me sbagliando, che la tigre sia un riferimento alla ferocia del soggetto principale del capitolo, Rorschach, ingannati anche dalla sua maschera che si fonda sulla simmetria delle macchie di inchiostro. Ma il vero protagonista del capitolo, cioè quello che compare nella vignetta centrale, è Adrian Veidt, alias Ozymandias. Se la Tigre di Blake è una complessa personificazione della visione e dell’azione dell’uomo sul mondo, corrotta dalla crudeltà dell’esperienza umana e, al tempo stesso, guidata insieme dalla passione e dalla ragione, Ozymandias è, a sua volta, l’unico personaggio di Watchmen a possedere la stessa “agghiacciante” ambivalenza e la stessa forza creatrice.
Ozymandias nasce come supereroe, come benefattore dell’umanità. Ma l’uomo più intelligente del mondo si trasforma nel più grande genocida di massa della storia, pur senza perdere, a suo vedere, le sue ambizioni di benefattore. Il suo intento, infatti, è quello di scongiurare un’incipiente guerra nucleare che potenzialmente avrebbe portato alla fine dell’umanità e per farlo decide di sacrificare milioni di persone al fine di concentrare le grandi potenze mondiali contro un nemico comune. Al contrario, Rorschach è l’unico degli Watchmen a condannare duramente il compagno, la sua mentalità semplice non gli permette neanche di considerare tutte le implicazioni del piano di Ozymandias e le conseguenze che la sua denuncia potrebbe comportare. Paradossalmente è lui l’Agnello della poesia di Blake, colui che impersonifica l’innocenza, la mentalità del fanciullo non ancora contaminata dalle ambivalenze della realtà e, quindi, incapace di vedere una scala di grigi tra il bianco e il nero.
“When the stars threw down their spears,
And water’d heaven with their tears:
Did He smile His work to see?
Did He who made the Lamb make thee?”
Rorschach morirà per questo perché l’Agnello non può sopravvivere all’avvento della Tigre. Ad ucciderlo non a caso è il Dottor Manhattan, un essere che è a tal punto distante dalla nostra umanità da vivere in un eterno presente, colui che nella sua battuta di apertura dice: “La vita e la morte sono astrazioni inquantificabili: perché dovrebbe interessarmi?”. Ed è sempre il Dottor Manhattan che avrà l’ultima parola sul piano di Ozymandias: O “Ho fatto bene vero? Alla fine tutto ha funzionato.” DM “Alla fine? Niente ha mai FINE Adrian. Niente ha MAI fine.”
Il genio di Alan Moore si manifesta anche qui, quando non lascia trasparire un giudizio morale a proposito del piano di Ozymandias, ma neanche ci fa sapere se poi l’umanità riuscirà a trovare la pace. Mi piace pensare che però ci abbia lasciato qualche indizio in un’altra poesia di un poeta inglese del romanticismo, questa volta Shelley, che guarda caso, si intitola proprio Ozymandias e, ancora più sorprendentemente, è anch’essa utilizzata per intitolare uno dei capitoli, l’undicesimo, intitolato “Guardate alle mie opere, o potenti…”. Ma ora lascio a voi la lettura delle ultime due terzine e le conclusioni…
“And on the pedestal these words appear:
“My name is Ozymandias, king of kings:
Look on my works, ye Mighty, and despair!”
Nothing beside remains. Round the decay
Of that colossal wreck, boundless and bare,
The lone and level sands stretch far away. »”
Titolo: Watchmen
Autore: Alan Moore
Disegnatore: Dave Gibbons
Anno di pubblicazione: 1986