Libia | La frescura del deserto

Libia | La frescura del deserto

O dove ti porta(no) il té alla menta

Per me il deserto era sabbia disegnata dal vento, dorata, rossastra, gialla di caldo di giorno e nera di sera. Tutto quell’immaginario che spazia da Aladdin alle piramidi di Giza sui sussidiari delle elementari tanto per intenderci, cammello -o dromedario?!-  incluso.

Poi nel deserto mi ci portano veramente, su una 4×4 bianca con dentro una tenda blu, un sacco a pelo e un borsone pieno di camicie e micropiles. Perché nel deserto la notte “fa un freddo cane”. Anche questa storia dell’escursione termica mi suonava familiare, per quanto continuasse a sembrarmi assurda. Ma una volta atterrata a Tripoli capisco che ci sono molte cose che non si riescono a spiegare facilmente, o per le quali non ci si pongono domande, che è più facile per tutti.




Nel 2010 la foto di Gheddafi é affissa ovunque, fin nel più remoto distributore di benzina, un brand più forte della coca cola, per fare un ennesimo esempio scemo. Adel, la guida che ci accompagna, ci ha sciolinato per giorni tutto il progresso che ha portato al paese, il benessere per tutti, e “guardate quelle case nuove, lui le regala ai giovani per far crescere la Jamahiriya”. Le antiche vestigia romane, invece, sono un pò abbandonate a loro stesse, seppur meravigliosamente conservate. Un trattore percorre un’antica via lastricata di Sabrata, a pochi metri da un incredibile anfiteatro in riva al mare: come quello dell’impressionante Leptis Magna, anche il suo proscenio brilla della sua pietra chiara, in contrasto con il blu del Mediterraneo all’orizzonte.

ergLa strada per il deserto é una lunga striscia d’asfalto dritta, dalla quale defilano paesaggi sempre più ostili alla vita ma magnetici allo sguardo. Si arriva quando la strada, che da cemento si é fatta ghiaia e poi terra battuta finisce : siamo pieni di adrenalina. Il percorso che stiamo facendo non esiste, é tutto un saliscendi e un ghirigori sulla pancia delle dune che sballotta di meraviglia corpo e anima, un incrocio tra sentirsi un surfista e un gatto delle nevi, credo. Gli ammassi di sabbia si sgretolano e scivolano a monte per lasciare reinventare di nuovo i bordi perfetti delle dune, che si rincorrono come onde di un mare che sembra infinito…ma che in realtà non lo é affatto. La parte libica del Sahara, infatti, é molto variegata, a dispetto delle mie più infantili aspettative. Ci sono dune alte, altissime, distese di sassi a perdita d’occhio, rocce enormi levigate dal Tempo, come l’arco di Fozzijaren, sabbia più o meno granulosa e, non tanto dulcis in fundo, dei laghi di acqua salata, come il Gabraum.

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Lo sguardo si perde nel seguire le trame che cambiano e evolvono per gradi, si cercano punti di riferimento, ma tutto scorre fuori dal finestrino ad un ritmo che non appartiene a questo luogo. Ogni tanto, un albero: solitario, battagliero, fiero anche se un pò malmesso. E’ una dichiarazione di vita quasi rivoluzionaria e romantica, in mezzo al fascinoso nulla in cui si trova. Mi fa venire il dubbio che siamo venuti fino a qui per vedere lui, e non tutto il resto attorno. Ci sono anche delle incisioni rupestri, di popolazioni che hanno vissuto queste terre quando ancora di alberi ce n’erano a bizzeffe.DSC05192

Adel ci racconta di quel fantomatico passato col suo italiano un po’ arcaico, la sera, attorno al fuoco. E’ il momento della giornata che preferisco. La luce del sole si spegne dolcemente una volta montate le tende per la notte, giusto il tempo di salire una duna per assistere al trionfo di luce del tramonto su un mare dorato. Poi, quando il calore si placa, è la volta della cena. Una chorba rossa, una deliziosa zuppa a base di verdure e carne di agnello servita in una fondina metallica, seduti tutti insieme su un grande tappeto al centro delle tende. La punta intensa di coriandolo risalta il sapore e le dà tutto il suo carattere particolare. E’ un momento di condivisione autentico, fatto di sguardi e di gesti,  mentre sopra alle nostre teste si profila la visione più suprema della volta celeste.

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Ed è quando si svela in tutto il suo splendore che viene servito il té alla menta, indiscusso re del deserto, co-protagonista principale dello spettacolo del cielo, riempito di stelle come non mai. La preparazione del té té nel desertoè una vera e propria cerimonia, ed è in silenzio che osserviamo il nostro cuoco touareg destreggiarsi versando lentamente il té dalla teiera alla tazza e dalla tazza alla teiera, per mescolarlo e risaltarne gli aromi. E’un ritmo regolare e ipnotico, esaltato dal profumo di menta che si propaga tutto attorno. Ripete il gesto almeno a tre riprese, facendolo riposare di tanto in tanto: è preciso, concentrato, ha la sicurezza di chi fa questo da sempre e per sempre ma che non può permettersi di sbagliare. E non si sbaglia.

Lo versa dall’alto, caldo, in piccoli bicchieri di vetro, come vuole la tradizione, facendo uno strato di schiuma in superficie. Bisogna contemplarlo prima di berlo, un pò perchè scotta, un pò perchè pare quasi sacro. Uno sguardo in sù, un sorso. E’ buonissimo, con un inspiegabile retrogusto di castagna che mi piace tantissimo.
Scalda nella frescura del deserto di notte ma rinfresca i pensieri riaccesi dalle stelle.

Dev’essere a questo momento della giornata che tutte le domande senza risposta ne trovano una.
E forse sì. Siamo venuti fino a qui solo per questo.
E forse no, non ha un retrogusto di castagna davvero. Ma quella sera l’aveva, giuro.

 

Elisa Cugnaschi

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