The Last of Us: Part II. L’attesa di un capolavoro annunciato
In questo periodo di quarantena, anche i videogiochi possono contribuire a trascorre piacevolmente del tempo, permettendoci di restare a casa senza lamentarci troppo; se siamo così fortunati da avere tra le mani The Last of Us: Part I, l’isolamento forzato, in compagnia dei vari gameplay da sbloccare, risulterà meno ostico. L’uscita del sequel per PS4 era prevista il 21 febbraio, ma è stata posticipata al 29 maggio per garantire ai compratori un’esperienza ancora più godibile della versione precedente, senza compromettere alcune parti della narrazione.
Non è difficile immaginare l’hype connesso al prossimo titolo targato Naughty Dog: The Last of Us: Part I (datato 2013) è stato eletto miglior gioco del decennio dagli utenti PlayStation, dopo aver vinto 201 premi da parte di riviste, siti web internazionali ed aver venduto più di 17 milioni di copie.
Quali sono i motivi che hanno reso questo prodotto una vera e propria pietra miliare dell’intrattenimento virtuale?
Le risposte sono molteplici. La grafica realistica e la fluidità dei movimenti sono dei punti a favore (riscontrabili, però, anche nella saga di Uncharted 4 ed in Death Stranding), ma ciò che lascia a bocca aperta il giocatore è lo sviluppo delle vicende che intercorrono tra i protagonisti, Ellie e Joel.
La trama, che parte da basi stereotipate (un’epidemia zombie dovuta ad un virus chiamato Cordyceps, nato dalla contaminazione delle spore e che intacca il cervello) nasconde al suo interno una storia emozionante, con al centro l’evoluzione dei personaggi principali. Joel, a causa di un trauma vissuto all’inizio dell’epidemia, si limita a sopravvivere in un mondo in cui ha imparato a convivere con gli infetti (i ‘clickers’ ed i ‘bloaters’ rappresentano gli ultimi stadi della progressione della malattia).
Il suo destino muta quando gli viene affidata, in cambio di una fornitura di armi, Ellie, una ragazzina di 12 anni che, dopo essere stata morsa, ha sviluppato l’immunità al virus. Il suo obiettivo consiste nel consegnarla alle Luci, un’organizzazione che sta studiando la cura per combattere il morbo.
In questo modo post-apocalittico privo di umanità e di civiltà, l’unico fine è la sopravvivenza: Ellie, nonostante la giovane età, sa perfettamente badare a sé e possiede varie abilità che non esita ad utilizzare per difendere la propria vita e quella delle persone a lei più vicine. Joel, suo padre surrogato, acconsente alla missione, intravedendo in Ellie un simulacro della figlia Sarah, uccisa da un soldato durante lo scoppio dell’epidemia.
L’uomo, all’inizio, non vuole instaurare alcun tipo di rapporto con la giovane per paura di rivivere il dolore causato dalla morte precoce di Sarah, ma, proseguendo con la narrazione, appare sempre più evidente il legame che li unisce. Il primo episodio termina con Joel che, contrariamente a ciò che desidera la ragazzina, la salva dalle Luci mentre quest’ultima sta per essere usata come potenziale vaccino.
Si è dovuto attendere il 2015 per l’uscita del DLC di The Last of Us: intitolato Left Behind, è incentrato sulle vicende di Ellie e la sua amica Riley ed è ambientato molto prima dell’incontro tra Ellie e Joel. Questo contenuto scaricabile permette allo spettatore di entrare maggiormente in empatia con la giovane protagonista e con le scelte che ha dovuto attuare in The Last of Us: Part I, in quanto si scopre che la causa della morte di Riley è dovuta al morso di un clicker. Ellie si sente, quindi, in dovere di onorare la sua memoria, non essendo riuscita né a salvarla, né a morire al suo fianco (“we can be all poetic and just lose our minds together”), scoprendosi immune.
Tuttavia, è stata la presentazione del trailer di The Last of Us: Part II all’E3 2018 di Los Angeles a ridestare l’attenzione in merito a questo attesissimo sequel, scatenando anche molte polemiche. Il filmato, infatti, si apre con il bacio tra Ellie, ormai cresciuta, e Dina, ragazza dall’identità misteriosa.
Il loro gesto non solo simboleggia uno dei punti più alti raggiunti dalla grafica videoludica, con animazioni facciali molto accurate, ma lancia un messaggio importante per l’inclusione che, nonostante alcune eccezioni, è ancora lontana dall’essere rappresentata all’interno dei videogiochi. Come riportato da Luca De Santis su La Stampa, tra i primi cento videogiochi più venduti nel 2017 e nell’epoca del #metoo, solo cinque hanno per protagonista una o più donne, mentre la diversità è narrata in maniera costruttiva in Life is Strange: before the Storm ed in Mass Effect: Andromeda: dati di certo non incoraggianti e che la dottoressa Smith dell’University of Southern California definisce una “epidemia dell’invisibilità”.
Se l’orientamento di Ellie era già abbastanza evidente in “Left Behind”, dopo l’uscita del trailer di The Last of Us: Part II è dovuto intervenire Neil Druckmann, vice-presidente di Naughty Dog e direttore creativo del titolo, per chiarire l’importanza della trama del gioco, e non delle preferenze della ragazza, che sono apparse naturali a tutti gli sviluppatori (“it’s never for the controversy to titivate, it’s just who Ellie is”).
Tuttavia, è la sensibilità narrativa la vera protagonista dell’episodio II, dove la violenza appare ancora più estrema e l’odio caratterizza il percorso di vendetta di Ellie, ormai indurita da anni di sopravvivenza e spinta a mettersi in viaggio a causa della morte di una figura a lei cara. Nessun personaggio è al sicuro: né Ellie, né Joel o Dina, a cui, probabilmente, capiterà la sorte peggiore. Per Druckmann, il gioco non si limiterà ad essere fonte di riflessione, ma quest’ultima verrà tradotta in vero e proprio gameplay: “violence doesn’t exist in a vacuum, pursuing justice by any means has a real cost to it”.
Il sequel di The Last of Us, ancora più cupo e violento, ci ricorda per l’ennesima volta che, se l’amore è un sentimento nobile e capace di sopravvivere alla morte, è l’odio che rivela la nostra vera natura.
Cristiana Roffi