La Peste, di Guillermo Carbonell
Quando il padre di Rosa torna a casa, la donna non può immaginare ciò che l’uomo si porta dentro e ciò che comporterà. Un contagio, forse. La peste.
Guillermo Carbonell realizza in pochi minuti un mondo intero, di cui ci piacerebbe sapere di più. Con pochi abili tocchi di montaggio e di regia, conosciamo un gruppo di “pulitori” armati a metà via fra il crimine e l’eroismo. Un gruppo malassortito che si occupa di gestire i contaminati dalla Peste. Giacche sporche di sangue, viso tirato, incontri notturni. Quell’aspetto ambiguo, forse di persone qualunque che si sono travate in mezzo a qualcosa di più grande di loro, forse di criminali che stanno dando una mano (sicuramente non di eroi) che ci fa sperare di poter sapere di più.
All’opposto il padre di Rosa, smarrito e (all’apparenza) indifeso. Scappato da una casa di riposo, non per la prima volta. Non parla, ma allunga le mani verso la figlia implorando aiuto con gli occhi, braccato come un animale. Non vuole morire, questa la sua colpa. Una sorta di zombie emotivo, che rimane legato alla vita nonostante tutto. Non cerca carne né cervelli, ma sembra cercare l’affetto della figlia.
Chi sono i buoni e chi sono i cattivi, se davvero ci sono?
In pochi minuti viene creata un’atmosfera ed una storia. Pochi attori, molto bravi, ed una trama sorretta da un ottimo montaggio fanno il resto, saltando abilmente da un genere all’altro fino al plot twist ed alla scena finale, decisamente evocativa. Non esattamente un horror, non esattamente un thirller o un noir ambientato negli anni settanta. Ma un abilissimo mix, dove il sentimento si mescola alla paura. Un cortometraggio che ci lascia l’acquolina in bocca, per saperne di più. E che sembra voler rinverdine il genere zombie (se così si può definire questo corto) con qualcosa in più, lontano dai normali schemi del genere e dalle ormai trite dinamiche d’azione.