La dea fortuna | Ferzan è tornato a fare i film di Ozpetek
“La Dea Fortuna ha un segreto, un trucco magico. Come fai a tenere sempre con te qualcuno a cui vuoi molto bene? Devi guardarlo fisso, rubi la sua immagine, chiudi di scatto gli occhi, li tieni ben chiusi. E lui ti scende fino al cuore e da quel momento quella persona sarà sempre con te”.
Eccola, la leggenda della dea fortuna.
La leggenda di chi ha bisogno di scegliersi o di essere scelto.
Ed ecco soprattutto Ferzan Ozpetek che è tornato a fare i film di Ferzan Ozpetek.
In La Dea Fortuna c’è il suo sigillo in ogni scelta fotografica, caratteriale e di scrittura. In ogni personaggio. In ogni paesaggio. In ogni dolore. In ogni recondita speranza di redenzione, ritorno e riconciliazione.
La trama parte da vicende personali del regista, come lui stesso ha ammesso in alcune interviste. E’ la storia della fine di un amore, quello tra Arturo (Stefano Accorsi) e Alessandro (Edoardo Leo). Annamaria (Jasmine Trinca), figura vicina da sempre ad Alessandro per uno di quei legami di Ozpetekiana maniera, sempre al confine tra l’amicizia e l’amore, ricompare improvvisamente nella loro vita per affidare loro momentaneamente i suoi due figli, mentre deve effettuare a una serie di controlli medici.
I bambini vengono catapultati in una situazione relazionale già sull’orlo della deflagrazione (gli sguardi tra Alessandro e Arturo durante la scena dei compiti valgono parte del film) e partecipano alla sua esplosione, come combustibile aggiunto, fino alla chiamata in scena della madre di Annamaria interpretata da Barbara Alberti.
Annamaria e i suoi figli arrivano all’improvviso nella casa dove convivono Arturo, letterato aspirante professore che non ha mai sfondato ed Alessandro, idraulico che ha letto qualche libro in meno e si sposta in moto da una casa all’altra. Parlando con coscienza di causa: uno stereotipo dell’eterosessualità prestato al (o ampiamente desiderato dal?) mondo gay. Una tigre bianca.
Arrivano in una sera, durante una festa, nella bellissima casa di Via della Lega Lombarda a Roma. Uno di quei palazzoni con grandi terrazze quasi a gradoni. Quei microcosmi romani che richiamano la Garbatella tanto cara al regista – come racconta nel suo libro “Sei la mia vita” – le situazioni comunitarie e relazionali più strette ma mai invasive, il bar sotto casa, la piccola bottega.
La terrazza è animata dalla rete più stretta di relazioni della coppia: c’è Serra Yilmaz, che fa il personaggio che fa sempre Serra Yilmaz, c’è Pia Lanciotti, c’è Filippo Nigro in una divertentissima veste di smemorato, e così via. E’ la terrazza che anima le storie di Ferzan in ogni loro forma ed espressione.
L’elemento architettonico e di arredamento, infatti, è un altro degli aspetti che tornano a irrompere e quasi distraggono nello svolgimento della trama. Un luogo perfetto, dove si riproducono relazioni imperfette quindi normali: quella dell’amore di Alessandro e Arturo. Un amore che dalla passione è passato alla fatica della sopravvivenza al quotidiano.
Una trama che talvolta può indurre in confusione o in sprazzi di perplessità, ma che fa appassionare ai personaggi principali recitati in maniera magistrale. Da Edoardo Leo, che è perfetto in quell’equilibrio tra romana ironia e ritrosia nell’esplicitare ogni riflessione che sia più intima o sentimentale a Barbara Alberti, arcigna madre di Annamaria che vive in un palazzo in Sicilia, Villa Valnaguera a Bagheria.
C’è anche la colonna sonora, che irrompe durante un temporale, sul ponte di un traghetto verso la Sicilia o sulla scena finale.
Regia | Ferzan Ozpetek
Anno | 2019