La guerra di Oriana in una graphic novel
“Oriana Fallaci: il Vietnam, l’America e l’anno che cambiò la Storia” (Paper First, 2020). È così che si presenta la copertina della graphic novel di Eva Giovannini, giornalista RAI, sulla celebre penna dell’Europeo.
Salto indietro.
Estate 2020. Primi scampoli di libertà momentaneamente ritrovata. Tavolino della bottega di quartiere del cuore. Eva mi parla di quest’idea che le è stata proposta: un fumetto su Oriana. Su un segmento cruciale della vita di Oriana e della nostra Storia: la guerra in Vietnam.
Salto avanti.
Ottobre 2020. Colline di un luogo segreto nel cuore della Toscana. A pochi metri un piccolo cimitero che forse, insieme a quello di Scauri a Pantelleria, si candida ad essere uno dei cimiteri più belli del mondo. Si ragiona sul titolo della post fazione.
“La guerra di Oriana” contiene tutto. Senza se e senza ma. Contiene Oriana e tutti i suoi “amen”, quei “niente e così sia”. Contiene ciò che entrava nei suoi occhi. Ciò che usciva, filtrato e rielaborato, dalle sue mani.
“Con il suo corpo di farfalla e la sua penna di piombo”
(Eva Giovannini, postfazione)
Ecco, è un privilegio aver potuto vedere quelle conversazioni rifluire e defluire tra le tavole di queste pagine disegnate da Michela Di Cecio e scritte da Eva. Non è per vanteria, ma per disclaimer di filtro di amicizia che ho voluto mettere queste parole avanti.
Eppure mi sento così convinto della bontà del risultato che ho letto.
Grazie alla scelta dei colori delle tavole si riesce quasi a respirare l’afa pesante del sud est asiatico. Quella che ti opprime in un odore misto di umidità, terra e cipolle appena si apre il portellone dell’aereo. Quella che si sprigiona dalla valigia al ritorno.
L’aria che schiaccia e l’odore del fumo di Oriana.
Entrambi sospesi nei pomeriggi immobili di vento e tumultuosi di bombe di fuoco.
La luce filtrata da una lente bianca di acqua e vapore che sospende la vista del cielo.
Di disegno in disegno, di dialogo in dialogo, emerge con tutta la sua forza l’esperienza di Oriana. Quell’Oriana del “prima”, di “prima” che venisse rubata da se stessa e da chi ha fatto delle sue ultime parole una bandiera che probabilmente non avrebbe mai sposato.
Prima e dopo le tavole, inoltre, alcune interviste aiutano a contestualizzare il personaggio di Oriana e il suo tempo storico. Il ricordo commosso del collega e amico Furio Colombo. La testimonianza necessaria di Kim Phuc, la bambina protagonista della storica foto in cui la si vede correre via dalle fiamme.
L’esperienza di Oriana, ecco. Quella di vedere i bombardamenti da sotto, tra le fiamme. E da sopra, a bordo dei jet che sganciavano le bombe.
“È soddisfatto, Capitano?”
“Sicuro! La bomba ha centrato l’obiettivo come una bambina ubbidiente. Anche lei è stata brava, però. In nove secondi siamo scesi da tremila metri a duecento”
L’esperienza di Oriana, ancora. Quella del fronte tra le fila americane, vestita della stessa uniforme di quei soldati.
“Sono davvero io?”
“Mamma mia… ma cosa mi è successo, non mi riconosco…”
“Non vedo l’ora di strapparmi di dosso questa uniforme”
“Quanta disperazione per difendere le uniformi. Tutte le uniformi. Forse il male del mondo dipende in gran parte da loro”
La curiosità di Oriana Fallaci scava nelle esperienze umane che, attraverso i loro interpreti e protagonisti, forgiano la Storia collettiva. Ed è così che ragiona su temi e messaggi che consegna alle edicole dell’America e dell’Italia dell’epoca. Eppure appaiono tuttora inascoltati. Non appresi. Non elaborati. Non ammessi.
“Il comunismo non si ferma con il napalm. Un’idea non si uccide uccidendo un corpo. Al contrario! È sulle menti che bisogna lavorare”. Ecco. Vaglielo a raccontare oggi, Oriana, al prete che ti consegnò quelle parole sul fronte del Vietnam, che l’America poi ha avuto l’Afghanistan. Ha avuto l’Iraq. Ha avuto la Siria.
Mentre Oriana era in Vietnam, nel resto del mondo si consumava altra Storia. Come l’uccisione di Martin Luter King e le proteste dei neri che, per l’Europeo, torna a casa, a New York, a raccontare.
Oriana è testimone di tutti questi stravolgimenti. Eppure, ogni volta che in quegli anni lascia il Vietnam, capisce di essere ormai legata mani e piedi a quella terra che brucia senza più un’apparente ragione.
“Che ci faccio qui? Sento già la noia che mi assale” (p. 45)
Un’incapacità di stare fermi, di tornare, dopo che il confine è stato superato. Il confine delle esperienze umane immaginabili. Accettabili. Rielaborabili.
Dopo aver visto e vissuto quotidianamente la guerra, il resto le appare per il “meno” che è. E l’effetto è come quello di sospendere una droga.
“Io non provo più niente qui”
Ed è così che al ritorno in Vietnam, mentre sfama l’astinenza di quella guerra, rischia di morire al famoso Ponte Y. Il ponte degli innamorati infelici. L’immagine di lei che corre con la sua macchina fotografica al collo oggi è ormai un simbolo.
E poi c’è Oriana Fallaci donna e madre in pectore, in cerca di amore filiale. È straniante – ma non straziante, perché anche questo è Oriana – il modo in cui sono stati disegnati e scritti i momenti in cui la giornalista va in un orfanotrofio in cerca di un bambino da adottare. Quello che le mostra la suora è il catalogo dei resti di male peggiori. “I maschi sono già carne da cannone” la graffia Oriana, quando lei la allontana da un bambino che le si è avvicinato. Quello che resta di quella visita è un’altra ennesima sfumatura dell’abbandono. Degli altri verso di lei.
È attraverso e di fronte a tutto questo che nasce il Padre Nostro di Oriana. Che in fondo non è altro che una rielaborazione giornalistica del “Signore Pietà”.
Padre nostro che sei nei cieli, dacci oggi il nostro massacro quotidiano.
Liberaci dalla pietà. Dall’amore. Dalla fiducia nell’uomo. Dall’insegnamento che ci dette tuo figlio.
Tanto non è servito a niente. Non serve a niente.
Niente e così sia.
È anche una preghiera al mestiere del giornalista, questo fumetto. Una invocazione alla sua importanza. Alla sua riscoperta. Parla a chi lo fa, questo lavoro. E a chi lo legge. A chi lo rifugge e a chi lo subisce.
“Dimostrare il delirio umano non è mai inutile, se si crede nell’uomo” dice Oriana in un dialogo con Francois Pellous, giornalista AFP e grande amore della sua vita.
Ecco. “Oriana gratta via la patina di eroismo da tutto ciò che vede, scrosta la retorica superomistica che porta a pensare che ‘valga più un uomo ammazzato a un barbone di uno ammazzato in trincea’. Fa scendere dal piedistallo gli astronauti – il cui ritorno sulla Terra è programmato al millimetro – e ci mette i soldati semplici – siano essi americani o vietcong – che muoiono come cani, da soli, senza onori né glorie” spiega Eva Giovannini.
*Il fumetto è disponibile in tutte le edicole d’Italia dal 19 Novembre.
Titolo | “Oriana Fallaci – Il Vietnam, l’America e l’anno che cambiò la Storia”
Autore | Eva Giovannini – Disegni di Michela Di Cecio
Collana | Donne sul Fronte
Casa Editrice | Paper First