La pistola di Vera Nabokov, e altre cose frivole
Cosa hanno in comune Dumas, Rimbaud, Vera Nabokov, tua sorella? Giocano a carte con il Demone delle cose frivole.
Dato che mi sono autoproclamata Gran Cerimoniere della baracca SALT, e che in piu’ di un’occasione, manco troppo preda degli alcolici, ho anche farfugliato qualcosa sull’upperclass e sui patriziati e sulle pubbliche relazioni e sugli argomenti che in generale fanno di me la snob detestabile che tutti voi segretamente amate, questo non-articolo scritto rubando lo stipendio una mattina che “guarda ho una conference di tipo un’ora con xfje95jtovs per il progetto qihfd834tbk ti aggiorno dopo ciao” non poteva non trattare argomenti futili.
E quindi fondamentali.
Giuseppe Scaraffia dice che gli oggetti ci attutiscono il timore del mondo. Che e’ il superfluo a farci affrontare le mattine. Senza il nostro autista non siamo che cellule anonime. Cita sornione Burgess ma anche Proust e tutto sommato forse anche Socrate quando ricama il titolo del suo trattatello Sellerio (mon dieu, la scíccheria) sulle nevrosi di lusso, sul languore dell’inutile – sul Demone della frivolezza. Che ne siamo tutti preda, nei nostri salari stiracchiati – ma non ci siamo inventati nulla. In quarantasette metodi di dissipazione – fra gli altri il doppiopetto, i dagherrotipi, sciare, i bastoni, la fellatio, la servitu’, gli anelli, la Legion d’Onore, Venezia – il professore enumera in ordine alfabetico i picchi di status symbol, la dittatura del capriccio di cui furono preda i piu’ o meno grandi della storia.
Diderot odiava la sua nuova vestaglia.
Anais Nin voleva portarsi a letto Henry Miller – ma lui, prima, doveva godersi l’arrosto.
D’Annunzio aveva sessantasette paia di scarpe.
Lawrence d’Arabia dormiva in un letto coperto di cuoio, circondato da siepi di libri.
Verlaine e Rimbaud si amavano, e altrettanto amavano indossare cappelli a cilindro.
Dumas a colazione beveva acqua e assenzio.
Thomas Hobbes, nel suo bastone da passeggio, nascondeva penna e calamaio.
Vera Nabokov sparava.
“Ma basta che mi prometti di andare in giro con la pistola per difendermi dai serpenti mentre vo’ a caccia di coleotteri”, perche’ l’autore di Lolita era un discreto acchiappamosche. Vera aveva acquistato la sua Browning 38 per ammazzare Trotsky – poi desistette, ma la cosa faceva impazzire di lussuria il marito. E con questa bella storiella venerdi’, al Mi Ami, dopo esservi sgolati con fidati e’ qualcosa in piuuu’, rimorchierete di sicuro grazie alla sottoscritta: prego, figuratevi, non c’e’ di che.
C’e’ un risvolto amaro, una motivazione depressa del votarsi all’inservibile, del tramutarci in abili sperperatori di surplus in un’ottica di microeconomica memoria. Da quando abbiamo riportato le filosofie in cantina (con le religioni e la playstation 2) e abbiamo licenziato le divinita’ – buone a fare rapide comparse solo quando ci si preoccupa dell’amoralita’ dei fatti altrui – lo strapiombo del fare i conti con la morte ci ha mandato in crisi. In totale serenita’, Scaraffia ci manda a dire che, perso il gusto di proiettarci nell’aldila’, abbiamo sviluppato il terrore del tempo libero. E l’abbiamo riempito di cose, di distrazioni cesellate. L’ultimo appiglio alla corsa sfrenata verso la cenere non e’ piu’ dottrina, ma la matericita’. Aggrapparsi alle cose, tenersi ben stretti ai sigari, alle scarpe, alle buone maniere – che c’e’ vento forte finche’ si campa.
Disilludersi – ma ben al caldo, dentro vestaglie di pelliccia.
Titolo: Il demone della frivolezza
Autore: Giuseppe Scaraffia
Editore: Sellerio
Pagine: 226
P.S.: ho comprato questo libro con un solo scopo. Contare di quante cose frivole avessi adornato, forse affogandole, le mie giornate.
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