L’ultimo atto di ribellione di Umberto Eco
Un combattente della rivoluzione bianca, un pazzo, un visionario: un tributo ad Umberto Eco con la voce di Un buon libro un ottimo amico da una parte e di Stefania dall’altra.
“…Lolita è appena comparsa in scena, è noioso: Nabokov mi parla ed io, fingendo di ascoltarlo, canticchio una canzoncina”
“Dev’essere così. Hai ragione, e ti dirò di più: continuerà così. È Un amore più raffinato, ti farà esasperare, perché c’è questo pedofilo rincoglionito che alla fine vorresti solo ucciderlo. Però è scritto divinamente”.
L’una meno dieci, Cagliari – Torino: andata e ritorno telefonici.
“Io volevo lo scandalo. Dov’è lo scandalo? Ho lasciato Il mio nome è rosso per lui: gli ho chiuso la porta in faccia. Che Nabokov sappia, che continuo solo per lui…”
“Ma Il mio nome è rosso Lolita se lo mette in tasca!”
“Lo si metta agli atti!” – cerca il caricabatterie, si toglie un calzino. “Lo scandalo di Lolita è che non c’è scandalo, perché il punto di vista è quello del diretto interessa…”
L’una.
“È morto. È morto Umberto Eco.”
“È uno di quei casi in cui la morte non c’azzecca proprio niente. Che significa “è morto Umberto Eco”? Chi potrebbe mai associare la morte al suo nome? Che c’entra la morte con Umberto Eco? Che c’entra? “È morto Umberto Eco” sembra una di quelle frasi senza senso come “Il tulipano scese le scale”. Perché, Umberto Eco può morire? È uno dei sottofondi della nostra quotidianità che sono lì, il centrino sotto il vaso di fiori. Puoi dire “il centrino sotto il vaso di fiori è morto”? No. E se non puoi dirlo di uno stupido centrino, perché lo si può dire di lui?”
Umberto Eco non era solo uno scrittore. Non era solo uno studioso, né solo un professore. Era tutte queste cose insieme e anche qualcosa in più, un simbolo. Le due voci si separano per un momento. Una delle due è impaurita per il venir meno di questo simbolo, per il baratro che questa mancanza renderà più evidente di quanto già non sia. L’altra si prepara a combattere, non se la sente di parlare di morte, preferisce interpretare l’avvenimento come un passaggio di testimone.
Le due voci si riuniscono. Sanno che, prima di morire, Eco ha fatto un’ultima alzata di testa, l’ultimo gesto di una rivoluzione bianca contraddistinta dallo sparare a salve delle parole, non delle armi. Come credeva Dumas, un uomo con una penna e un calamaio è più letale di uno col fucile. Questo ultimo atto di ribellione si chiama La nave di Teseo, un progetto editoriale con il quale Eco, e altri pochi coraggiosi, hanno sbattuto la porta in faccia a Mondazzoli, il risultato strategico dell’acquisizione da parte di Mondadori di buona parte del mercato editoriale italiano. 《Siamo pazzi》, ha dichiarato Eco in riferimento a sé e ai dissidenti con i quali si era accordati contro l’omologazione; e i pazzi, Kerouac insegna, sono le uniche persone che ci sono o che ci dovrebbero essere. Le due voci sanno che, se possono parlare liberamente di Nabokov, Pamuk e Buzzati e tutti gli altri lo devono a Umberto Eco e alle persone come lui. Quando pensano allo scrittore non vengono loro in mente solo le copertine dei suoi libri, ma anche l’immagine dell’editoria che ha a cuore la qualità, non solo le statistiche delle vendite.
“Non mi fa paura la morte dell’autore. Siamo rimaste vive dopo Gabo, suppongo lo resteremo anche dopo Eco. Mi atterrisce che muoia il combattente. L’uomo consapevole. Uno che aveva la forza e la legittimità di fare ciò che io vorrei ma non ho la forza e la legittimità di fare.”
Riprendono le voci.
“Ci sono i suoi libri e le sue azioni: e se mi dici che i libri non bastano, perché lui è morto allora mi deludi. Sono molto triste insieme a te, ma lascia una scia luminosissima dietro di sé. E mentre lo piangiamo, ricordiamone la bellezza, che si è manifestata. Dobbiamo esser tristi, ma poi contano i fatti: come ci comporteremo noi adesso?”
Le voci, come si intuisce dalle conversazioni, sono giovani e ancora inconsapevoli: l’istinto, più della ragione, le guida. Si comporteranno come due lettrici più consapevoli, spocchiose già lo sono, come del resto lo era Umberto Eco. Infine, sono fiduciose. Dopo mutuo convincimento, sperano che le parole dello scrittore e il progetto che questi aveva intrapreso, le guidino come un filo di Arianna fuori dal labirinto, pronte a salpare sulla nave di Teseo alla volta dell’autonomia del pensiero e della consapevolezza.
Luana Elena Cau e Stefania Trombetta
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