Fiesta, narcos, Cuba e paradiso | Buena Vista Social Club
Se molto del fascino dell’America Latina si esprime attraverso parole evocative (Marquez, Allende, Lossa per citare qualcuno), Cuba è un caso particolare: condensando l’alchimia di storia e cultura creola, lo stesso primitivo richiamo assume la forma di una musica torrida.
L’atmosfera è una bolla di spiagge assolate e gente estrosa, adatta all’arrivo del torpore invernale. Amache, fiori d’ibisco e sguardi persi nella calura della siesta.
Premessa importante: a volte posso essere un po’ troppo entusiasta nelle cose, ho il gusto segreto di scandalizzare la gente e quindi non giudicatemi se propongo musica da narcos ispanici. Avevo bisogno di un po’ di ottimismo e di serenità dopo i fatti degli ultimi giorni. Per tutti questi validissimi motivi ho deciso che con il Buena Vista Social Club mi giocavo definitivamente la mia sbandata, la mia supercotta di novembre.
Ma passiamo alla musica da narcos.
Non so se la scelta dell’ediciòn dell’album Lost and Found e lo scioglimento del Buena Vista Social Club siano legati alla conclusione dell’embargo USA dello scorso 14 agosto, fatto sta che il 23 marzo è uscita una nuova prova dell’indiscutibile qualità del Cuban Jazz, notevole non solo per le performance di alcune tra le più spiccate personalità artistiche locali, ma anche per l’armonia e la completezza che caratterizzano singoli pezzi e album nel suo insieme.
La storia è allegra a partire dalle origini: il nome “Buena Vista Social Club” viene da quello che era un piccolo club per neri dell’Avana, chiuso nel 1932 come tutto quello che poteva rimandare alla dittatura di Batista. Nel 1996 il chitarrista blues californiano Ry Cooder, di passaggio a Cuba per un progetto sulla musica afrolatina, coinvolge gli storici avventori nella produzione di una fortunata raccolta omonima, che prima diventa il film di Wim Wenders (1999), poi successo mondiale.
Gli artisti sono una formazione di quaranta “Superabuelos” (letteralmente i supernonni) che hanno tra gli ottanta e i novant’anni ed epiteti d’effetto tipo “il grande vecchio”,“Aguaje”, “Virgilio” e “la fidanzata del feeling”. Ciao.
I pezzi sono dodici registrazioni inedite del primo album e dei tours mondiali, e spesso hanno a malapena bisogno di parole: le percussioni riempiono lo scenario di Black Chicken 37, mentre trombone, sax e ottoni riscaldano e trascinano Bruca Manigua, il brano più solare e molleggiato. Protagonista di Tiene Sabor è la femminilità orgogliosa di Omara Portuondo, che ha dichiarato che prima di morire vorrebbe duettare con Mina, mentre Ibrahim Ferrer è la voce malinconia da gattone di Come Fue, dolce e caramellata come una notte ai caraibi.
L’essenza di Lost and Found è quello che è stata Cuba finora: una realtà ospitale ma completa, indipendente grazie a un sistema preciso di regole. Meno innovativo di Buena Vista Social Club (1997), ma altrettanto ricco di sonorità (i superabuelos a questo giro sono più da palco che da finca), l’album alterna ritmi dondolanti e virtuosismi esecutivi che lasciano immaginare il pizzichio frenetico di dita annerite di tabacco.
La profondità e la ricchezza delle tonalità lasciano sguazzare in un panorama da idillio latino mentre prende piede un po’ di protagonismo global del tutto assente nel primo album. D’altra parte l’apparente accessibilità di brani come Guaijra en F e il clima godereccio di Mami me gustò nascondono un’anima sofisticata, selettiva, in cui nulla è lasciato al caso: ogni pezzo è una sfilata tecnicamente perfetta di carezze, occhiolini e scodinzolii da parte di professionisti perfettamente consapevoli.
L’album Buena Vista Social Club lasciava intravedere un paradiso dimenticato che ha avuto modo di prendere piede in tutta serenità, mentre il resto del mondo correva. Con Lost and Found quel paradiso si prende sul serio a un ritmo sostenuto di bolero, rendendosi più accessibile, ma anche più esposto, alle tentazioni del pubblico di massa.
Non è un album a sussurrare in un ronzio di fusa, è la voce stessa di Cuba.
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