La Sicurezza degli Oggetti | A. M. Homes
“Di recente mi è venuta un’idea per un nuovo gioco a premi: si chiama “Il Vecchio Gioco”. In studio ci sono tre signori anziani con una pistola carica; ripensano alla loro vita, vedono chi sono stati, cos’hanno concretizzato, quanto sono andati vicini a realizzare i loro sogni. Vince chi non si fa saltare le cervella. Il premio è un frigorifero.”
(Chuck Barris, perspicace ideatore de “Il gioco delle coppie” e “The Gong Show”, occasionale sicario della CIA negli anni della guerra fredda.)
A. M. Homes è una scrittrice americana postmoderna, una dei gloriosi eredi di Raymond Carver.
Appartamento a New York, occhi chiari, classe 1961, insegna attualmente alla Columbia University, uno dei “venti scrittori per il nuovo millenio” secondo il New Yorker. Ha scritto una breve raccolta di racconti meravigliosa. Meravigliosa e oscura. Forse avrei desiderato non fosse così oscura.
10 racconti gelidi nei quali guardiamo dal buco della serratura i protagonisti – pezzi di vicinato suburbano imbranato, disadattato, ritualmente legato a degli oggetti, gli oggetti salvifici del titolo. La sicurezza è data principalmente dal fatto che gli oggetti si possono controllare. Rimangono dove li lasciamo e nella loro totale inerzia ci restano fedeli per sempre.
Grazie alle diapositive asciutte che la Homes ci propone, nelle quali il caso particolare è facilmente trasferibile all’universale, siamo testimoni del facile dislocamento di pensiero che, grazie al suo focalizzarsi sul materiale, esclude problematiche ingestibili di tipo affettivo, relazionale, esistenziale.
Un assaggio:
Adulti da soli
Elaine porta i bambini in Florida e li lascia lì come una busta di vestiti in una tintoria.
I coniugi Elaine e Paul lasciano i figli dai genitori di lui. Hanno bisogno di dedicarsi reciprocamente tempo per loro ma il televisore di casa rimane sempre acceso e si finisce sempre anche senza averne l’intenzione a guardare in loop uno speciale di mezz’ora sul crack.
Oltre al televisore c’è anche il telefono che suona sempre ma il problema ovviamente non è il telefono, il problema non è mai il telefono. Il problema è sempre la televisione perché si litiga continuamente a proposito di chi debba avere il controllo del telecomando e su quanto spesso si debba cambiare canale perché ci sono un centinaio di canali e mentre non riesci a fare a meno di riguardare lo speciale sul crack chissà cosa ti stai perdendo. 99 occasioni sprecate su 100.
Insomma, lo speciale sul crack ti piace da morire ma onestamente non riesci mai a godertelo fino in fondo perché ti prudono nervosamente le mani sul telecomando – che ti fai passare velocemente da una mano all’altra, come fosse una patata bollente – al pensiero di quello che ti stai perdendo sul canale successivo. Dal nervoso vorresti trasformare il telecomando in un pupazzo antistress da strizzare tutto e fargli schizzare fuori i tasti come fossero occhi di gomma ma ciò è ergonomicamente impossibile. Eppure i tastini di gomma del telecomando sono così morbidi. Sei tentato di farli saltare via tutti come fossero dentini da latte troppo maturi.
In tutto questo uno dei due coniugi si presenta sempre con un valium per ciascuno da inghiottire senz’acqua.
In cerca di Johnny
“Ma non dovrei tornare a casa il prima possibile? E perché non hai il telefono? Il telefono ce l’hanno tutti. Mi sa che è illegale non avercelo.” “Non mi parlare di legge e ordine. Tutti hanno il telefono e la televisione, e una persona su due ha il videoregistratore e la lavatrice. E il forno a microonde. Non vuol dire che siano più intelligenti. Se ti metti ad accumulare oggetti finisci nei guai. Cominci a pensare che a quella roba ci tieni veramente e ti dimentichi che sono solo oggetti, oggetti fabbricati dall’uomo. Diventano una parte di te e poi quando non ce li hai più ti sembra di essere sparito anche tu. Quando hai della roba e a un certo punto la perdi è come se scomparissi anche tu.”
Un ragazzino ama il suo pallone da basket. Esce un attimo a fare due tiri nel cortile. Viene rapito. Viene rapito da un tizio che ha una casa piena di bottiglie vuote disposte lungo tutte le pareti della stanza da letto. Ogni tanto vanno a pescare perché per essere uno dei protagonisti dei racconti della Homes devi essere in grado di abituarti ad ogni nuova situazione e mimetizzarti velocemente con il contesto, per quanto illegale e ansiogena sia la nuova circostanza in cui ti ritrovi.
Il pazzo cercava un’altra persona ma ha trovato te e ha pensato potesse andar bene comunque.
Il pallone da basket ha un ruolo fondamentale, spunta nel momento dei bisogno perché è proprio vero che gli oggetti che amiamo ci sono fedeli e ci amano a loro volta. Se possono danno sempre una mano.
Jim Train
“Non c’è fretta,” dice Train, riattaccando e immergendosi di nuovo in un sogno piacevole e produttivo in cui riarreda l’ufficio in modo che assomigli di più a una casa, con divani morbidi e televisori; il genere di posto dove uno può vivere oltre che lavorare.
Jim Train si chiama così perché tutti i giorni, per andare a lavoro, va e torna dalla stazione a piedi. L’idea di non farsi accompagnare è sua perché dice che camminare lo aiuta a pensare. Jim fa la pipì due volte al giorno, questo è il suo rituale salvifico che gli dà l’impressione confortante di avere un minimo di controllo sulla propria vita.
Da un po’ di tempo è sposato ma gli basta un giorno di riposo forzato da lavoro – allarme bomba in ufficio – per rendersi conto di non avere la minima idea di cosa faccia sua moglie, con chi si ritrovi a chiacchierare, cosa le piaccia davvero fare. Ha scoperto che lei ama le calendule. Lui è l’Uomo dell’Anno della Flynch-Peabody e non sa nemmeno cosa sia una calendula.
L’oggetto qui è proprio la calendula, una calendula estirpata violentemente.
Acchiappare proiettili al volo
Parcheggiò in un buon posto vicino a Sears provando quello che chiamava il senso di colpa dello scopo necessario. Era venuto per un motivo vero. Le gomme.
Pneumatici. Automobili. Frank è al centro commerciale, testimone casuale di un gioco a premi in diretta. Il premio è un’automobile. Regola: toccare l’automobile ininterrottamente per il più lungo tempo possibile solo con una mano, nessun altro pezzo del corpo. Ore e ore. Si rischia l’atrofia muscolare e strascichi di danni forse permanenti al sistema nervoso ma stiamo parlando pur sempre di un’auto. Se uno vince un’auto vuol dire che è sicuramente toccato da una buona stella fiammante lassù. La presenza di Frank influisce sulla gara. Lui non può ottenere il premio, il suo ruolo è quello di motivare, condizionare i concorrenti.
Delle gomme che doveva comprare si dimentica, chiede disperatamente al commesso un lettore cd – anche se al momento non potrebbe davvero permetterselo – e un guantone da boxe.
Esther in the night
Penso a un ladro. Arriverebbe sulla veranda, girerebbe la maniglia ed entrerebbe in casa mia. Prenderebbe delle cose: il televisore, il videoregistratore, l’argenteria, i miei gioielli, cose che ho raccolto in tutti questi anni, raccolto come simboli del mio matrimonio, cose che a volte sembra siano esse stesse il mio matrimonio. Io lo aiuterei a riempire i sacchetti. Prenderebbe le cose che fanno di me quella che sono, e a quel punto potrei essere un’altra persone.
Gli oggetti che possediamo in realtà non ci circondano, ci ruotano intermittentemente attorno come anelli di Saturno ad una distanza molto ravvicinata, allunghi un attimo il dito e li tocchi. Sono sempre troppo vicini a noi, sono noi.
Un incidente, in questo caso, consapevolizza Esther della necessità di disfarsi di ciò che non è sufficiente. E, soprattutto, insegna a dubitare di ciò che si desidera in modo incompleto.
Una vera bambola
Improvvisamente e incredibilmente mi resi conto che ero uscito con Barbie. Non sapevo cosa dire. “Allora, che tipo di Barbie sei?” chiesi. “Come, scusa?” “Be’, a forza di sentire Jennifer so che esistono Barbie Giorno e Notte, Barbie Movimenti Magici, Barbie Regalo, Barbie Tropical, La Mia Prima Barbie e altre ancor.” “Io sono Tropical,” disse, con lo stesso tono con cui uno potrebbe dire “sono cattolico” o “sono ebreo”.
Questo racconto lo faceva leggere David Foster Wallace – amicone della Homes – ai suoi allievi del corso di scrittura creativa per fargli capire che la letteratura è più interessante e stramba di quanto possa sembrare e talmente vicina a te da farti sentire facilmente in imbarazzo, a disagio. A volte leggendo diventi rosso dalla vergogna come fossi rimasto in mutande nel mezzo di un incrocio stradale. Paralizzato.
Un ragazzino innamorato perso della Barbie di sua sorella. Avere un’iniziazione sessuale con un’attraente piccola bambola bionda di plastica. L’eccentricità che sfiora la patologia. In modo molto morboso e molto romantico.
Barbie conferma che il rigonfiamento di Ken è inutilizzabile.
Dopo la panoramica completa – a cui si aggiunge qualcuno nudo sulla sdraio del giardino sotto gli occhi dei vicini, ragazze rinchiuse nella cabina armadio con la biancheria pulita a scrivere lettere in cui declamano l’amore per la vita – e per i loro piedi – mentre mangiano un tramezzino, incendiari e giovani cleptomani da boutique, ci si sente storditi. Parecchio.
La scrittura della Homes è asciutta, secca, è come se tutta la raccolta fosse un’unica frase interminabile. Assordante. L’impressione è che appena leggi l’ultima frase di ogni racconto, i protagonisti rimangano soli e si mettano a piangere. Stanno tutti vivendo il momento più bello delle loro vite ma molto probabilmente sono abbastanza disperati e si annoiano tantissimo.
Tutt gli otto Ken neri cominciarono a parlare nello stesso momento. Per fortuna dicevano tutti la stessa cosa contemporaneamente.
titolo | La sicurezza degli oggetti
autore | A. M. Homes
editore | minimum fax
anno | 2001 (1990)