La $aga di Paperon de’ Paperoni, il più grande personaggio del ‘900
Opera monumentale, nella Saga Don Rosa cerca di cucire insieme tutto quanto era stato scritto da Barks sul passato di PdP per poterlo rendere coerente col suo presente. In poche parole: come, quando e perché Paperone è diventato Paperone?
“O la memoria della felicità passata forma l’angoscia presente, o le agonie esistenti originano da estasi che avrebbero potuto esistere”
Edgar Allan Poe
Quando ero piccolo e i miei mi presentavano una nuova babysitter, la prima domanda che le facevo per inquadrarla era: Topolino o Paperino? È una di quelle domande tipo “cane o gatto? Londra o Parigi?” che ti fa capire un buon 40% della personalità di chi ti sta davanti. La risposta giusta era ovviamente Paperino (solo i democristiani dicono Topolino), eppure io avevo un segreto: Paperino sì, ma Paperone ancora di più.
All’epoca ero troppo piccolo per inquadrarlo e dargli un nome, ma col tempo avrei capito che ciò che mi colpiva della Vecchia Tuba era il suo essere un personaggio positivo nonostante caratteristiche tendenzialmente sgradevoli quando non decisamente negative. Come era già stato fatto – forse in maniera più acerba – con Paperino, si andava oltre la manichea divisione buoni/cattivi tanto cara a Mamma Disney.
Paperon de’ Paperoni fa la sua prima comparsa il 15 dicembre 1947, in un mondo in cui Paperino già esiste da 13 anni e Topolino da 19 (Gambadilegno da 22! Alla faccia del topastro!). Con una differenza: Paperone nasce fumetto; Topolino, Paperino & co. come cartoni animati. Ora, ci sarebbe da discutere a lungo su quale mezzo si presti maggiormente ad uno sviluppo caratteriale dei personaggi. Non sarà questo il luogo per farlo, ma diciamo che delle differenze oggettive – quanto meno di approccio – tra testo e video, esistono.
Queste differenze erano ben chiare ad un personaggio bizzarro della storia del fumetto, controverso, anche un po’ inquietante: Keno Don Hugo Rosa (rimettetevi pure il cappello).
Fumettista di discreto ma non eccezionale successo, Don Rosa approda alla Disney nel 1987 con un’idea piuttosto chiara nella mente: egli è l’erede spirituale di Carl Barks nonché l’unico che ne potesse proseguire il lavoro, facendo a Paperone quel che egli aveva fatto a Paperino – e cioè trasformarlo da uno che al massimo aspirava a litigare con Cip & Ciop ad un personaggio complesso e multidimensionale. Poche idee, chiare e semplici.
Caratterizzate da un disegno quasi bidimensionale eppure stracolmo di dettagli, e da un approccio filologico rasentante l’ossessione con quanto scritto prima di lui da Barks, le storie di Don Rosa raggiungono presto un certo successo nonostante i suoi attriti con gli editori e nel 1991 inizia a lavorare al progetto dei suoi sogni:
La Saga di Paperon de’ Paperoni (The Life and Times of $crooge McDuck)
È un’opera monumentale per gli standard disneyani, un lavoro maniacale in cui Rosa cerca di cucire insieme tutto quanto era stato scritto da Barks sul passato di PdP per poterlo rendere coerente col suo presente. In poche parole: come, quando e perché Paperone è diventato Paperone?
Nato nel 1867 a Glasgow in una famiglia nobiliare oramai in miseria, per seguire una sana curiosità e non gravare sul bilancio familiare il giovane PdP inizia una lunga serie d’avventure che lo porterà a rimbalzare dalla Scozia al Sud Africa, passando per gli USA, l’Australia e Giava, fino al Klondike dove tutti i suoi progetti, le ambizioni e i sogni, tutto quello che l’aveva spronato e sostenuto fino a quel momento viene messo in discussione da un’unica intima terrificante domanda:
Che fondamentalmente vuol dire: che sto facendo della mia vita? Una domanda che ognuno di noi tra i 20 e i 30 si pone all’alba, al tramonto e talvolta anche all’ora del tè.
Paperone aveva sempre saputo cosa volesse fare della sua vita. Ma, naturalmente, una cosa è saperlo, un’altra è poterlo fare.
Lui infatti ci era già andato vicino due volte a diventare ricco (in Montana col rame e in Australia con l’opale) ma per una ragione o per l’altra vi aveva sempre più o meno consapevolmente rinunciato, posticipando quindi il momento della sua realizzazione. Ora invece per la prima volta sa che non ci sono più scuse per rimandare e continuare ad avere un sogno da inseguire ma che quel sogno è, inesorabilmente, a portata.
Ragioniamo sempre di chi ha un sogno e lo insegue per tutta la vita senza mai afferrarlo. Ma che succede se quel traguardo lo raggiungiamo? Staremo meglio o dovremo magari affrontare la consapevolezza di aver sempre inseguito la chimera sbagliata? In poche parole, siamo sicuri che i sogni siano fatti per essere raggiunti e non solo, appunto, sognati?
Naturalmente sappiamo la risposta che Paperone si è dato. Lavando via il fango dalla pepita Uovo d’Anatra imbocca una strada che lo porterà a divenire il papero più ricco del mondo. Ma con la realizzazione del sogno si accorgerà che per inseguirlo avrà rinunciato a tutto il resto: agli affetti, alla famiglia, all’unico vero amore delle sua vita e a tutto ciò che non era finalizzato al raggiungimento dell’obiettivo. Come una sorta di Achab con becco, piume e ghette, che prima di attaccare Moby Dick per l’ultima volta pensa alla vita felice che avrebbe potuto condurre con la moglie se solo fosse rimasto a Nantucket.
Non si può comprendere il rapporto di Paperone col passato e le possibilità senza parlare di Lei: Doretta Doremì, il suo grande Amore*.
Fondamentalmente una prostituta, PdP la conosce nel Klondike quando lei gli rubò la pepita Uovo d’Anatra. Un caso? Oppure l’ultimo tentativo da parte dell’Universo di far ritornare Paperone sulla retta via, separandolo dall’oggetto che più di ogni altro ha segnato il suo cambiamento?
I due convivono forzatamente per un mese. Un mese in cui ovviamente avranno tutto il tempo di innamorarsi l’uno dell’altra, nonostante una mai celata insofferenza reciproca. Un mese che si conclude così:
“Paperone…davvero…vuoi che me ne vada?”
“Io…credo sia la miglior cosa. Ho paura di quel che potrebbe succedere se restassi!”
Di nuovo Paperone si trova davanti ad una domanda dalla risposta fin troppo semplice, eppure stavolta rifiuta ciò che desidera e dunque, sceglie di continuare a sognare invece che vivere, stroncando il loro rapporto senza doverlo sottoporre ai limiti della realtà.
Una scelta che lo perseguiterà fino alla vecchiaia. Una scelta che come il veleno più dolce lo lacera nell’intimo mentre lui si culla nel rimpianto, nell’illusione che se avesse scelto di restare con Doretta, la sua vita sarebbe stata migliore. Non potrà mai saperlo, solo crederlo.
PdP è da sempre visto come la personificazione del Sogno Americano. Laddove Paperino è il figlio della Grande Depressione del ’29, Paperone viene tradizionalmente associato a tutti i valori del capitalismo, della privatizzazione e del self-made man che accompagnarono la rinascita economica del dopoguerra.
Don Rosa stravolge il personaggio pur volendo creare l’opera definitiva a riguardo e compie un lavoro di destrutturazione del mito americano e del capitalismo da parte del suo più importante esponente: tutte le teorie sulla forza di volontà, l’etica del lavoro duro, la filosofia del profitto vengono meno. Peperone non è più un personaggio che ha come unica ragione di vita il guadagno ma diviene un personaggio malinconico e quasi decadente, che sa di essere stato migliore di quel che è diventato e che cerca continuamente di ritrovare quei valori oramai perduti vivendo nel ricordo di ciò che avrebbe potuto essere se avesse scelto di continuare a sognare. Un personaggio che cederebbe la Numero Uno in cambio di una ciocca di capelli biondi.
* E Brigitta? Sul rapporto Paperone/Doretta vs Paperone/Brigitta ci sarebbe da parlare a lungo. Oggi non lo facciamo, forse un giorno.