La te ra lus – Spiral out, keep going.
Ha senso parlare ancora dei Tool nel 2018?
Ok, la notizia di un imminente tour europeo nel 2019 dopo almeno nove anni ha mandato in visibilio migliaia di fan. Penso che l’ultima data italiana (da me persa, rosico) sia stata quella degli Independent days di Bologna del 2007 con nientepopodimenoche i Nine Inch Nails.
Ma l’ultima fatica discografica, 10.000 days, è datata 2006 e le storie riguardanti il futuro nuovo album si tingono ormai da anni di favola e leggenda al pari di quanto accaduto per Chinese Democracy dei Guns n’ roses. Nel frattempo ho fatto in tempo a diplomarmi, laurearmi e quasi a specializzarmi, per intenderci. Loro invece sono dei quasi sessantenni dediti a passatempi di diverso tipo (vedi la passione vinicola di Maynard James Keenan) e chissà quanto ancora affini al progetto musicale madre.
Lateralus, l’album di cui scrivo oggi, è un album epocale, di quegli album spartiacque che hanno condizionato nel suono e lo stile di centinaia di band a seguire. L’album è il frutto di una evoluzione partita dalla rabbia che permeava il movimento grunge e alternative del periodo, per vedere progressivamente incupirsi le atmosfere musicali, fino ad arrivare alla strana commistione di King Crimson, Black Sabbath e Pink Floyd.
Una volta un mio amico affermò che il valore di un’opera d’arte fosse nella capacità della stessa di trasmettere sempre qualcosa di nuovo, riscoperta negli anni. Affermazione quanto mai azzeccata per questo disco.
Le atmosfere, dicevamo, sono cupe. Lo erano già nel predecessore Ænima, ma in questo disco si perde parte dell’aggressività pregressa e si guadagna in introspezione, sia musicale che lirica.
Il disco si apre con The grudge, sorretta da un riff di chitarra ossessivo a fare da tappeto per un basso, che ha un ruolo più melodico, in una inversione di ruoli che da sempre caratterizza la musica dei Tool. Alla base, Danny Carey ci mostra il suo amore sempre più viscerale per tabla, percussioni di origine indiana, e ritmiche dallo stile tribale. Keenan nel frattempo canta di rancore, ma non in un modo che un tempo trovavo affine alla mia rabbia adolescenziale, bensì in modo positivo o, per meglio dire, propositivo, nella negatività.
Ecco, questo è un aspetto che oggi trovo essere presente in tutto il disco.
Il climax di questo pezzo, che culmina in un urlo liberatorio di Keenan e nella successiva esplosione torrenziale batteristica, è energia. Keenan canta di un percorso lungo, lo paragona al tempo di rivoluzione di Saturno, la cui durata è di circa 30 anni. Al termine di questo periodo, coincidente con una personale crisi dei trent’anni, lui suggerisce di prendere questo rancore di piombo accumulato e di trasformarlo alchemicamente in oro, piuttosto che di tenerlo come zavorra.
Discorso simile di “propositività” si può fare per The patient, in cui in un momento nero o di tedio, una ricompensa anche affettiva possa dare la forza per andare avanti. O per Parabol\Parabola, in cui il mantra iniziale esplode in una atipica celebrazione della sacralità della vita nella sua stessa debolezza.
Menzione a parte merita Schism, pezzo che parla di relazioni e dell’importanza della comunicazione nelle stesse perché non crollino in mille pezzi senza più potersi ricomporre. In questo pezzo, la chitarra di Adam Jones ed il basso di Justin Chancellor si abbracciano in un riff di chiara matrice King Crimson, che oggi è probabilmente uno dei più iconici della band. In particolare è proprio il bassista il protagonista del brano. Mentre Carey tesse le sue trame poliritmiche, Chancellor prende le redini melodiche in un intermezzo psichedelico, sperimentando e “rubando” ancora una volta alla chitarra, vedi l’inusuale utilizzo del whammy, effetto più tipicamente chitarristico.
In Ticks and leeches i nostri quattro abbandonano momentaneamente le atmosfere più soffuse, per ritrovare la rabbia dei vecchi tempi. La terremotante intro di batteria apre la strada ad un Adam Jones vecchia scuola, la cui chitarra tagliente come un rasoio spinge un Keenan rabbioso come mai prima.
Si arriva quindi alla titletrack. Di questo pezzo si è detto tanto, ad esempio della geniale trovata di strutturare i versi iniziali secondo la serie di Fibonacci, ma sarebbe criminale ridurre questo brano ad un banale insieme di grandi idee.
Ci sono le solite poliritmie di Carey, le solite sperimentazioni al basso di Chancellor ed i soliti “semplici” riff di Jones (da chitarrista, non capirò mai come diamine faccia a dire sempre qualcosa di nuovo con due note. Penso che un’intera generazione di chitarristi voglia capirlo N.d.R.). Il pezzo evolve ancora una volta in un climax, soluzione tanto apprezzata dai nostri quattro, che esplode, dopo uno dei rari soli di Jones, in un finale epico in cui Keenan continua a percorrere la sua spirale con nuove apertura ed accettazione nei confronti di qualsiasi cosa gli si possa parare di fronte lungo il suo percorso.
L’atmosfera si fa quindi più straniante e rarefatta con Disposition – Reflection, tra tabla ed arrangiamenti eterei prima, basso ossessivo e martellante, synth e chitarre sinistre e dal sapore orientale poi. La voce, circondata dalle sue eco, è messianica e angosciante, nel trasmettere un senso di perdita imminente, per poi uscire di scena nel roccioso strumentale Triad.
Il disco si chiude con l’inquietante Faaip de oiad (“voce di dio” in enochiano), in cui rumori e divertissement batteristici lasciano in sottofondo un inquietante messaggio su una minaccia aliena imminente (!).
E così, ancora una volta il viaggio è terminato.
Un disco epocale, dicevo. Dal 2001, anno di uscita, dal prog metal più classico (Dream theater), all’alternative rock (Karnivool, Oceansize, Deftones) fino ad arrivare al futuro del metal più ricercato (Tesseract), non si contano le band influenzate dai Tool ed in particolare da questo disco.
E da quando l’ho scoperto, sarà stato il 2005 o giù di lì, continua ad accompagnarmi musicalmente ed umanamente, facendosi sempre riscoprire. O forse ero io ad apprezzarlo e “percerpirlo”, senza ancora averlo capito del tutto.
Mi chiedo se mi sia davvero avvicinato a capirlo. Mi chiedo cosa ne scriverò in futuro.
Nel frattempo continuerò a proseguire lungo la spirale, sperando di arrivare dove nessuno sia ancora stato.