Il favoloso mondo di Amélie | La favolosa crosta della crème brulèe

Il favoloso mondo di Amélie | La favolosa crosta della crème brulèe

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“Il 3 settembre 1973, alle 18, 28 minuti e 32 secondi, una mosca della famiglia dei Calliphoridi, capace di 14670 battiti d’ali al minuto, plana su rue Saint-Vincent, a Montmartre. Nello stesso momento, in un ristorante all’aperto a due passi dal Moulin de la Galette, il vento si insinua magicamente sotto una tovaglia facendo ballare i bicchieri senza che nessuno se ne accorga. In quell’istante, al quinto piano del 28 dell’Avenue Trudaine, IX° Arrondissement, Eugène Koler, di ritorno dal funerale del suo migliore amico, Emile Maginot, ne cancella il nome dalla sua rubrica. Sempre nello stesso momento, uno spermatozoo con il cromosoma X del signor Raphaël Poulain, si stacca dal plotone per raggiungere un ovulo della signora Poulain, nata Amandine Fouet. Nove mesi più tardi, nasce Amélie Poulain.”

È pieno di numeri Il favoloso mondo di Amélie. E di dettagli. Misure millesimali, nascoste nelle meraviglie che ci girano intorno e che noi stessi creiamo senza neppure accorgercene.il favoloso mondo di Amélie

Amélie è una persona sola. Non per forza triste, però sola, che è una condizione potenzialmente permanente – la tristezza invece no, quella per fortuna non si ferma. Una persona sola con un mondo vuoto, con tanto spazio a disposizione dello sguardo per coglierne i particolari e dell’immaginazione per connetterli, ordinarli. Reinventarli, mischiarli, adattarli. Così fa meno male, quella solitudine. Il mondo di Amélie è favoloso perché è un pastiche, è una riscrittura surreale della realtà che racconta le sue ragioni con ironia e con tenerezza.

Questa di Amélie è una storia fatta di storie. Una fra tante, una che più delle altre riesce a contenerle tutte. S’intrecciano, a volte con uno scopo, più spesso senza un senso, altre volte per motivi che in ogni caso mai possono controllare, le vite dei personaggi intorno ad Amélie. Minimo comun denominatore, l’amore.

E quale scenario migliore di Parigi? Il tempo invece non importa. È precisissimo sui minuti, sui secondi, gli attimi, gli istanti; il ritmo, sì, il ritmo c’è eccome. Ma il Tempo, quello storico, quello politico è accennato, ignorato, rifiutato. La vita di Amelie inizia la sua rivoluzione quando muore Lady D. ma la tv si spegne, di Lady D. non c’importa. “Lady D., Lady D., basta con Lady D, più Renoir!” Sbraita il vicino di Amélie, l’uomo di vetro. Chiuso in casa da vent’anni per proteggere il suo scheletro dagli urti con il mondo, c’è diventato tutto lui un cristallo freddo. “Mia piccola Amélie, lei non ha le ossa di vetro: lei può scontrarsi con la vita. Se lei si lascia scappare questa occasione, con il tempo sarà il suo cuore che diventerà secco e fragile come il mio scheletro. Perciò si lanci, accidenti a lei!” Il coraggio non basta averlo, bisogna usarlo.

Amélie aveva scoperto un piccolo tesoro: oggetti vecchi, ricordi di qualcuno. Così aveva deciso di affannarsi per le vite degli altri, dedicandosi a metterne insieme i pezzi come un puzzle, dandosi un volto, un obiettivo. Lei era Zorro, Madre Teresa, il Dalai Lama. Ma non era ancora Amélie.

Amélie/ZorroDi se stessa, lei sa solo cosa le piace e cosa non le piace. E tutti, come lei, sono ridotti a un elenco di gusti e bizzarrie. Infilare la mano in un sacco di lenticchie, scrocchiare le ossa, svuotare la borsetta, pulirla e risistemarla dopo. Soprattutto, rompere la crosta della crème brulèe. Perché le persone, dietro i personaggi, sono altro. Cause e effetti, meccanismi per lo più inceppati oltre i quali c’è carne e cuore. C’è tanto corpo. La realtà è una matematica disordinata, incomprensibile sotto un microscopio, ma se si spacca in mille pezzi la lastra di zucchero che è come le ossa di vetro, ci attende una crema morbida, calda, vellutata, profumata.

La solitudine finisce col contatto tra le solitudini. Le cose piccole diventano universali, il non-sense si fa significato e il mistero si rivela. “Mi piace il mistero” -“Non lo troverai certo qui” sic ut es, ma nell’inganno, nello stratagemma, nell’illusione. In quel teatro di delicatezze che mette in scena Amélie. In quella finzione che è dura da rompere e che però fa la differenza, perché rende speciale la conquista del piacere che cela.

“È il 28 settembre 1997 e sono le undici in punto del mattino. Alla Giostra del Trono, a due passi dal trenino dei Carpazi, la macchina per impastare i dolci impasta i dolci. Nello stesso momento, su una panchina di Place Villette, Félix L’Herbier scopre che ci sono più connessioni possibili nel cervello umano che atomi nell’universo. Nel frattempo, ai piedi del Sacre-Coeur, delle benedettine migliorano il rovescio. La temperatura è di 24 gradi Celsius, il tasso di umidità di 77, e la pressione atmosferica di 990 ettopascal.”

È pieno di numeri il mondo di Amélie. E di dettagli. Proprio come la pasticceria.

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Crème brulèe

È una delle più antiche finezze di Francia. La crosta, una delle più antiche trovate geniali. La sua sorte odierna è oscurata dalla simile crema catalana. All’apparenza identica e altrettanto golosa, ma con procedimento completamente differente (latte invece che panna, solo tuorli per la crema, buccia di limone e non vaniglia, cottura in terrina non a bagnomaria e soprattutto, rosta ottenuta usando una piastra di ghisa rovente e non la fiamma del cannello. Insomma, di ricette ve ne sto dando due!)

creme brulee

Ingredienti:

  • 3 uova intere più 3 tuorli
  • 500 ml di panna fresca
  • 150 gr di zucchero
  • 1 baccello di vaniglia

La preparazione è molto semplice e, quindi, difficilissima. Fate attenzione ad ogni minimo dettaglio, Amèlie docet. Per prima cosa, bisogna mettere il baccello di vaniglia, aperto per il lungo, in infusione nella panna e portarla a bollore. Sbattete le uova con lo zucchero fino a formare una crema omogenea, spumosa e quasi bianca. A questo punto, con molta attenzione versate a filo la panna che intanto si sarà raffreddata ma non del tutto, sempre mescolando. Quando avrete finito il risultato dovrebbe essere una crema profumata non troppo liquida. Versatela nelle terrine in ceramica monoporzione (è l’unico modo per cuocerla, fate sto sforzo) che avrete predisposto su una teglia da forno con i bordi alti. Quindi, versate dell’acqua nella teglia per cuocere la crema a bagnomaria (la quantità ideale è fino a metà delle cocottine). Cuocete per circa 1 ora in forno preriscaldato a 160 gradi. Lasciatele raffreddare senza toccarle, manco avessero le ossa di vetro anche loro. Prima di servirle cospargete la superficie con dello zucchero bianco (non di canna, come per la crema catalana!). Ora vi servirà del coraggio. Inutile cercare scappatoie nella bruciatura a grill o sotterfugi simili…la fortuna aiuta gli audaci. Dunque, munitevi di cannello (alias fiamma ossidrica da cucina), azionatelo e roteando a circa 8-10 cm sopra lo zucchero fatelo caramellare uniformemente. La cosa più difficile è non farsi prendere la mano…vi ritrovereste con delle creme nere sbruciacchiate. Che sanno di gas, per di più. Danno minore, ma comunque errato, colorare poco la superficie di zucchero: in quel caso la crosta non si romperà e addio piacere. Morale della favola, se volete godervi il suono della punta del cucchiaio che spacca la sottile lastra di vetro dolce dovete avere coraggio. Tanto, tanto coraggio.

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