Lavorare per vivere
Nell’immaginario collettivo, ammesso che io possa essere un campione sufficientemente rappresentativo, dalla parola “lavoro” scaturiscono – in ordine casuale – immagini di infiniti faldoni cartacei poggiati su scrivanie altrettanto abnormi, di frenetici andirivieni di borse ventiquattrore sballottate in ogni dove e di inarrestabili catene di montaggio in cui l’operaio è un tutt’uno con la macchina.
Un po’ come Charlie Chaplin in Tempi Moderni, ve lo ricordate? Ecco, Charlot era l’emblema della classe operaia, vittima delle macchine da lavoro, a loro volta metafora di una società che andava – e che va tuttora – fagocitando l’uomo. Il film, risalente al lontano 1936, vuole essere rappresentazione di quella satira sociale che prende le difese della dignità dell’uomo contro il dominio della produttività: si tratta di un autentico e pionieristico interprete dei tempi moderni, appunto.
Tuttavia, eccezion fatta per sparuti istinti luddisti che risiedono in ognuno di noi, non siamo più all’epoca di Tempi moderni: “nelle torsioni del capitalismo, la Storia ha divorato se stessa, sostituendo alla figura dell’orizzonte quella dello stallo”, come scrive un giornalista francese su Libération.
Certo, l’immagine dell’Italia che da mesi, addirittura anni, arriva ai nostri occhi attraverso i giornali, la televisione e il lamento costante della vox populi, è quella di un Paese che arranca, sempre in affanno, per uscire da una crisi economica che pare non conoscere fine né pietà. Ed è proprio di fronte ad un’Italia in rovina che siamo andati a cercare i segni di ripresa, quelle voci fuori dal coro che si stanno coraggiosamente trascinando al di fuori del pantano in cui siamo rimasti così a lungo imprigionati.
Abbiamo, quindi, colto l’occasione di intervistare Corrado Formigli (giornalista e conduttore televisivo) riguardo al suo libro Impresa impossibile recentemente pubblicato con Mondadori. Quelle che racconta Formigli non sono altro che le storie di chi non si è arreso, di otto imprenditori italiani che non si sono rassegnati alla burocrazia pantagruelica e ai “venti contrari” che si sono abbattuti sul made-in-Italy negli ultimi tempi.
Tra i personaggi di Formigli ci sono lavoratori provenienti da ogni parte d’Italia e specializzati in diversi settori, da produttori di borse a venditori di dolciumi, fino ad arrivare a chi produce caffettiere e altri utensili di cucina. Non sono supereroi (o almeno così pare), eppure sono riusciti a dare uno schiaffo alla crisi, a fare della loro resistenza alla rassegnazione un grido di battaglia contagioso e ammirevole: sono riusciti nella loro “impresa impossibile”.
Del resto, accade frequentemente che nei momenti di crisi l’uomo si aggrappi al proprio istinto di sopravvivenza e riscopra qualità, attitudini e idee brillanti che mai avrebbe pensato di poter esprimere.
È questo il caso, tra i tanti, degli Style Council, la band fondata da Paul Weller all’indomani dello scioglimento dei The Jam. La produzione musicale di questo gruppo inglese che spazia dal pop-rock al jazz ruota interamente attorno al tema del lavoro (o meglio, alla sua mancanza), facendosi specchio delle questioni che attanagliavano l’Inghilterra nei primi anni ’80. Non è un caso che proprio due brani degli Style Council (senza dimenticare Town Called Malice dei The Jam) compaiano nella colonna sonora del celebre film Billy Elliot ambientato in questo periodo e, in particolare, nel contesto degli scioperi dei minatori.
E se parlare degli anni ’80 vi sembra anacronistico, torniamo immediatamente al 2014, sedetevi comodi, prendete il vostro pc e cercate “Trevolta”*. Cos’è Trevolta? Bè, prima di tutto è un’idea geniale. In secondo luogo, si può definire come un sito di crowd-funding (che è la parola dell’anno, nel caso in cui non l’aveste notato) riservato ai viaggi.
Ebbene, Trevolta permette a chiunque abbia in mente un viaggio davvero interessante – tipo scalare il Monte Bianco cavalcando un canguro (se mi rubate l’idea mi vendicherò) – di esporre nel dettaglio la propria idea e di cercare finanziamenti che possono arrivare sia dai singoli utenti sia da aziende-sponsor, in cambio di un po’ di pubblicità durante il viaggio, naturalmente. E questa potrebbe essere un’idea niente male per combattere la crisi e farvi il viaggio della vita a costo zero. Se invece, in fondo in fondo, siete persone responsabili e siete alla ricerca di un Lavoro con la L maiuscola, non perdetevi l’articolo di Travel di questo numero, in cui vi daremo qualche consiglio su come sopravvivere ad un periodo di crisi e compiere anche voi la vostra impresa impossibile.
Dopo anni e anni passati esclusivamente sui libri, sono entrata da poco a far parte del tanto discusso “mondo del lavoro” e sono convinta che sia proprio il lavoro il motore della libertà individuale, lo strumento indispensabile per l’indipendenza umana.
Non va dimenticato, tuttavia, che allo stesso tempo il lavoro convulso e incontrollabile può diventare strumento di oppressione e può in qualche modo fagocitarci, esattamente come le macchine di Charlot. Ed è proprio prendendo esempio da questo genio cinematografico che scopriamo che l’ironia risulta essenziale nel superamento dei dogmi della produttività e può salvarci la vita.
Io penso che sia molto meglio lavorare per vivere piuttosto che vivere per lavorare.
* ALERT: Trevolta.com non risulta più attivo dal 2015 (con nostro dispiacere)
Sono contento che non si vive per lavorare # schiavitù
Grazie David! Anche noi siamo contenti e ce lo auguriamo per il futuro!
[…] Uscito dall’ospedale, il protagonista si ritrova per caso a capo di una manifestazione operaia, uno sciopero, di stampo comunista, e viene arrestato. Uscito di prigione per aver sventato, sempre per puro caso ed inconsapevolmente, un tentativo di evasione, incontra e salva una giovane ragazza, interpretata dalla bellissima Paulette Goddard, a causa della quale finirà più volte nei guai (e in gattabuia). La giovane è rimasta orfana del padre, operaio morto negli scontri con la polizia durante uno sciopero, ed è costretta a vivere di espedienti e di piccole ruberie. Seppur sempre ammantando tutto con lieve comicità, Chaplin porta un messaggio molto chiaro: non solo senza lavoro non c’è possibilità di affermazione, ma addirittura si è costretti a commettere reati. L’assenza di un lavoro che renda uomini (non schiavi) è la causa principale dei mali descritti nel film. Senza un lavoro si diventa ladri, rivoltosi facinorosi, si può addirittura morire, cercando di sopravvivere. […]