La Notte | Michelangelo Antonioni

La Notte | Michelangelo Antonioni

La notte film
– PREMESSA – Questo articolo dedicato a La notte di Michelangelo Antonioni contiene SPOILER quindi siete avvisati: leggetelo se avete già avuto il piacere di vedere il film o se il vostro livello di curiosità è tale da poter superare qualsiasi anticipazione.

«Nella dissoluzione di ogni forma, nel crepuscolo di una torpida incertezza sopra un mondo spettrale, l’uomo, come un bimbo smarrito, avanza a tentoni, tenendosi al filo di una qualche logica di corto respiro, attraverso un paese chimerico, che chiama realtà sebbene non sia per lui che un incubo».

Hermann Broch, I sonnambuli.

«Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure.»
Italo Calvino, Le città invisibili.

Michelangelo Antonioni è considerato uno dei più grandi maestri nella creazione di stati d’animo attraverso l’utilizzo di immagini di architettura e, anche ne La notte, il sentimento di “dissoluzione di ogni forma nel crepuscolo di una torpida incertezza” tanto caro al regista e che caratterizza il capitolo centrale, così come tutta la Trilogia dell’incomunicabilità (L’avventura 1960, La notte 1961, L’eclissi 1962) non viene nascosto allo spettatore ma anzi viene introdotto fin dai primissimi minuti del film.

la notte milano

Le immagini iniziali ritraggono la Milano industriale di inizio anni ’60 come una sorta di cantiere a cielo aperto. Un cantiere spigoloso e affollato da costruzioni fatte di ferro, vetro e cemento nelle quali gli uomini sembrano vivere sospesi tra un’atmosfera di angoscia indefinita e un’assordante sensazione di mancanza che provoca le vertigini.

La notte si svolge durante un arco temporale molto breve, precisamente tra il noioso pomeriggio di un sabato e l’alba di una domenica come un’altra. I protagonisti sono Giovanni Pontano uno scrittore annoiato (interpretato dal magnifico Marcello Mastroianni) e la sua bella moglie (la bellissima Jeanne Moreau): una coppia in crisi tornata a Milano per recarsi alla presentazione del nuovo libro di Giovanni e fare visita a Tommaso (Bernhard Wicki) un amico d’infanzia gravemente malato.

Durante la visita in ospedale (in realtà si tratta dell’edificio realizzato nel 1951 da Claudio Asnago e Giulio Vender per gli uffici e le abitazioni della dirigenza della Società Italiana Ferrotubi in Via Lanzone), ritorna prepotente il rapporto dell’architettura con il disagio:

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Che bel posto qui, eh? – dice Tommaso – Tutto quello che odiavo in fatto di arredamento. Non avrei mai immaginato una fine così di lusso. Verrà il giorno in cui le cliniche si faranno come i night club. La gente vuole divertirsi fino all’ultimo.

Lidia rimane subito turbata dal discorso di Tommaso che continua:

Quante cose si finiscono per sapere se si resta un po’ soli con se stessi. E quante cose restano da fare […] Mi viene il sospetto di essere rimasto un po’ ai margini di un’impresa che invece mi riguardava. Non ho avuto la forza di andare a fondo”

La confessione dell’amore segreto per Lidia diventa metafora di una sottile critica alla società in divenire che richiede ai suoi componenti di ostentare soddisfazione ed allegria ma dove in fondo basta solo uno sguardo più profondo per vedere come dietro a questa ostentazione si celi spesso un vuoto colmo di vaga irrequietezza, insoddisfazione, incertezza ed infelicità.

Nel frattempo, anche Giovanni vive il suo momento di turbamento, infatti, mentre cammina per i corridoi dell’ospedale incontra una donna lì ricoverata, la quale inizia a sedurlo fino a quando lui la bacia. “Si è aggrappata a me con un calore bestiale, una tale violenza che mi hanno tolto ogni forza” confessa più tardi alla moglie mentre si recano insieme alla presentazione del libro, ma la donna non mostra nessuna reazione nell’ascoltare le parole del marito come se fosse in qualche modo già lontana.

la notte coppia crisi

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Nessuno sembra dare un peso ai fatti appena accaduti e durante la presentazione i due finiscono per allontanarsi l’uno dall’altra anche fisicamente.

Lidia inizia a vagare senza meta fino a raggiungere la zona industriale di Sesto S. Giovanni.

Giovanni, invece, torna a riposare nella casa di via Pirelli per poi raggiungere la moglie nei pressi di viale Sarca, dove si trova lo stabilimento della Breda. La coppia sembra voler ritornare nei luoghi del passato, mossa quasi dal desiderio inconscio di recuperare qualcosa che non sanno ancora di aver perduto: “non è cambiato niente” dice Giovanni alla moglie, “cambierà, cambierà molto presto” risponde lei.

Il loro disagio esistenziale avanza inarrestabile come la costruzione della città stessa assumendo i contorni di qualcosa di innominabile che divora i luoghi e le emozioni legate ad essi.

Verso sera, per sfuggire a questo senso di straniamento che non li abbandona, i due si recano in un night club ma Lidia sembra rattristata da questo tentativo di rompere la monotonia, così si spostano fuori città, nella grande villa dell’industriale Gherardini dove è prevista una festa: è qui ha inizio la storia.

Come affermato da Antonioni stesso: “La Notte è la storia di una festa che inizia in una casa borghese quasi per caso e alla quale partecipano tante persone tra le quali due coniugi che sono un po’ il perno della storia stessa. Durante questa festa le cose degenerano, viceversa, con il sorgere dell’alba tutto si placa ma a questa coppia invece qualcosa è successa: si sono visti l’un l’altro con occhio diverso e hanno visto sé stessi con un occhio diverso e hanno scoperto che in fondo ci vuole molto poco per crollare, per cedere.”

Ma con La notte Antonioni non vuole solo raccontarci la sofferenza esistenziale di una coppia.

Nel film troviamo dentro una descrizione densa e profonda della crisi nella sua interezza, la quale introduce il sospetto che il vecchio motto “sei ciò che leggi” (nel nostro caso potremmo aggiungere “vedi”)  non basti più per orientarsi nell’ambiente emergente dei nouveaux riches dove, ad esempio, un autore come Hemingway può essere definito “quello scrittore che ammazza gli elefanti” e suscitare ammirazione esclusivamente “perché capace di fare tanti soldi”.

In questo nuovo modo di vivere, la cultura viene consumata in relazione alla ricchezza che è in grado di produrre e non assolve più la sua funzione orginaria intesa come arte di saper avere la cura necessaria per far sì che fiorisca e dia i suoi frutti.  L’unico fine diventa il profitto (personale o sociale) e l’uomo si trasforma in un nuovo tipo di “curioso animale economico” a discapito di tutto il resto: ne La notte, infatti, oltre alla cultura, anche i sentimenti così come i luoghi sono svuotati di senso e aridi.

La festa continua e Lidia e Giovanni si seprano nuovamente.

Appena giunto alla festa, Giovanni rimane subito affascinato dalla bella Valentina (interpretata da una dolcissima Monica Vitti), la giovane figlia del padrone di casa, che incurante dei festeggiamenti se ne sta in disparte a leggere Hermann Broch.

Quando Giovanni riesce finalmente ad avvicinare l’oggetto del suo desiderio, Lidia, senza farsi vedere resta a guardare suo marito corteggiare e baciare la ragazza ma la scena, così come le due donne, ci appare fredda e lontana. 

la notte valentina

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Valentina infatti, nonostante la corte di Giovanni, non cede alle sue lusinghe e lo invita a tornare dalla moglie. Non lo rifiuta per rispetto del suo matrimonio o per moralismo ma solo perché ai suoi occhi niente ha senso, tanto meno la corte di un uomo sposato ed evidentemente bisognoso di affetto: “a me sembra che l’amore debba limitare una persona; qualcosa di sbagliato, che fa il vuoto intorno [] tu non hai bisogno di soldi.. hai bisogno di una ragazza per ricominciare”. 

La ragazza dimostra, come il padre, una sfiducia verso tutto ciò che non può essere misurato ma al contrario dell’industriale, che non nutre fiducia solo per le cose che non producono ricchezza, Valentina non ha fede in nulla, come colei che essendo ovunque finisce per trovarsi da nessuna parte e diventa l’espressione più potente dell’alienazione che il regista vuole raccontarci.

A un certo punto, durante la festa, scoppia un temporale che manda via la luce: è la metafora filmica più bella mai realizzata della crisi di senso che inghiotte tutto il XX secolo. La notte dell’anima, sullo schermo, diventa più reale della notte stessa. e Antonioni la mostra in tutta la sua banale assurdità ma con una delicatezza tale da far piangere chi la guarda senza bisogno di aggiungere altro.

Durante il temporale anche Lidia, dopo aver saputo telefonicamente della morte di Tommaso, vive un’avventura con un giovane sconosciuto, che alla fine rifiuta. Potrebbe succedere qualcosa ma non succede mai nulla perché i personaggi restano vittime del loro malessere senza nome che gli impedisce di interagire davvero con il mondo e sentire il bisogno reale delle altre persone.

Verso la fine del film Lidia incontra Valentina. Le due donne in una rara scena di vera solidarietà femminile, rivelano la verità delle loro crisi: “mi domando cos’è il mio forte? L’amore no. I vizi nemmeno. Sono piena di vizi senza praticarne nessuno, non mi piace neanche il wiskhy” dice Valentina “tu non sai che cosa significa sentirseli addosso tutti gli anni e non capirli più” ammette Lidia. Questa volta è Giovanni ad assistere alla scena senza farsi vedere.

Quando la moglie si accorge della sua presenza, i due si affrettano a salutare Valentina che appare emotivamente provata dalla notte appena trascorsa. Si spegne la luce e sorge l’alba.

antonioni la notte passeggiata

Vediamo la coppia passeggiare nel silenzio della mattina dell’immenso parco ormai deserto. Lidia dice a Giovanni che Tommaso è morto nella notte, ricordando come lui le volesse bene davvero: “mi attribuiva un’intelligenza, mi dava una forza che io non ho ma lui credeva che io l’avessi e mi costringeva a crederci” eppure lei si è comunque innamorata di Giovanni e ora che tutto sembra essere finito non trova pace in quella scelta: “vorrei non esistere più, perché non posso più amarti”  “se tu dici questo […] è perché mi vuoi ancora bene”  risponde Giovanni per poi ammettere il suo fallimento “non ti ho dato niente. È strano come soltanto oggi mi rendo conto di quanto ciò che si dà agli altri finisca con il giovare a se stessi“.




Lidia comincia a leggere una lettera a lei diretta, una meravigliosa lettera d’amore, un amore assoluto colto in un momento di rara consapevolezza di sé stesso che forse pochi hanno in sorte di provare:

Questo era il piccolo miracolo di un risveglio: sentire per la prima volta che mi appartenevi non solo in quel momento e che la notte si prolungava per sempre accanto a te, nel caldo del tuo sangue, dei tuoi pensieri, della tua volontà che si confondeva con la mia. Per un attimo ho capito quanto ti amavo, Lidia; è stata una sensazione così intensa che ne ho avuto gli occhi pieni di lacrime: era perché pensavo che questo non dovrebbe mai finire, che tutta la nostra vita doveva essere come il risveglio di stamane. Sentirti non mia, ma addirittura parte di me, una cosa che respira e che niente potrà distruggere se non la torbida indifferenza di un’abitudine, che vedo come l’unica minaccia. E poi ti sei svegliata e sorridendo ancora nel sonno mi hai baciato e ho sentito che non dovevo temere niente, che noi saremo sempre come in quel momento: uniti da qualcosa che è più forte del tempo e dell’abitudine”

Lidia piange. Giovanni invece ascolta infastidito “chi ti ha scritto questa lettera?” dice amareggiato “tu” risponde lei: la lettera è sua, scritta proprio di sua mano. Capiamo così che Giovanni non è più la stessa persona che ha scritto la lettera anni prima e lo capisce anche lui: terrorizzato davanti l’evidenza della sua stessa assenza, si rende conto di non saper più creare come artista né amare come uomo, e, inizia una lotta disperata per recuperare ciò che ormai sa di avere perduto.

La notte bacio

Comincia a baciare Lidia. I due cadono in quell’abbraccio disperato che Andrei Tarkovskj ha paragonato all’abbraccio di “due che stanno per annegare”: lui la bacia, lei urla “no, io non ti amo più…e neanche tu mi ami più, dillo” lui le dice di stare zitta continuando a baciarla disperato. La telecamera si allontana.

Noi che restiamo a guardare non sapremo mai se alla fine Lidia e Giovanni siano riusciti a salvarsi o se invece siano annegati nella loro crisi esistenziale, ma forse, ogni spettatore è chiamato a rispondere da sè a questa domanda, perché in fondo, quello di annegare senza rendersene conto è un rischio attuale che non abbiamo smesso di correre.

«È costante conflitto, perpetualmente suscitato e signoreggiato dall’intelligenza. Non trionfa dell’impossibile né dell’abisso. Si adegua ad essi. Qualunque cosa facciamo la dismisura serberà sempre il suo posto entro il cuore dell’uomo, nel luogo della solitudine. Tutti portiamo in noi il nostro ergastolo, i nostri delitti e le nostre devastazioni. Ma il nostro compito non è quello di scatenarli attraverso il mondo; sta nel combatterli in noi e negli altri»
Albert Camus, L’uomo in rivolta.

Titolo originale | La Notte
Regia | Michelangelo Antonioni
Anno | 1961




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