La danza della realtà | Alejandro Jodorowsky
«Tocopilla è il nome del mio paese natale. In lingua quechua Toco significa “doppio quadrato sacro” e Pilla “diavolo“. Qui il diavolo non è l’incarnazione del male ma un essere della dimensione sotterranea che si affaccia da una finestra fatta di spirito e materia, il corpo, per osservare il mondo e apportarvi la propria conoscenza.
Mio padre e mia madre, bloccati in negozio dalle otto di mattina alle dieci di sera, confidando nelle mie capacità letterarie lasciavano che mi educassi da solo. E quando si accorgevano che non ero in grado di fare qualcosa, chiamavano in causa il Rebe (il nonno, ndr).
Usavo il Rebe come giocattolo, gli prestavo la mia voce, immaginavo i suoi consigli, lasciavo che guidasse le mie azioni. In seguito, perfezionando la mia fantasia, iniziai ad allargare le mie conversazioni animate. Davo la voce alle nuvole, al mare, agli scogli.
Potevo parlare con tutto e ogni cosa sapeva che cosa dirmi […] Questa è la vera libertà: essere capaci di uscire da se stessi, attraverso i limiti del piccolo mondo individuale per aprirsi all’universo»
Alejandro Jodorowsky
Anche se durante la sua lunghissima carriera da regista iniziata nel 1957 ha prodotto solo nove lungometraggi, chiunque sia interessato ai film di culto deve aver sentito parlare almeno una volta del regista cileno Alejandro Jodorowsky.
Ma Jodo non può essere definito solo come un semplice “regista” poiché è anche uno scrittore, fumettista, saggista, compositore, studioso dei tarocchi e chi più ne ha più ne metta.
Insomma, Alejandro sembra aver avuto la fortuna di sperimentare qualsiasi forma d’arte durante la sua vita ma, non contento, si è spinto oltre fino ad arrivare alla creazione della sua particolarissima teoria della psicomagia che lo ha reso noto al grande pubblico come una sorta di psicosciamano surrealista contemporaneo.
Con La danza della realtà, che segna il suo ritorno sul grande schermo dopo 23 anni di assenza, il regista sceglie di rendere gli spettatori partecipi della propria vita intima e lo fa travolgendoli con le immagini più provocatorie e stravaganti che vi possano venire in mente.
In particolare, Jodorovsky si concentra sugli eventi più dolorosi della sua infanzia – come per esempio essere un immigrato ebreo sotto la dittatura militare di un paese straniero o il figlio unico conteso tra l’eccentrica spiritualità della madre e il violento materialismo del padre (interpretato dal figlio Brontis) – per fare pace con il suo passato e portare alla luce gli elementi iniziatici del suo percorso artistico sconfinato quanto affascinante.
Che ci piaccia o no, non esiste un altro periodo della vita così importante e fragile come quello dell’infanzia.
Le prime esperienze non solo lasciano un segno indelebile sul nostro carattere ma influenzano anche la visione che ognuno di noi avrà poi della vita da adulto.
Proprio per questi motivi, risulta ancora più importante che ne La danza della realtà soprattutto il dolore abbia una sua funzione sacra: invece di subirlo o combatterlo, viene utilizzato come un’inarrestabile forza creatrice. Non a caso, nel film, è il regista in persona che nei momenti più bui motiva il sè stesso bambino a trovare la forza di andare avanti per raggiungerlo nel futuro.
In definitiva, se è vero che l’arte non riproduce ciò che è visibile ma rende visibile ciò che non sempre lo è, il lavoro di Jodorovsky può essere considerato un capolavoro a tutti gli effetti: non tanto per quanto riguarda le sue qualità cinematografiche, ma per la capacità di rivelare allo spettatore il potere dell’immaginazione nella vita di tutti i giorni.
Jodorovsky ci racconta una storia di ordinaria tristezza come tante, eppure, riesce a farlo in un modo così straordinario che vedere questo film equivale ad ascoltare una meravigliosa sinfonia capace di far danzare anche molto tempo dopo averla udita.
Non importa se si è capaci di cogliere tutti i simboli e le visioni surrealiste che lo psicosciamano evoca senza sosta per tutti i 130 minuti del filmato, quello che conta davvero è il rendersi conto che il cinema – qui inteso come metafora dell’immaginazione – non è soltanto un mezzo d’intrattenimento utile a distrarci dagli affanni della vita ma è molto, molto di più.
La danza della realtà è una possibilità sotto forma di pellicola che ci mostra come sia possibile sperimentare una percezione diversa della realtà tale da regalarci una nuova consapevolezza non solo per quanto riguarda le nostre possibilità oggettive ma soprattutto su quelle che possiamo creare per noi stessi invece di limitarci a scegliere tra quelle a disposizione.
Ricordatevi: è l’immaginazione che rende i rituali profondi e al tempo stesso efficaci in grado cioè di generare una vera e propria trasformazione.
Ma le mie parole possono fare poco per descrivere quello che voi potete sperimentare in prima persona, in fondo, La danza della realtà non è solo un film da vedere, è un’occasione da cogliere.
«Se io non sono per me, chi è per me? E se io sono solo per me stesso, cosa sono? E se non ora, quado?»
R. Hillel, Pirkei Avot, I.14.
Titolo originale: La danza de la realidad
Regia: Alejandro Jodorovskj
Anno: 2013
Durata: 130 min
Cast: Brontis Jodorowsky, Pamela Flores, Jeremias Herskovits, Alejandro Jodorowsky.